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La Fabbrica dei dollari in Corea del Nord


Eshin
Famed Member
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La Fabbrica dei dollari

ROMA

Per tredici mesi, dal marzo 2008 all’aprile 2009, un cittadino italiano ha attraversato l’inferno della prigionia in Cambogia. In una caserma, quindi in un ospedale lager, infine nel campo di concentramento di Prey Sar, alle porte di Phnom Penh. Chi lo aveva spinto in quell’abisso — «uomini dell’intelligence americana» che lo consegnano ai servizi cambogiani con «un’accusa farlocca» di riciclaggio, racconta lui — aveva deciso che non dovesse uscirne vivo e che il «segreto» che aveva scoperto se ne andasse con lui. Un segreto — spiega oggi — chiamato «Supernotes», banconote da 100 dollari «vere ma false», stampate con macchine e clichet «autorizzati» niente di meno che in Corea del Nord, con cui l’intelligence americana paga clandestinamente ciò che l’opinione pubblica non può e non deve conoscere. Regimi canaglia, narcotrafficanti e tutto ciò che si può e si deve pagare al mercato nero della sicurezza nazionale.

Sentite un po’. «Le zecche americane del Bureau of Engraving and Printing che stampano banconote non sono due, ma tre. La terza — macchina, carta e tutto il resto, inclusi i rarissimi marcatori — non si trova sul territorio statunitense, bensì in Corea del Nord. Il Paese del dittatore pazzo che gioca con l’atomica. Delle esecuzioni di massa. Delle minacce e della censura. Lo Stato canaglia nemico degli Usa. Talmente canaglia che nessuno può andare a ficcarci il naso. Sono americani quelli che fanno girare le ruote del dollarificio. Sono loro a gestire il traffico di valuta. A utilizzarne i proventi colossali. Americani. Quale che sia la loro sigla. Quale che sia il cappello che si mettono per l’occasione. La struttura per la stampa dei dollari è localizzata nei dintorni di Pyongsong, una città di centomila abitanti a nord-est della capitale Pyongyang. La chiamano “la città chiusa”. Gli stranieri non possono entrarvi. La struttura fa parte della Divisione 39 dei servizi segreti nord-coreani. La Divisione 39 gestisce i fondi riservati del leader coreano. Una dotazione stimata in circa cinque miliardi di dollari». Insomma, «il dittatore nord-coreano minaccia gli Usa e nel frattempo incassa una robusta percentuale nella produzione di Supernotes. Dal canto loro, Cia, Nsa e le altre agenzie finanziano le proprie attività con fondi che i bilanci statali non potrebbero mai garantire».

Ebbene, di questo cittadino italiano, del buco in cui è finito e del segreto che dice di custodire, per tredici mesi, nessuno sembra voglia davvero occuparsi con convinzione. La sua storia non affaccia nelle cronache. Il suo caso semplicemente non esiste. L’allora ministro degli Esteri Franco Frattini scrive una lettera ai familiari in cui genericamente li rassicura sull’impegno della nostra diplomazia nel risolvere quello che viene classificato come l’arresto di un cittadino italiano residente all’estero in forza di un provvedimento di altro Paese straniero (gli Usa) per riciclaggio e reati fiscali. Il «cittadino» deve dunque cavarsela da sé. Dalla sua, ha un’avvocatessa caparbia, Barbara Belli, una donna che lo ama, Patty, e un’anziana madre che vive a Firenze, grazie alle cui rimesse in contanti attraverso Money Transfer («Alla fine, circa 250mila euro versati in più tranches», dice mostrando le ricevute di pagamento), compra la propria sopravvivenza nel lager in cui è rinchiuso e dove viene regolarmente pestato a sangue. Perché quel denaro, per i suoi aguzzini cambogiani, è una fortuna a cui non si possono voltare le spalle. Poi — è appunto l’aprile del 2009 — il nostro riesce a evadere dal suo inferno e a raggiungere l’Italia. Dove, tuttavia, lo attende un mandato di cattura per un’accusa di bancarotta fraudolenta. Si costituisce nel carcere di Regina Coeli, a Roma, dove resta per quattro giorni e viene interrogato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Francesco Ciardi («Capaldo era convinto che fossi al centro dei misteri d’Italia»). Una volta scarcerato, si esilia in una casa di campagna dove getta in un baule il diario sporco di sangue e sudore della sua prigionia, si mette a coltivare gli ulivi, apre una palestra di arti marziali frequentata da ex appartenenti a corpi militari di élite, si tiene in allenamento con qualche lancio in paracadute, diventa padre di una bambina e trascorre notti insonni inseguito dagli incubi di ciò che ha attraversato e dal fantasma del suo passato. Fino a quando non cerca e rintraccia un giornalista che si era occupato di lui, Luigi Carletti. Gli racconta la sua storia, ora scritta in un libro su cui la la Mondadori scommette molto: Supernotes. Quel cittadino italiano nel suo libro di memorie si fa chiamare “Agente Kasper”. È un uomo controverso e la sua storia promette di suscitare un vespaio.

In una palazzina liberty di Roma, in un ufficio illuminato dal primo sole della primavera, Kasper, 55 anni, sorride fasciato da una tshirt aderente blu e pantaloni verde cachi dalle ampie tasche che ne disegnano il corpo massiccio e atletico. Sul bicipite destro fa mostra di sé una grande tatuaggio. Un gladio coronato dal motto unus sed leo. All’anagrafe, Kasper ha un nome e un cognome. Che Repubblica conosce bene per essere stato all’onore delle cronache negli anni ’90 e ancora nei giorni della sua permanenza a Regina Coeli nel 2009. Un nome e un cognome che Kasper e la Mondadori chiedono che non venga reso pubblico. «Il mio nome non ha importanza — dice lui —. La mia vita è cambiata. Sono diventato padre. Con quel mondo ho chiuso. Mi importa solo che un giorno mia figlia, digitando su Google, non pensi che suo padre è stato quello che hanno scritto di lui i giornali. Cose del tipo, “un ex di Avanguardia nazionale che negli anni della militanza studentesca andava in giro con un dobermann” e che certa magistratura ha fatto pensare che fossi, infilandomi anche in golpe da operetta. Mentre la verità è solo che da ragazzo io ero di destra e da adulto ho fatto una vita che non poteva essere raccontata. In fondo, il libro serve a svelare una verità che altrimenti sarebbe morta con me». Quel mondo è il luogo delle ombre e degli specchi che chiamiamo intelligence. Dove nulla è fino in fondo vero o falso. E dove, soprattutto, nulla è mai ciò che appare. Una regola che vale anche per Kasper.

Dice di sé: «Ho lavorato per il mio Paese come agente sotto copertura dall’inizio degli anni ’80, subito dopo essermi congedato da carabiniere. Prima per il Sismi, poi per il Ros. Il mio lavoro di copertura era pilota di aereo per compagnie civili. L’Ati prima, L’Alitalia poi, fino al ’98. Per il mio operato ero stato proposto per una medaglia al valor civile che non mi è stata mai consegnata». Agente sotto copertura, dunque. E tuttavia, assolutamente irregolare. Kasper non risulta sia mai stato incardinato nel nostro Servizio mi-litare, né nel Ros dei carabinieri, per il quale ha comunque partecipato a due operazioni contro il narcotraffico (“Pilota” e “Sinai”) istruite dall’allora procuratore di Firenze, Pierluigi Vigna, e di cui è traccia documentale in sentenze passate in giudicato. «Nulla di più, nulla di meno. Dall’operazione Sinai in poi, il Ros non ha più avuto rapporti operativi con Kasper. Nei carabinieri Kasper ha svolto il servizio di leva e i carabinieri sono un organismo di polizia giudiziaria che opera su direttiva della magistratura, non sono un Servizio segreto», dicono oggi al comando del Raggruppamento speciale dell’Arma. «Non potevo che essere un irregolare — osserva lui — perché certe cose possono farle solo gli irregolari. Né ho mai manifestato l’intenzione di diventare effettivo alla nostra intelligence. Sarei finito a marcire dietro una scrivania. E non era quella la vita che volevo».

La vita che Kasper voleva la racconta nel suo Supernotes. Roba da arditi. Pistole, stupefacenti, agenti della Cia, del Fbi o semplicemente ex spioni che nella Ditta sono stati per poi mettersi in proprio e diven
tare free-lance dell’intelligence. Volti e gesti stravolti dall’adrenalina nei diversi angoli del globo. Un plot in cui il lettore non ha molta scelta. Credere o meno a ciò che legge. Che i dollari della vergogna, falsi ma veri, esistano («Li ho visti con i miei occhi»), che il governo abbia abbandonato questo suo cittadino perché scomodo. Non fosse altro perché dagli atti ufficiali della nostra magistratura e della nostra diplomazia risulta un racconto capovolto che suona così: Kasper viene arrestato su richiesta dell’Fbi perché accusato di frode informatica, uso di documenti falsi e di aver riciclato quattro milioni di dollari, viene assistito dalla nostra ambasciata a Bangkok anche attraverso il console a Phnom Pehn, visitato e monitorato nel periodo della sua prigionia e quindi regolarmente rilasciato dalle autorità cambogiane con un visto in uscita che gli ha consentito di raggiungere Vienna in aereo.

Luigi Carletti, il giornalista che di Kasper ha raccolto le memorie, dice: «Si può pensare quel che si vuole della storia che mi ha raccontato. Ma un fatto è certo. Tutti i procedimenti contro di lui sono improvvisamente evaporati. Non se ne sa più nulla. In Italia, in America, in Cambogia. Nessuno lo ha più cercato. Forse perché quelle accuse erano strumentali. O no?». Kasper sorride. «Voglio pensare che devo la mia vita alla buona sorte e a un amico come l’ex comandante del Ros, il generale Ganzer. Che ci sia stato lui dietro la mia fuga da Prey Sar». Ganzer, oggi in pensione, schiarisce la voce: «Nel ’98, dissi a Kasper che essendo stato esposto a un grosso rischio con le operazioni Pilota e Sinai, la sua collaborazione con il Ros doveva ritenersi conclusa per sempre. Da allora, in modo del tutto autonomo, Kasper si è prima messo nei guai con agenti del Nocs e della Finanza. Poi ha aperto un bar in Cambogia, dove è finito in carcere su rogatoria americana. In quei tredici mesi, l’unica cosa che feci, fu attivare la nostra Direzione Centrale dei Servizi Antidroga perché l’addetto a Bangkok e il nostro console in Thailandia si sincerassero di quanto stava accadendo. Ho visto Kasper l’ultima volta quando si è costituito al Ros nel 2009 per essere accompagnato a Regina Coeli. Mettiamola così. Kasper è un uomo intelligente ma anche molto avventuroso».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/03/23/la-fabbrica-dei-dollari.html


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brumbrum
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Registrato: 2 anni fa
Post: 1643
 

Sembrava interessante poi ho letto repubblica...........
sarà l'ennesima sparata per togliere di mezzo il contante ?


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Luca Martinelli
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1984
 

a me sembra un articolo di fantasia...vista anche la fonte...sappiamo che tutti i servizi segreti più importanti fanno soldi neri col traffico di droga. Non ha senso stampare biglietti veri/falsi. E' pur vero che la Nord Corea ha a suo tempo acquistato una macchina stampa-soldi dal fabbricante svizzero Giori. Ma gli svizzeri hanno da molto tempo smesso di consegnare gli aggiornamenti e ora gli esperti dicono che è solo un rottame.


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dana74
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 14335
 

Sembrava interessante poi ho letto repubblica...........
sarà l'ennesima sparata per togliere di mezzo il contante ?

e na bella zampata contro la Korea che gli Usa vogliono fare en plein e prndere tutto, Siria Cina e Korea incluse


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dana74
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 14335
 

alllora repubblica sta praticamente raccontando che l'intelligenze si avvale di una rete DI CRIMINALI che opera in ogni dove, e chi è il pazzo?

"Il Paese del dittatore pazzo che gioca con l’atomica"

Già peccato che solo gli Usa le BUTTINO SULLE ALTRE NAZIONI

"La chiamano “la città chiusa”. Gli stranieri non possono entrarvi. La struttura fa parte della Divisione 39 dei servizi segreti nord-coreani."

Da fastidio al pennivendolo? Io posso andare a curiosare nella sede della CIA o alla Casa Bianca?

Spesso manco il parlamento italiano è avvicinabile.....

"Un segreto — spiega oggi — chiamato «Supernotes», banconote da 100 dollari «vere ma false», stampate con macchine e clichet «autorizzati» niente di meno che in Corea del Nord, con cui l’intelligence americana paga clandestinamente ciò che l’opinione pubblica non può e non deve conoscere."

ma naturalmente questo viene considerato quasi normale e giusto se poi lo stesso mi specifica

"Insomma, «il dittatore nord-coreano minaccia gli Usa e nel frattempo incassa una robusta percentuale nella produzione di Supernotes."

Incredibile le acrobazie di sto pennivendolo

Cmq molto interessante, facendo la tara della propaganda proatlantica dettagli interessanti


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