Non è certo un male che si torni a parlare di Ipazia, la bella e giovane filosofa e scienziata alessandrina uccisa ai primi del V secolo da una banda di fanatici cristiani. Se davvero il mandante fu il vescovo Cirillo, la cosa non è priva di rilievo e fonte di imbarazzo: Cirillo d'Alessandria è dottore della Chiesa e, soprattutto, è stato canonizzato.
Una donna giovane, bella, colta, intelligente fatta ammazzare è un tema troppo conturbante, troppo ghiotto, perché non vi si siano buttati sopra in tanti. A cominciare da Diderot e da Voltaire. Negli ultimi mesi, un film di Amenabar, Agorà, ha fatto discutere perché è sembrato che vi si adombrasse, con una certa superficialità, la tesi di Ipazia donna "moderna' avant la lettre, una specie di anticipatrice di Galileo e dell'illuminismo, vittima dell'eterno fanatismo fondamentalista.
Sull'argomento, che ha visto uscire parecchi saggi e anche un romanzo firmato da Maria Moneti Codignola, è fresco di stampa, il libro di Silvia Ronchey, bizantinista dell'Università di Siena e scrittrice di molti best seller.
Ipazia traccia un ampio e seducente quadro della vita culturale alessandrina ed ellenistico-romana del V secolo, ribadendo una volta di più che non si trattò per nulla di un secolo di "decadenza' e che non è affatto vero che il cristianesimo fu uno dei fattori determinanti di quella decadenza e di quella caduta, entrambi mai verificatesi.
Silvia Ronchey queste cose le dice da studiosa, senza l'aria di scoprir nulla di nuovo ma con la serena semplicità di una specialista che ha riconsiderato le fonti del Caso‑Ipazia e che intende esporlo inserendolo in un vivo contesto di fatti e d'idee.
Nell'Alessandria del V secolo la vita intellettuale, politica e religiosa era vivissima. E vero che qualche decennio prima i cristiani ispirati dal vescovo Teofilo erano riusciti a distruggere un museo‑biblioteca‑santuario come il Serapeion, ma i termini della contesa non erano affatto quelli dello scontro tra un paganesimo colto e lungimirante e un cristianesimo rozzo, ignorante e fanatico. Al contrario, esisteva un comune ambiente culturale nel quale si muovevano cristiani e pagani convivendo e discutendo, senz'ombra di odio o di pregiudizio, anzi con la consapevolezza che le loro differenti opzioni religiose appartenevano a una medesima civiltà, ch'essi condividevano. Accanto a esso v'era anche il cristianesimo duro e intransigente che si appoggiava a frequenti incursioni di monaci squadristi che provenivano dal deserto, nonostante le leggi teodosiane vietassero loro di dimorare in città. Ed esisteva una numerosa, ricca, colta, influente comunità ebraica, forse ben più dei pagani la vera concorrente del cristianesimo.
Silvia Ronchey inquadra il suo studio sulla personalità di Ipazia in questo contesto d'incontri e di tensioni. La scienziata‑filosofa finì col collocarsi obiettivamente al centro d'un gioco arduo e complesso, coprotagonisti del quale erano due suoi amici, allievi ed estimatori, il proconsole Oreste e un altro giovane esponente della Chiesa, Sinesio di Cirene, e un avversario, il vescovo Cirillo, ben deciso a ostacolare la convivenza tra religioni e visioni del mondo diverse nel nome della purezza della fede.
La Ronchey è convinta che Cirillo sia stato il mandante dell'assassinio di Ipazia e lo dimostra attraverso un'attenta escussione delle fonti. Non che ciò sgombri il campo a tutti i dubbi: del resto, molte sono le cose nella storia che tecnicamente è impossibile provare. Ma non è questo, a mio avviso, l'aspetto più interessante del libro: che invece ha soprattutto due meriti precipui.
Primo: traccia un profilo originale e interessante della "fortuna" culturale e letterale di Ipazia, chiedendosi anche perché il suo assassinio non sia annoverato fra le colpe di cui la Chiesa dovrebbe "chiedere scusa". Ipazia fa parte integrante d'una linea culturale limpida e robusta, che coinvolge cristiani e pagani e che giunge fino a Fozio, a Psello e, nel Quattrocento, a Gemisto Pletone.
Secondo: sottolinea che solo un gravissimo equivoco ha potuto fare di Ipazia una precorritrice del razionalismo moderno. Essa era una rappresentante del pensiero neoplatonico, con tutta la sua carica di misticismo cosmico. La sua contesa con Cirillo era quella tra due differenti visioni sacrali dell'universo e la vita, non la polemica tra un fanatico religioso e una scienziata illuminista. L'insistenza su questo dato non è merito dappoco, in quanto si oppone a tutte le anacronistiche rivisitazioni che d'Ipazia si sono ultimamente presentate e ricolloca la filosofa di Alessandria nel contesto storico che le compete.
Franco Cardini
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/
23.01.2011
Ipazia, la vera storia, Silvia Ronchey Rizzoli, Milano pagg. 318 t 19,00
i parabolani, antenati dei Pasquale Barra, illuminati dal patriarca Cirillo, come il professore vesuviano. Lamarono con conchiglie, e aprirono come cocomeri le carni della matematica e filosofa alessandrina. All'epoca l'oscurantismo cristiano era gia' imperante, e aveva contaminato qualsiasi pensiero, come bacilli infetti.
i parabolani, antenati dei Pasquale Barra, illuminati dal patriarca Cirillo, come il professore vesuviano. Lamarono con conchiglie, e aprirono come cocomeri le carni della matematica e filosofa alessandrina. All'epoca l'oscurantismo cristiano era gia' imperante, e aveva contaminato qualsiasi pensiero, come bacilli infetti.
mamma mia come dovette soffrire , poverina.