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Non investire più nelle occupazioni


fasal75
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Originale italiano con link: http://znetitaly.altervista.org/art/6963

di Stephen Zunes

7 agosto 2012

In replica alle continue violazioni della legge internazionale e dei diritti umani fondamentali da parte del governo israeliano di destra di Benyamin Netanyahu nella Cisgiordania occupata e altrove,

c’è stata a una richiesta crescente di disinvestimento di azioni delle grosse imprese che appoggiano l’occupazione. Il movimento che segue il modello della campagna di disinvestimento di largo successo degli anni ’80 contro le grosse imprese che facevano affari nel Sudafrica dell’apartheid, ha come obiettivo le compagnie che appoggiano l’occupazione israeliana fornendo armi o altri strumenti di repressione alle forze israeliane di occupazione, investendo o facendo affari con delle imprese, negli insediamenti illegali di Israele, e in altri modi. Sebbene gli attivisti per i diritti umani riconoscano tale tattica come una forma legittima di solidarietà internazionale non violenta con un popolo oppresso, i gruppi di destra che appoggiano l’occupazione e anche alcune altre organizzazioni moderate preoccupate per il tono stridente anti-israeliano di alcuni sostenitori del dinsinvestimento, hanno denunciato il movimento.

La campagna, tuttavia, ha segnato successi notevoli. Un obiettivo della campagna è stata la Compagnia Caterpillar, che ha fornito alle forze di israeliane le ruspe che hanno demolito illegalmente migliaia di case palestinesi. Nei mesi scorsi, TIAA/CREF, (un fondo pensionistico privato) che è il fornitore principale di indennizzi pensionistici per chi opera nel campo universitario, della ricerca, medico e culturale, ha rimosso la Caterpillar dal suo Fondo per la scelta sociale. La influente Morgan Stanley Capital International, ha cancellato la Caterpillar dal suo World Socially Responsible Index (Indice Mondiale socialmente responsabile), e la Quaker Friends Fiduciary Corporation è entrata in una lista di gruppi che hanno disinvestito azioni dalla compagnia. Alla recente assemblea generale della Chiesa Presbiteriana degli Stati Uniti, una risoluzione di disinvestimento dalla Caterpillar, dalla Motorola e dalla Hewlett Packard, per la loro complicità nell’occupazione, è stata sconfitta per uno strettissimo margine.

Opporsi all’occupazione dovunque

Alla riunione dei Presbiteriani e altrove, molti oppositori della risoluzione del disinvestimento, hanno riconosciuto che il governo israeliano, è impegnato in gravi violazioni dei diritti umani nei territori occupati, ma hanno espresso la preoccupazione che la soluzione del disinvestimento “sceglie ingiustamente Israele.” In effetti, ci sono molti governi nel mondo che sono coinvolti in violazioni peggiori dei diritti umani, rispetto a Israele, e tali violazioni dovrebbero essere combattute senza tener conto che avvengano entro i confini di un paese, riconosciuti a livello internazionale, o in un territorio occupato illegalmente. Dato che Israele è il solo stato ebraico del mondo, è comprensibile che ci sia una particolare sensibilità per il fatto che soltanto Israele è considerato come obiettivo, per quanto possano essere gravi le trasgressioni del governo.

Tuttavia, c’è una posizione legale più forte per opporsi alle violazioni dei diritti umani in territori riconosciuti in stato di occupazione straniera belligerante. La legge internazionale nella maggior parte delle situazioni, proibisce alle imprese straniere di sfruttare le risorse naturali in questi territori. Analogamente, ci sono una quantità di problemi legali riguardanti l’esportazione di armi e di altre risorse militari in paesi che le utilizzano per sopprimere i diritti di coloro che vivono in stato di occupazione.

In effetti, proprio questi problemi erano stati oggetto di dibattito internazionale durante l’occupazione della Namibia da parte del Sudafrica, quella dell’Iraq da parte del Kuwait, e l’occupazione di Timor Est da parte dell’Indonesia.

Oggi, ci sono soltanto tre paesi coinvolti in quella che le Nazioni Unite e la comunità internazionale riconoscono come occupazione straniera belligerante: Israele, Marocco ed Armenia. Anche se si può perorare la causa per l’indipendenza del Tibet, della Cecenia e di Papua Ovest, (e anche di molti altri territori che aspirano a diventare indipendenti), la comunità internazionale considera che essi si trovano all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti di Cina, Russi e Indonesia, rispettivamente, e che quindi non vanno riconosciuti come territori occupati.

Praticamente nessuna impresa commerciale internazionale appoggia l’attuale occupazione da parte dell’Armenia della piccola striscia di territorio dell’Azerbaijan che essa controlla. Invece, molte compagnie appoggiano la continua occupazione da parte del Marocco della nazione del Sahara Occidentale.

La Kosmos Energy, con sede negli Stati Uniti, è l’unica compagnia petrolifera del mondo autorizzata per fare ricerche petrolifere al largo delle acque territoriali del Sahara occidentale occupato. Nel 2002, un’analisi legale degli Stati Uniti ha determinato che continuare questa attività esplorative sarebbe una violazione della legge internazionale. Analogamente, le due compagnie statunitensi di fertilizzanti – la PCS e la Mosaic, sono i principali clienti della produzione illegale di fosfati del Marocco, nel Sahara Occidentale occupato. E, come accade nei territori occupati da Israele, i fabbricanti di armi con sede negli Stati Uniti, hanno rifornito le forze di occupazione marocchine coinvolte in quelle che i gruppi indipendenti per i diritti umani hanno definito come violazioni madornali e sistematiche dei diritti umani, compresi i fabbricanti del gas lacrimogeno che è stato usato per interrompere le manifestazioni pacifiche fatte per chiedere il diritto all’autodeterminazione.

Allargare il boicottaggio

La lotta della solidarietà palestinese verrebbe notevolmente rafforzata se, invece di chiedere il disinvestimento specificamente dalle compagnie che appoggiano l’occupazione israeliana, questa richiesta fosse per il disinvestimento dalle imprese che appoggiano tutte le occupazioni belligeranti.

Dal momento che vorrebbe dire di fatto soltanto una nazione in più, e soltanto un piccolo numero di imprese, non svierebbe molta attenzione dall’occupazione israeliana e dalle imprese che la appoggiano. E, cosa ancora più importante aiuterebbe ad allontanare il dibattito dalla dicotomia pro-Israele – contro anti-Israele, nel quale la gente spesso finisce per non capirsi riguardo all’argomento del dibattito: i diritti umani e la legge internazionale.

Il Marocco è un paese principalmente arabo-musulmano. Considerando il Sahara occidentale insieme alla Palestina, il movimento eviterebbe l’accusa riscegliere ingiustamente soltanto Israele. Dopo tutto, bisognerebbe individuare tutte le occupazioni illegali, non soltanto una.

Il Marocco, come Israele, viola una serie di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e una decisione importante della Corte Internazionale di Giustizia che riguarda la loro occupazione. Il Marocco, come Israele, ha illegalmente trasferito diecine di migliaia di coloni nel territorio occupato. Il Marocco, come Israele, è coinvolto in violazioni madornali e sistematiche dei diritti umani nei territori occupati. Il Marocco, come Israele, ha costruito illegalmente un muro di separazione da una parte all’altra dei territori occupati. Il Marocco, come Israele, conta su sugli Stati Uniti e su altri appoggi da parte dell’Occidente, per mantenere l’occupazione rendendo gli Stati Uniti incapaci di applicare la legge internazionale. Il Maro
cco, come Israele, è in grado di mantenere l’occupazione in parte per mezzo dall’appoggio delle imprese multinazionali.

E proprio come la Palestina è riconosciuta da molte nazioni ed è membro a pieno titolo della Lega Araba, il Sahara Occidentale è riconosciuto da molte nazioni ed è un membro a pieno titolo dell’Unione Africana, assicurandosi quindi appoggio internazionale.

Includere tutte le occupazioni nella campagna di disinvestimento non solo aiuterebbe a proteggere il movimento da accuse false di “anti-semitismo, e diffonderebbe più largamente il suo appello, aiuterebbe a portare l’attenzione verso la lotta, poco nota ma importante, per l’autodeterminazione del popolo Sahrawi contro l’occupazione illegale e oppressiva parte del Marocco del loro paese che nel 1975 è stato invaso dal regno con il sostegno degli Stati Uniti, otto anni dopo la conquista israeliana della Cisgiordania e di altri territori arabi. (Per un riassunto della lotta del Sahara occidentale e delle sue implicazioni, vedere Western Sahara: The Other Occupation) [ Il Sahara Occidentale].

Data l’intensa polarizzazione, le aspre polemiche, e i sospetti riguardanti Israele e Palestina, sarebbe di gran lunga più efficace una campagna basata più su principi legali e morali universali contro l’occupazione, invece di una campagna rivolta a un particolare paese che ha una comunità nazionale forte e influente. Date le sofferenze del popolo palestinese (e del popolo Sahrawi), e la complicità che hanno il governo e delle grosse imprese statunitensi nella loro oppressione, non meritano nulla di meno.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/divesting-from-all-occupations-by-stephen-zunes

Originale: Foreign Policy in Focus

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY -NC-SA 3.0


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