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Referendum in Bolivia Morales si gioca tutto


Tao
 Tao
Illustrious Member
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O vincono gli indios contro i bianchi, o vincono i bianchi contro gli indios. O si rafforza l'idea della costituzione indigenista voluta da Morales, o quella di un Oriente boliviano bianco, separato dal resto del Paese, che tiene per sé il profitto degli idrocarburi di cui è ricchissimo. Non c'è spazio per la conciliazione politica in Bolivia. Non più. Chi vince celebra il trionfo sul nemico. Chi perde non ci sta. Grida ai brogli e disconosce il risultato.
Oggi si vota il referendum revocativo del mandato presidenziale di Evo Morales, di quello del suo vice Alvaro Garcia Linera e di quello dei prefetti, quasi tutti in mano all'opposizione. Il voto è la via d'uscita che il primo presidente indigeno del Paese ha proposto per impedire la secessione dell'Oriente. Non mi volete benché sia stato eletto con la maggioranza assoluta dei voti? - ha detto ai prefetti - benissimo, facciamo un referendum in cui chiediamo una conferma del mio mandato, ma anche del vostro. Spera di vincere, restare al potere e disfarsi così in un colpo solo dei suoi principali nemici.

Ma è un doppio salto mortale il suo. Pericolosissimo. L'opposizione controlla cinque delle nove regioni boliviane, ha l'Oriente in mano, è piena di soldi, di armi ed è disposta a qualsiasi manovra pur di non esser più governata da quegli indigeni che chiama «cani», «scimmie»,«bestie».
Il referendum, pensato come una via formalmente ineccepibile per risolvere il muro contro muro che paralizza il Paese, può diventare per Morales una nuova sabbia mobile. La mossa gli può costare carissima. Se va bene, come fanno supporre i sondaggi, non è detto che la sua vittoria sia accettata e se gli va male per lui è finita. Perché la Bolivia è davvero divisa in due. Lo è talmente tanto che nessuna delle due parti è disposta ad ammetterlo. Non riconosce diritto di cittadinanza all'altra. La vuole sottomettere, cancellare.

La Paz è un mondo, Santa Cruz un altro. L'altopiano e l'oriente tropicale. Un'ora di volo e due realtà separate dalla geografia e dall'odio. Un odio profondo, antico, quello degli schiavi per i padroni e quello dei padroni per gli ex servi. Qui il gelo, lì il tropico. Qui i lama, lì le orchidee. Qui indios con volti scolpiti come pietre, lì bianchi mescolati con altri bianchi. Qui i poveri, lì i ricchi. Numericamente non c'è storia. La maggioranza è indigena, la maggioranza vince. Eppure non è detto che tutti gli indigeni voteranno per Evo Morales oggi. Né che la borghesia bianca di la Paz, vagamente progressista, torni a votare per lui come fece invece il giorno delle presidenziali. E neppure che i suoi grandi alleati, i minatori, non gli voltino le spalle.

Questo dei minatori è un tasto dolente, la vera insidia politica del referendum. Loro sono l'aristocrazia operaia della Bolivia, l'anima della Cob, la centrale sindacale che ha fatto la storia delle rivendicazioni politiche e sociali del Paese. Determinanti in ogni lotta, in questi anni sono stati sempre la forza d'urto della sinistra. Insulti, scontri, marce contrapposte, poi a un certo punto scendevano in strada i minatori: in testa ai cortei coi candelotti di dinamite in mano. E la battaglia era vinta.
Questa volta, però, i minatori potrebbero non essere tutti con Morales. Il loro appoggio non è più scontato. Rimangono dalla sua parte solo i minatori delle cooperative, che dipendono dallo Stato per vivere. L'idillio con gli altri è finito da tempo. Per tenerseli buoni Morales aveva nominato ministro un loro dirigente sindacale, Walter Villaroel. L'ha rimosso dopo un'ondata di scioperi pesanti e scontri costati 16 morti. I minatori esigono una immediata radicalizzazione delle politiche del governo. Morales risponde d'aver nazionalizzato gli idrocarburi, distribuito parecchi soldi alle fasce più povere, finanziato progetti sociali assolutamente radicali, ma ai minatori non basta, chiedono una cosa precisa: pensione a 55 anni. Non l'hanno ancora ottenuta. E minacciano la spallata da sinistra. E' il momento meno adatto per parlare: gli ultimi due morti sono di tre giorni fa. Problemi simili anche con gli insegnanti statali, che scendono in piazza contro il governo spesso e volentieri. Armati di bastoni.

Anche con le vecchie organizzazioni indigene il rapporto non è facile. Non tutti si fidano del Mas (movimento al socialismo). Molti hanno votato il partito di Morales solo grazie a un processo di identificazione con il candidato presidente. Il mondo indigeno ha una antica avversione alla sinistra classica in Bolivia perché la ritiene, a ragione, ostile al nazionalismo indio. Ha votato il Mas perché chiedeva un ribaltamento dello stile di gestione del potere e del modello economico. E sostiene Morales perché gli ha promesso di costruire uno Stato multiculturale con forme di autogoverno delle comunità indigene e utilizzo delle lingue indigene negli atti ufficiali.
Mentre si riparano dai colpi attesi da sinistra, Morales e Garcia Linera devono cercare il dialogo anche a destra. Hanno giocato tutte le carte diplomatiche possibili perché le regioni ribelli si accontentassero dell'autogoverno. Ma l'Oriente bianco non chiede autonomia: vuole l'indipendenza. Vuole diventare come il Kuwait. I proventi del gas li vuole per sé.

Perché il mandato del presidente boliviano sia revocato, i voti contrari alla sua gestione devono superare quelli con cui è stato eletto. Che furono tanti, il 54%. E' difficile che perda. Ma per vincere deve riuscire a far votare tutti. Un referendum boicottato dalla metà del Paese si potrebbe trasformare per lui in un boomerang. E a ventiquattr'ore dal voto, come se non bastassero i timori di golpe militare che si rincorrono da giorni, governo e opposizione non sono d'accordo nemmeno su quale sia la soglia per considerare revocati i prefetti. Basta che a cacciarli sia una scheda in più di quante furono necessarie per eleggerli, come dice il governo, o il no deve raggiungere il 50% del totale più uno? Anche su questo si litiga ancora.

Angela Nocioni
Fonte: www.liberazione.it
10/08/2008


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