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California al voto sugli allevamenti intensivi


Tao
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Illustrious Member
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Proprio mentre esplode la BBQ season - la stagione del barbecue, un'ossessione che accomuna milioni di americani e crea ogni pomeriggio d'estate una cappa di fumo sui quartieri residenziali -, gli Stati Uniti si trovano a discutere della crudeltà degli allevamenti intensivi: una colonna portante dell'economia e dello stile di vita americani. Pochi giorni fa la California ha deciso di sottoporre a referendum popolare la Proposition 2, una proposta di legge avanzata da associazioni animaliste e intitolata The Prevention of Farm Animal Cruelty Act (Legge sulla prevenzione della crudeltà sugli animali da allevamento). Il 4 novembre i californiani voteranno in massa per Obama e fin qui non si aspettano sorprese. Lo stesso giorno si compirà anche il destino molto meno certo di una proposta che sta sollevando un dibattito serrato sin da ora tra sostenitori dei diritti degli animali e oppositori, che si appellano a motivazioni economiche pur non negando l'importanza del benessere animale.

Nel dettaglio, la Proposition 2 se approvata metterà fuori legge a partire dal 2015 le gabbie che non concedono abbastanza spazio agli animali per muoversi, sedersi, girarsi e allungare gli arti: una richiesta tutto sommato modesta, secondo gli attivisti che la sostengono. Dall'altra parte, gli allevatori e alcuni esperti di agricoltura rispondono che questa misura potrebbe espellere dalla California alcune attività produttive, per esempio gli allevamenti di galline ovaiole, per impossibilità di competere con chi adotterà i metodi di sempre: batterie di gabbie grandi come un foglio A4 stipate di galline che vivono in queste condizioni per un anno, senza potersi muovere e senza mai toccare il terreno, e provate a spendere meno di così per produrre un uovo. Infatti, il 95% delle uova americane (e mondiali) viene prodotto in batteria. La stessa cosa accadrebbe per le gabbie da gestazione usate nell'allevamento dei maiali, particolarmente strette e scomode, per usare un eufemismo, dato che non permettono alla scrofa alcun movimento.

Il dibattito monta proprio in un momento in cui negli Stati Uniti diverse denunce sulla crudeltà degli allevamenti intensivi arrivano al grande pubblico, per esempio attraverso un video girato in un macello californiano che mostra i maltrattamenti e gli abusi subiti da alcuni bovini che vengono uccisi sollevati con un carrello elevatore mentre, tutt'altro che morti, urlano in modo terrificante. Non proprio una buona pubblicità per un mondo sempre più sotto osservazione speciale come quello degli allevamenti intensivi. Del resto, Oregon, Florida e Arizona adottano già misure simili anche se non avanzate come quelle previste dalla proposta di legge californiana.

Pochi giorni fa il New York Times ha pubblicato un editoriale di Nicholas Kristof che appoggia sostanzialmente la Proposition 2: «La storia si sta muovendo verso la difesa dei diritti degli animali, e le condizioni brutali in cui a volte li alleviamo verranno proibite. Un giorno forse, il vegetarianesimo sarà la norma». Un bel colpo, per i referendari. Del resto, persino Burger King ha annunciato qualche mese fa che si sarebbe servita di preferenza da fornitori che trattano meglio gli animali e come sottolinea Kristof «quando un impero dell'hamburger parla teneramente delle condizioni di vita del bestiame, è chiaro che l'attitudine pubblica sta cambiando». In effetti, non c'è solo l'ipocrisia di Burger King - tutte le catene di fast food stanno cercando di darsi una mano di verde per resistere agli attacchi continui contro il loro cibo così poco salutare oltre che poco rispettoso dei diritti degli animali. Negli States la scelta vegetariana è in crescita continua, e ormai non esiste ristorante che non abbia un meno vegetariano o vegano.

Già da ora la battaglia infuria, e una coalizione composta da associazioni di categoria, esperti di salute pubblica e agricoltori ha lanciato ufficialmente la campagna per opporsi alla Proposition 2. Dall'altra parte della barricata però si trova un esercito composto da associazioni ambientaliste e animaliste, agricoltori, grandi società veterinarie, organizzazioni no-profit. E cominciano a fioccare le dichiarazioni delle star di Hollywood: indovinate da che parte stanno Brigitte Bardot, Daryl Hannah o Alicia Silverstone. Siamo solo all'inizio di una campagna referendaria in cui i buoni possono stare solo da una parte.

Alessandro Delfanti
Fonte: http://www.liberazione.it/
10/08/2008


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