«Un estratto dal saggio di Euclid Tsakalotos e Christos Laskos (PlutoPress 2013). E' uno testi migliori sulla crisi tra Grecia e Europa e presenta le analisi del successore di Yanis Varoufakis sui problemi che ora affronta come nuovo ministro delle finanze di Atene».
La nostra tesi principale è che la crisi greca non sia assolutamente da considerarsi un caso particolare. Al contrario, essa costituisce il paradigma di una più generale crisi dell’assetto politico ed economico neoliberista. In questo senso, è necessario non solo comprendere le origini della crisi economica globale ma anche capire perché la struttura economica e istituzionale dell’eurozona si sia rivelata inadeguata per affrontare gli effetti della crisi esplosa nel 2008.
Le politiche di austerità che hanno dominato la scena sin dall’avvento della crisi hanno rafforzato l’impostazione neoliberista dell’economia e della società. Lo spazio per rispondere alle domande provenienti dagli strati più bassi della società si sono andati drammaticamente riducendo, anche rispetto al periodo, comunque contrassegnato dall’egemonia neoliberale, precedente la crisi.
Tale irrigidimento ha coinciso con un sempre maggiore distacco tra le élite la realtà sociale o, alternativamente, con una crescente incapacità delle medesime élite di recepire proposte di soluzione ai problemi provenienti dall’esterno dei loro circoli.
La risoluzione finale della presente crisi non potrà portare alla ricostruzione delle condizioni vissute delle economie neoliberali prima del 2008 né, tantomeno, condurre verso il ritorno di un sistema socialdemocratico di tipo Keynesiano. Dovremmo ricordare che non vi fu nessun ritorno agli status quo precedenti in seguito alle due grandi crisi degli anni ’30 e ’70.
Dunque, da questa crisi si muoverà o nella direzione di un’economia capitalistica caratterizzata da un sostanziale autoritarismo oppure verso un lungo periodo di trascendenza rispetto ad alcuni degli elementi fondamentali del capitalismo.
La nostra visione rispetto alla situazione attuale può essere sintetizzata nelle quattro tesi che seguono.
La crisi che ha investito la Grecia non presenta alcun carattere di eccezionalità
La narrativa che vorrebbe la Grecia come un caso isolato ed eccezionale si fonda su tre elementi tra di loro interconnessi. In primo luogo, l’irresponsabilità fiscale dei politici greci. In secondo luogo, le dinamiche clientelari che affliggono il sistema politico greco. Infine, sia l’irresponsabilità della classe politica che il clientelismo diffuso sarebbero da ricondurre a una generale incapacità di modernizzarsi del paese.
Tutto ciò dovrebbe condurre a una giustificazione dell’austerità fondata sulla favola calvinista cara ad Angela Merkel, per la quale i peccatori debbono essere puniti per gli sbagli da loro commessi nel passato. La nostra visione non potrebbe essere più lontana da quella appena sintetizzata.
La Grecia, all’alba dell’esplosione della crisi, era completamente posizionata all’interno di un’impostazione neoliberista sia dal punto di vista economico che da quello politico. Il paese si trovava a condividere con gli altri Stati membri tutti i tratti caratterizzanti le economie fondate su basi neoliberiste, così come tutti i fallimenti sperimentati dalle stesse economie. In altre parole, la crisi greca è comprensibile solo se la si guarda come una manifestazione della crisi globale del neoliberismo piuttosto che come una crisi dovuta all’incapacità di applicare, in modo efficace, le ricette proprie dello stesso sistema neoliberale.
Siamo di fronte ad una crisi globale del neoliberismo e del capitalismo
La nostra seconda tesi è confermata dal fatto che l’epicentro della crisi è localizzabile nei paesi più avanzati dal punto di vista dell’applicazione delle ricette neoliberiste, piuttosto che in paesi ‘statalisti’ quali la Francia o la Grecia. La nostra interpretazione della crisi, inoltre, rifiuta nettamente l’interpretazione ortodossa sulla base della quale il malfunzionamento dei sistemi economici sarebbe da ricondurre a ragioni esogene al sistema stesso. Le radici della crisi sono, altresì, legate all’incertezza e all’instabilità endogenamente prodotta dal sistema capitalistico.
La crisi ha messo a nudo la fragilità del sistema politico post 2008
Dopo una breve fase in cui i principali elementi caratterizzanti l’impostazione neoliberista – la deregolamentazione del sistema finanziario, i superbonus dei manager, gli squilibri macroeconomici tra paesi o gli effetti dell’individualismo sulla coesione sociale – sono stati messi in discussione dalle stesse élite, vi è stato un rapida e rinnovata convergenza verso lo status quo ideologico.
In tale contesto, la domanda da un milione di dollari è stata: per quale motivo la crisi del 2008 non è stata colta, dalla socialdemocrazia, come un’opportunità per riaffermare le proprie ragioni sull’ideologia neoliberista?
La nostra ipotesi è che i socialdemocratici siano intrappolati in quel che viene definito da Blyth nel 2002 il «cognitive locking». Dopo tanti anni di egemonia culturale neoliberista i socialdemocratici si son scoperti non più in grado di guardare il modo da un’altra prospettiva.
Dalla crisi attuale non è possibile tornare indietro
La nostra tesi conclusiva è che dalla crisi che stiamo sperimentando non è possibile tornare indietro. Le strade possibili sono due. Una svolta verso una forma di capitalismo autoritario o una trascendenza di alcuni degli elementi fondamentali del capitalismo. Nel secondo caso si avrà un disvelamento degli effetti corrosivi prodotti da una visione ingegneristica della economia in cui un unico modello è valido per tutte le società.
Il razionalismo-tecnocratico fa di concetti quali la «competitività» o la «flessibilità del mercato del lavoro» elementi di per sé pregni di valore e sulla base dei quali i paesi vengono costantemente classificati. Questa visione ha avuto un effetto devastante sullo stato di salute delle democrazie occidentali. E sulla capacità di costruire una narrativa basata sulle domande crescenti provenienti dagli strati più bassi della società.
Il legame fondamentale tra la democrazia e il funzionamento del sistema economico dovrà, dunque, essere posto al centro della risposta della sinistra alla presente crisi.
* Quello qui è presentato è un estratto da «Crucible of resistance. Greece, the Eurozone and the World Economic Crisis» di Euclid Tsakalotos e Christos Laskos (PlutoPress 2013). E’ uno testi migliori sulla crisi tra Grecia e Europa e presenta le analisi del successore di Yanis Varoufakis sui problemi che ora affronta come nuovo ministro delle finanze di Atene.
Euclid Tsakalos e Christos Laskos
Fonte: www-ilmanifestoinfo
7.07.2015
Traduzione di Dario Guarascio
Fantastico !
Euro mai nominato.
In compenso però ci affidiamo alla " trascendenza di elementi fondamentali del capitalismo "
La trascendenza ................. già ! 🙄
E' indubbiamente molto istruttivo conoscere il pensiero del ministro delle finanze greco.
Al di la' del fogliettino da hotel con due note scritte a mano, come ci hanno propinato i media mainstream, soprattutto via TG.
Questi ministri greci delle finanze scelti da Syriza sembrano avere le idee molto chiare. Eppure agiscono in modo confusionario.
E' la messa in pratica che lascia interdetti: trattative infinite, tira e molla.
Cedo, non cedo, dopo magari si', oppure no.
Quelli dell'UE sono ottusi, ma ci voglio stare assieme comunque.
Non e' vero che abbiamo vizi nostri, percio' dateci nuovi soldi, domani vi dico perche'.
Mi viene in mente il vecchio detto: fra il dire ed il fare...
A naso l'unica via d'uscita dignitosa per la Grecia da questa situazione e' uscire davvero dall'UE, non solo dall'euro, in modo composto, per modo di dire accompagnato amorevolmente dagli ottusi dell'UE. Poi la Grecia si gestira' come meglio crede. Pur fuori dall'UE non s'annichilano mica le possibilita' di commercio con la stessa, ma restano appunto solo questioni commerciali. Eppure Syriza non vuole uscire dall'UE. Che cavolo vuole? Va bene la trascendenza, ma suvvia veniamo al dunque. Che comunque arriva per conto suo, per via robotica, diciamo cosi'.
C'e' qualcosa di oscuro che accomuna le varie sinistre europee: l'attaccamento viscerale all'UE, a questa UE. Perche' ci stanno attaccati come tenie all'intestino? Che c'azzecca una filosofia di sinistra con questa UE? Con la filosofia di questa UE, coi suoi modi di fare, con la sua impostazione. Ok, questa UE e' stata costruita per meta' da esponenti di sinistra, Delors e Mitterrand in primis. Ma c'e' qualcosa di piu' profondo, di maligno in questo male oscuro dei vari PS, che di fatto sostengono questa UE come pochi. Come pochi vogliono distruggere il concetto di nazione, che e' poi il desiderata ultimo delle multinazionali.
Oh certo, ministro, la Grecia e' immacolata. Guarda te, in 150 anni di Grecia moderna, questa ne ha passati 100 in default! Forse gli sta entrando nel DNA il fatto di vivere sopra i propri mezzi, cioe' coi mezzi altrui. Altrui che oggi sono perlopiu' semi-inconsapevoli di pagare le tasse pure per la Grecia. A loro non si chiede di esprimersi in referendum. Visione un po' strabica della democrazia.
Ministro, studi una via decente d'uscita, va'. La smetta con la manfrina l'UE e' oscena ma vogliamo starci assieme. Sia chiaro con tutti, coi Greci, con l'UE, col mondo. La Grecia non verra' abbandonata a se stessa se torna nazione europea fuori dall'UE. E' anche vero che dovra' disbrigare da sola i compiti in casa. Una ripulitina al DNA non fa male ogni tanto, 100 anni di default andrebbero messi alla porta prima o poi. Giusto? Che sia l'ultimo, questo tutti si augurano. Ma per le forche caudine del default ci deve passare ministro. Tanto vale passarci in modo degno, senza raccontar lucciole per far lanterne.
Sia coerente con se stesso: pianifichi il default e l'uscita dall'UE, in modo dignitoso. I Greci non vogliono? Che cavolo vogliono, si puo' sapere?