Notifiche
Cancella tutti

Stato, popolo e mezzi di comunicazione: ci consegniamo?


cubainforma
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1957
Topic starter  

www.cubainformazione.it

Iroel Sánchez
 
Oggi Granma pubblica questo mio testo che incorpora alcune idee e dati, con altri che già abbiamo condiviso nel blog, sul tema dei mezzi di comunicazione.

Il 15 aprile 2009 il Capo dell'allora Sezione d'Interessi USA a Cuba scriveva in un cablo, che poi fu rivelato da Wikileaks, "è improbabile che il movimento tradizionali di dissidenti rimpiazzi il Governo cubano", aggiungendo che "blogger, musicisti ed artisti plastici, non appartenenti ad organizzazioni di dissidenti" adottano "molto meglio, posizioni ribelli di grande impatto".

Ma i nomi scelti apparivano, nelle stesse rivelazioni di Wikileaks e nei reportage dell'Associated Press che vennero dopo, si screditava così il nuovo progetto e si perdeva la cosa più importante per la sua efficacia: la connessione con la società cubana.

Far uscire qualcuno da Cuba, prepararlo, assegnargli un finanziamento non proveniente direttamente dal governo USA, dichiarare la trasparenza nell'origine ed uso del denaro e proclamare preoccupazione per questioni civiche come il diritto all'informazione ed ai problemi della comunità insufficientemente attesi dalle istituzioni governative, dalle organizzazioni di massa e dalla stampa cubana, era la procedura ma erano necessari nomi senza passato controrivoluzionario e se erano connessi con il mondo accademico, i media e la nascente comunità dei blogger cubani, meglio.

Cuba creò una piattaforma nazionale gratuita per blog ma poi, o forse a causa di ciò, già i blog non interessavano e, oh casualità, presero auge i mezzi di comunicazione privati, raccogliendo i malcontenti della nostra stampa, pagando quello che noi non paghiamo e occupando i vuoti che lasciamo. Ed il denaro fa miracoli: chi in un media cubano omaggiava il Che, poco dopo gli mancava di rispetto, lì dove pagano meglio.

Inoltre, secondo le nuove realtà il denaro governativo si ramifica e terziarizza in modo che è sempre più difficile sapere chi c'è dietro. Il Dipartimento di Stato USA annunciò il 24 dicembre 2014 -esattamente una settimana dopo degli accordi del 17D ​​tra i governi di Cuba e USA-che stava cercando organizzazioni USA o con sede all'estero interessate a programmi che "promuovano i diritti civili, politici e del lavoro a Cuba" per assegnare loro fino a 11 milioni di $ in sovvenzioni che vanno da 500000 $ a 2 milioni $ ciascuno, affermando che avrebbe dato priorità alle proposte che "enfatizzino il ruolo degli interlocutori cubani nello sviluppo e raggiungimento degli obiettivi programmatici". Le attività da finanziare comprendono "formazione, borse di studio di corta durata, o d'impegno" non nella missione diplomatica di Washington all'Avana ma in altri paesi, compresi gli USA.

In tutto il mondo la stampa privata è unanime al momento di giudicare Cuba e segnalarci il cammino che dobbiamo prendere, è unanime quando si scontra, come un unico partito politico, coi processi progressisti in America Latina ed è unanime nel coincidere con le strategie USA nella regione ma -paradossalmente- ci si dice che dobbiamo avere stampa privata per essere pluralisti. E se si chiede dove la stampa privata (o peggio, la governativa che si concentra esclusivamente su di noi dai media pubblici di USA ed Europa), difende i più deboli, dove dà voce ai sindacalisti ed ai disoccupati, allora sei estremista. Si scopre che l'estremo starebbe non nella minoranza che controlla tutto ciò o in chi la serve chiedendo una "purga calcinante" degli ultimi sessanta anni della nostra storia nel miglior stile dei "tre giorni per uccidere", ma in coloro che lo denunciano.

Sia che si tratti di media governativi con divisioni speciali dedicate all'isola, o di media privati con gestori installati all'interno del paese, la linea editoriale che occupa il centro della stampa costruita dall'esterno, per condurre Cuba al capitalismo, è mostrare il successo del privato di fronte al fallimento del collettivo.

Nella sua vista panoramica dell'autostrada della capitale non appaiono coloro che si trascinano ai suoi margini ma è più attrattiva se accanto al trionfatore individuale - "imprenditore" o emigrato- si collocano in primo piano le buche nel progetto collettivo senza dire quanto siano il risultato delle mine seminate lì da quelli che pagano coloro che scrivono su loro incarico.

Che si faccia attraverso la seduzione commerciale non la rende meno propaganda che l'indicazione esplicita. È già noto che, per la CIA, la "forma di propaganda più efficace" è quella in cui l'individuo agisce nella direzione in cui ci si aspetta, per ragioni che ritiene siano le proprie.
Per quanto riguarda l'uso della censura, avanzano i testimoni che lì è la stessa minestra, ma è certo che quando comanda il denaro c'è meno bisogno perché, come ha detto Milton Friedman: "quanto più ampio sia l'uso del mercato, minore sarà il numero di problemi in cui si richiedono decisioni espressamente politiche e, di conseguenza, quelle in cui è necessario raggiungere un accordo".

Molto deve cambiare la nostra stampa per essere lo strumento di controllo popolare, partecipazione cittadina e crescita spirituale di cui Cuba ha bisogno e per sfruttare, in essa, tutto il potenziale dei nostri giovani giornalisti e dei nostri intellettuali, ma non è con l'aiuto interessato di coloro che hanno reso Noam Chomsky uno sconosciuto nel suo stesso paese e con la sua persecuzione portarono alla morte il giovane attivista per il libero accesso alle informazioni Aaron Swartz che lo otterremo.

O è per caso che in questa strategia questi media promotori della restaurazione capitalista coincidano con l'esplicito suggerimento del presidente Barack Obama, durante la sua visita a L'Avana, opponendo il ​​popolo allo Stato cubano, e attaccando il Partito Comunista come garanzia di quel potere? Ha smesso qualche volta lo stato rivoluzionario di lottare a beneficio degli interessi del popolo cubano? Non è statale la politica di un media privato ​​che serve la strategia di uno stato straniero? Non sono proprio quelli che si sono storicamente opposti agli interessi del nostro popolo quelli che hanno bisogno, e finanziano, una stampa ostile al nostro stato?

Se qualche dubbio c'è su quale lato sta ciascuno, che si controlli quale posizione adottarono, all'unanimità, questi spazi quando lo stato, per proteggere l'alimentazione del popolo, adottò misure per fermare la speculazione sui prezzi dei prodotti alimentari.

Come si relazionano stato, Partito e mezzi di comunicazione nel socialismo per meglio servire il popolo e vincere nella lotta ideologica contro il capitalismo è una questione irrisolta e dove si sono commessi non pochi errori in molte latitudini. Siamo lontani dal aver fatto realtà quanto espresso da Fidel nel 1977, quando ha detto:

"Nel nostro concetto, i giornali ed i mezzi di comunicazione di divulgazione di massa appartengono al popolo. E deve esistere la più ampia libertà perché il popolo utilizzi tali media a favore dell'interesse della causa, nella dura critica contro tutto ciò che è mal fatto. Credo che mentre più critica esista dentro il socialismo c'è, ciò è meglio ... "

Ma lo Stato socialista a cui aspiriamo, ogni volta più democratico e popolare, ed il cui disegno ora discutono centinaia di migliaia di cubani in totale libertà non è il problema, ma può essere l'unica soluzione per realizzarlo. Il grande giornalista argentino Victor Hugo Morales, che ha sofferto la censura, persecuzione e vessazione dei media privati ​​nel suo paese lo spiega chiaramente:

"Il problema più grave della democrazia è l'influenza dei mezzi di comunicazione convertiti in partiti politici, schermati nella libertà di espressione come un bene che è al di
sopra di tutti gli altri.

La reale libertà è quella che è compromessa quando i media concentrati soffocano tale ideale. Di tutte le corporazioni è la più potente, perché si trova alla testa di quell'esercito che combatte lo Stato come se fosse la causa dei mali, e non la sua cura, o per lo meno un palliativo in questo mondo arreso ai piedi del capitalismo. Solo lo Stato può regolarlo e mitigare la sconfitta della maggioranza, perché fa più grande e più profonda la discussione politica.
Al di fuori dello Stato, per i più vulnerabili, non c'è mondo, non c'è dignità, non c'è nulla che valga la pena. E la guerra mascherata nei valori della libertà di espressione è senza pietà, costante, crudele e menzognera. Senza Stato non c'è democrazia, perché è lui che può arbitrare nell'ineguale relazione delle forze in conflitto."

In questa guerra, dove ci giochiamo il destino come Rivoluzione degli umili, dagli umili e per gli umili, non abbiamo diritto a consegnare le armi della comunicazione ai ricchi, dai ricchi e per i ricchi che sono, in definitiva, coloro che oramai le controllano nella maggior parte del pianeta.


Citazione
Condividi: