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Le “nuove verità” su Moro, tutte bufale ...

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helios
Illustrious Member
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Mischiare tutto col frullatore ... per poi appunto arrivare alla conclusione che è meglio che la gente se ne stia sempre zitta e buona ... perchè se si ribella poi viene fatalmente strumentalizzata da qualcuno a fini inconfessabili ... è il miglior messaggio che il mantenimento dello status quo può oggi diffondere ... e ovviamente viene diffuso a piene mani ...

Queste 3 righe dovrebbero essere l'incipit di qualsiasi pagina che si occupi di storia moderna e contemporanea e dei blog di cosiddetta "controinformazione" come questo, e taglia le gambe a 3 pagine di commenti al post iniziale.
I miei complimenti a radisol che ringrazio per non aver abbandonato queste pagine.

Interessante notare che chi sta dicendo che la gente se ne deve star zitta e proprio quello che vuole far star zitto tutti continuando a spargere a piene mani la versione ufficiale,con tanto di bduttuti contento.
Non vedo qualcuno che si ribella, ma piuttosto pecoroni che continuano imperterriti a star dietro alla versione ufficiale che sappiamo tutti che e falsa.

Tanto per la coerenza il post iniziale non ha nulla a che fare con il resto del topic.
Tutte cose che budrruti non riesce a vedere e capisco che non puo fare altrimenti che complimentarsi all incoerenza che pure lui sparge a piene mani sopperendo agli argomenti che latitano.


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Rosanna
Famed Member
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Mi dispiace ma stavolta ha ragione helios, perché nell'affare Moro erano molto presenti i servizi segreti americani della Cia, il problema di Gladio, e la P2 ...
basterebbe pensare all'esito che ha avuto la storia, dato che il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Le radici di Gladio – Un esempio di trasformismo

La parola Gladio deriva da un’antica spada corta usata dagli antichi romani. Nel 1942 il servizio segreto americano offrì al prigioniero super-mafioso Charles "Lucky" Luciano (detto Teflon-Lucky) la libertà, in cambio egli dovette riprendere i contatti con le vecchie amicizie in Sicilia. Grazie a queste ritrovate amicizie si preparò in Sicilia, l’anno seguente, lo sbarco degli alleati americani. Gli USA e i mafiosi siciliani diedero così inizio ad una lunga collaborazione. L’"Office of Strategic Services" (OSS), dopo CIA, si mise in contatto con i Cavalieri di Malta, che erano legati strettamente alla Chiesa cattolica. Cavaliere era, tra l’altro, il capo del OSS, William "Wild Bill" Donovan come anche il capo della CIA, William Casey.

Figura chiave tra i cavalieri era lo stesso Licio Gelli, fondatore della Propaganda Due. Solo la fuga nelle mani dell’US-Army lo salvò dalla giustizia dei partigiani, egli aveva collaborato con i fascisti tedeschi, era diventato sottotenente delle SS naziste e spiava i partigiani e li denunciava ai tedeschi. Comunicava ai nazisti i nascondigli della Resistenza e poi avvertiva gli stessi partigiani consentendo loro di mettersi in salvo. Quindi un ufficiale di collegamento che presto si specializzò nel doppiogioco come scrive Coglitore. Prima reclutato dalla "Counter Intelligence Corps" (CIC), poi nel 1950 dalla SIFAR Gelli diventò la figura chiave nei rapporti tra la CIA ed il primo capo del servizio segreto italiano, generale Giovanni De Lorenzo. Subito dopo la seconda guerra mondiale, i servizi segreti italiani si sciolsero. Gli agenti del’OSS, di cui uno divenne capo della CIA, crearono una rete segreta che avrebbe costituito la base sulla quale sarebbe nata GLADIO.

Miliardi di dollari cominciarono ad arrivare in Italia fin dall’inizio degli anni cinquanta. Nel 1949 l’Italia faceva parte della NATO, nacquero quindi il "Servizio Informazioni Forze Armata" (SIFAR), ad opera della CIA e del coordinamento della NATO. Nel 1956 il generale De Lorenzo diventa capo del SIFAR e grazie all’appoggio degli americani GLADIO nasce in quest’anno sotto il suo commando con “l’ufficio R" (come "Ricerche"). Nello stesso 1956 egli passò direttamente alle dipendenze dei servizi segreti italiani. Il nuovo servizio segreto nasce con gli ex-fascisti. Un primo piano di Strage di stato ("Piano Solo") sotto il generale De Lorenzo richiese una totale riorganizzazione. Nasce il "Servizio Informazioni Difesa" (SID).

Ad opera della SID furono compiute negli anni settanta innumerevoli stragi. Proprio nel 1977 si trasforma essa in SISDE ("Servizio Informazioni Sicurezza Democratica”) servizio che fece parte del Ministero dell'Interno e SISMI ("Servizio Informazioni Sicurezza Militare"). I nodi di collegamento rimangono gli stessi. Il capo della SISMI, Santoviti, e loggista della P2 come il suo sostituto Pietro Musumeci, vennero, come anche Gelli condannati per la strage della stazione di Bologna nel 1980. 31 Maggio 1972: vicino Trieste morirono tre Carabinieri a causa di un’autobomba. Grazie al magistrato Felice Casson, che riprese il processo nel 1990 fu scoperto lo scandalo di GLADIO. Ma tutto cominciò con una trasmissione del tg1 del luglio 1990, durante la quale il giornalista Ennio Remondino (oggi inviato Rai all'estero e allora in ricordo per le interviste, piene di retoriche domande a Curcio, Moretti e Faranda) intervista un agente della CIA, ben disposto a fare una serie di rivelazioni sconcertanti sui rapporti tra CIA, la destra italiana e la massoneria. Seppure una piccola parte della complessa struttura delle istituzionali italiane crolla, anche se con molto rumore. L'allora Presidente della Repubblica, Cossiga, si rivolge direttamente al direttore generale della Rai e chiede la testa del giornalista e del direttore del tg1.

Nuccio Fava, effettivamente rimosso dall'incarico a favore del più andreottiano Bruno Vespa. Vengono accusati il capo della SISMI, il loggista della P2 Santoviti. Alcuni membri di "Ordine Nuovo" furono condannati perché ritenuti responsabili. Il materiale della bomba si scoprì proveniente dai depositi di GLADIO. L’esperto Marco Morin, anche lui membro di "Ordine Nuovo", mise - con una falsa perizia – sulle tracce delle Br. GLADIO riuscì a presentare alla giustizia, in veste di perito di armi, uno dei suoi, Marco Morin per ben due processi, cioè quello di Aldo Moro e quello del caso Dalla Chiesa. Un pentito mafioso Cessina preciserà in seguito in tribunale di aver sempre sentito dire, all’interno di Cosa Nostra, che uno dei canali per arrivare ad Andreotti era la Massoneria. Un altro cerchio si sta per chiudere. Al processo di Perugia si cerca, ancora oggi, di capire quale fu il ruolo di Giulio Andreotti nel caso Aldo Moro e nel delitto Pecorelli.

Il perché del rapimento Moro

Per i brigatisti, come hanno più volte raccontato, la figura di Moro rappresentava il simbolo di quello Stato Democratico tanto aborrito. La macchina del sequestro, dell’interrogatorio fu messa in moto dai brigatisti non per ostacolare la formazione del governo di solidarietà nazionale, premessa del compromesso storico di cui Moro era fra gli ideatori, progettato per quel 16 marzo 1978 e che comunque andò in porto, ma perché le BR consideravano la DC facente parte del SIM, “Stato imperialista delle multinazionali” ed il così detto “compromesso storico” con il partito comunista al governo, strumento per manovrare la macchina di questo superpotere capitalista. Con il fatto che alla base dei motivi del rapimento di Aldo Moro ci fosse il riconoscimento nella sua persona del simbolo dello Stato della DC non è d’accordo il figlio dello statista, Giovanni Moro, il quale dichiara: “C’è una verità storica e riguarda il perché Moro: Abbiamo detto che si volle sventare un progetto politico [...]

Molti dicono che Moro era un simbolo. No, era il catalizzatore, per non dire il demiurgo di un’operazione politica. E l’hanno fermato per questo, altro che simbolo... Poi c’è una verità politica. Che riguarda il comportamento dei partiti. In particolare della Dc e del Pci, d’accordo nella decisione di darlo morto fin dal primo giorno”. A salvare la vita di Moro sarebbe bastato, come afferma la Faranda, il riconoscimento delle Br come interlocutori politici. Un altro brigatista, Franceschini ricorda che loro, in altre parole le Br della prima ora, avrebbero offerto allo stato “mille soluzioni” come la liberazione di un prigionero in Uruguay, la liberazione di un prigioniero ammalato, ecc. Ma il sistema politico italiano non voleva trovare e far trovare una soluzione come sostiene pure il capo-mafia Cutolo in un’intervista. Tuttavia c’è chi, come Sabbatucci, sostiene che è molto improbabile che lo Stato potesse avere gli estremi per trattare, che la classe dirigente potesse compromettersi agli occhi dell’opinione pubblica e intavolare le trattative coi brigatisti. Apparentemente più fondata appare la posizione di coloro che sostennero la linea della trattativa, i così detti trattativisti, che sarebbero state sufficienti poche concessioni, anche di facciata, a salvare la vita dello statista. Ma un successo delle Br, anche simbolico, avrebbe prolungato la vita del fenomeno terroristico e avrebbe bloccato la valanga di pentimenti che di lì a poco si sarebbe scatenata.

E ancora Giorgio Bocca afferma:
“se non si vuol credere, come ha detto Moretti, che alcuni giovani di poca cultura e di pochi mezzi abbiano messo
in fibrillazione lo Stato, se si vuol continuare a mettere assieme romanzi polizieschi sulla vicenda lo si faccia, si continui pure all'infinito.”

La Sip parallela

È utile cominciare con quello che avvenne il 15 marzo 1978, giorno precedente il rapimento di Moro: la SIP, o meglio quella che verrà in seguito ipotizzata come la SIP parallela, una struttura segreta esistente all’interno dell’azienda, venne messa in allarme. Verso le ore nove e qualche minuto del mattino del giorno seguente in via Fani è black-out dei telefoni. Una squadra della SIP viene immediatamente mandata sul luogo, i tecnici confermano, ma l’azienda assurdamente smentisce il fatto. È inutile precisare che l’interruzione delle linee telefoniche era di vitale importanza per l’esito del rapimento, nessuno anche tra gli abitanti della strada avrebbe così potuto telefonare alla polizia e avvertire dell’accaduto raccontando circostanze e particolari.

A partire da questo episodio si susseguono, durante i 55 giorni di prigionia dell’on. Moro, strane quanto improbabili coincidenze legate all’azienda dei telefoni: il 14 aprile, alla redazione del Messaggero, è attesa una telefonata dei rapitori, vengono così raccordate in un locale della polizia, per poter stabilire la derivazione, le sei linee della redazione del giornale, ma al momento della chiamata la DIGOS accerta l’interruzione di tutte e sei le linee di derivazione e non può risalire al telefonista. L’allora capo della DIGOS parla, nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, di totale non collaborazione della SIP. Nessuna volta fu individuata l’origine delle chiamate dei rapitori, eppure furono fatte due segnalazioni. Quest’assoluta non collaborazione, quando non si è trattato di vero e proprio sabotaggio, se si pensa alla straordinaria efficienza dimostrata dall’azienda in altre circostanze, ha compromesso in modo definitivo l’esito delle indagini.

La Sip doveva essere denunciata. L’allora direttore generale della SIP era un iscritto alla P2, Michele Principe, si capisce come il non funzionamento della stessa fu reso con tanta efficienza. La SIP può essere annoverata insieme ad altri apparati che hanno di proposito dimostrato inefficienza anche se in grado di operare efficacemente. A condurre l’operazione al centralino della SIP fu il commissario Antonio Esposito, iscritto alla P2 dunque presunto incaricato di Gelli, il suo numero di telefono venne trovato nell’abitazione del capo della colonna romana, Valerio Morucci durante il suo arresto, Morucci sarà proprio il brigatista che annuncerà, dalla stazione Roma Termini, la morte di Moro. I giudici non fecero mai particolari domande in merito a questo numero. Il 28 marzo 1978 arrivò alla redazione de Il Messaggero una telefonata delle Br, la telefonata fu interrotta (dal commando d’ombra? vedi prossimo capitolo), di conseguenza fu impossibile scoprirne l’origine.

Il “commando d’ombra”, il doppio stato e la P2

La Commissione strage ha presentato, durante la X legislatura un’ampia relazione stesa grazie all’approfondimento di elementi forniti dai processi Moro-ter e Moro-quater, dal ritrovamento di documenti in Via Monte Nevoso, dai contenuti di alcuni memoriali dei brigatisti. Grazie a questi apporti la Commissione ha potuto dichiarare ancora aperti problemi inerenti alla dinamica dell’agguato di Via Fani, alla scomparsa di documentazione fotografica dei luoghi della strage, al black-out dei telefoni, al numero degli attentatori e poi dei carcerieri, alla precisa identità del famoso ingegner Altobelli, al non autentico comunicato n. 7, conosciuto anche come “lago della Duchessa”. La relazione si chiude concludendo che queste ultime indagini, oltre ad aver individuato una realtà tutt’altro che definita, hanno aperto la strada all’ipotesi che alla base del rapimento Moro ci fosse un oscuro complotto in cui erano interessati i settori istituzionali, la criminalità organizzata siciliana, calabrese e romana. Il capo-mafia Bontate promosse personalmente un’iniziativa a favore di Moro all’interno dell’organizzazione. In una riunione di capi mafia, egli però la causa di Moro, ma fallì. “Uno dei boss che sulla questione si schierò contro di lui, Pippo Calò osservò: Stefano, ma ancora non l’hai capito, uomini politici di primo piano del suo partito non lo vogliono libero”.

Il 22 aprile 1999 il presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino comunica di aver avuto documenti che fanno chiarezza sulla vicenda riguardante le dimissioni del prefetto Gaetano Napoletano, segretario del Cesis, durante il rapimento Moro. La versione corrente è che Napoletano avesse avanzato le sue dimissioni proprio durante quei 55 giorni, fu invece l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti a revocarlo dal suo incarico. Il prefetto Napoletano era l'unico dirigente dei servizi segreti dell'epoca che non apparteneva alla loggia P2.

"Oggi [22 aprile 99, n. mia] - ha detto Pellegrino - noi abbiamo acquisito dal presidente del Consiglio, che ringrazio, la copia del decreto di revoca dell'incarico di Napoletano da segretario del Cesis. In questa c'è un richiamo ad un parere del comitato, che dovremo acquisire per verificare quali siano state le ragioni per cui, in una fase così delicata, questa neonata struttura di coordinamento tra servizio civile e militare conobbe questo mutamento di vertice. Tutto ciò può non significare nulla, può significare qualcosa o può significare molto. Io non mi sento depositario di una verità acquisita a priori".
Quando si venne a sapere – tramite le Commissioni – che la lista degli iscritti alla P2 e la lista dei responsabili durante l’intera operazione era per una buona parte identica, si chiuse il cerchio. E come ciliegina sulla torta, negli ambienti del “commando d’ombra” aleggiava il fantasma di Michele Sindona, assassinio giacente ancora nel buio. Banchiere di fama internazionale ma anche della P2, era uomo di fiducia del Vaticano e insieme della mafia, pentito aveva iniziato la sua collaborazione con la giustizia. Egli aveva fatto luce sui legami tra mafia e P2, la sua eliminazione, avvenuta in carcere, fu decisa proprio in fase di pentimento con un caffè “corretto” al cianuro.

Accusato di aver istigato l’assassinio dell’avvocato Ambrosoli, fu ritenuto responsabile della bancarotta del Banco Ambrosiano. L’avvocato scoprì il ruolo di Gelli e Andreotti negli intrecci tra cosche mafiose e P2, dunque anche l’eventuale responsabilità di Giulio Androtti nel caso Aldo Moro. Sergio Flamigni sostiene la tesi secondo la quale esisteva un secondo staff ufficioso, una sorta di commando d’ombra. Il suo ruolo sarebbe stato quello di contrapporsi alle indagini ufficiali per impedire che si trovasse la prigione di Moro. I membri di questo staff sarebbero stati Licio Gelli, un responsabile del ministero dell'Interno, Federico D’Amato e uno specialista americano, probabilmente un agente segreto che lavorava per conto di Henry Kissinger e Capo del dipartimento Anti-terrorismo dell’U.S. State Departement, Steve Pieczenik. D’Amato e Pieczenik facevano parte anche dello staff ufficiale. D’Amato diresse per alcuni anni la sede centrale della CIA Europe a Berna. Visto che CIA e SISMI facevano parte della stessa “famiglia” P2 (furono mandanti e loggisti in una persona), era ovvio che nel tim del ministero dell'Interno non ci si occupava della telefonata anonima che indicava cinque persone coinvolte nella strage di via Fani. Le tracce avrebbero per esempio portato alla macchina da scrivere di proprietà dei servizi segreti.

Il comunicato telefonico passò alla polizia solo dopo 29 giorni. Si eseguì una prima perquisizione in una tipografia il giorno della morte di Moro. La pista americana viene ancora vivacemente discussa come dimostra una disputa tra Katz e Drake e pubblicata dallo stesso Drake, autore di “Aldo Moro The Murder case”, in una colonna chiamata "Katz 'Stones' Italian histor
y, Guest Column by Richard Drake". Chotjewitz (1989) parla nell’appendice all’edizione tedesca Affäre Moro di Sciascia di due autori del delitto e scrive che l’autore che avrebbe un interesse alla morte di Moro non sarebbe identico a quello che avrebbe eseguito l’assassinio e aggiunge che la relazione tra autore immediato e mediato non sarebbe basata su un semplice rapporto tra committente ed esecutore (Chotjewitz, p. 124). Il più complesso intreccio sarà descritto in seguito.


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Rosanna
Famed Member
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Il caso Moro è servito appunto anche per eliminare il PCI, che da quella storia non si riprenderà più ... e naturalmente ciò tornava molto utile alla Cia, agli Usa, a Kissinger e com.

Le spie, gli infiltristi nelle BR e la moto Honda

Il tenente colonnello Antonio Cornacchia, loggista e incaricato per il ritrovamento della prigione di Moro, non nega davanti alla Commissione parlamentare l’esistenza di informatori infiltrati nelle Br come sostiene anche Flamigni in un’intervista televisiva, ma aggiunge che non avrebbero potuto svolgere un ruolo attivo. Tra i membri iscritti alla loggia Propaganda Due, si trovano pure personaggi della CIA di Roma, una trentina di generali italiani, i capi di tutti i servizi segreti italiani e la maggior parte del comitato di crisi del Ministro Cossiga che si occupava dei fatti durante il rapimento di Moro. L’intera lista P2 è pubblicata sul sito di Clarence. Il colonnello Camillo Guglielmi, loggista e parte attiva di Gladio, esercito paramilitare segreto della NATO attivo in Italia con lo scopo di evitare la diffusione del comunismo nell’Europa occidentale, era presente in via Fani alle nove di mattina del 16 marzo. Egli giustifica la sua presenza grazie ad un invito a pranzo. La possibilità di un pranzo alle nove viene condivisa dal brigatista Moretti, uscito dal carcere dopo aver scontato neanche il terzo della pena prevista, in un’intervista televisiva con un “era possibilissimo”, eloquente risposta che la dice lunga sulle ipotizzate infiltrazioni nelle BR.

Il dipendente ed agente di Guglielmi, Pier Luigi Ravasio, dirà davanti alla Commissione parlamentare che il suo Capo sarebbe stato informato prima della data e luogo del rapimento. Quello che stupisce è la precisione con la quale sono stati uccisi i cinque agenti della scorta, la metà dei proiettili risultano fatti esplodere dalla stessa arma. Moretti dichiara che tutte le Br avrebbero sparato da un lato, ma le indagini dimostrano il contrario. I proiettili provenienti da quell´arma presentavano una particolare vernice che si usa normalmente contro la ruggine. La verniciatura dei proiettili porterebbe ad ipotizzare che la provenienza delle armi fosse la stessa utilizzata da Gladio, e la necessità di proteggere i proiettili dalla ruggine fa pensare che le armi provenissero da depositi sotterranei. Dunque la “casuale” presenza del colonnello Guglielmi, come ufficiale di GLADIO responsabile dell’addestramento delle unità di combattimento «stay behind» alla base NATO a Capo Marrargiu sull'isola sarda (come si seppe nel 1991 dalla Commissione strage Gladio). Egli incarnava all'agguato di via Fani la rappresentazione di GLADIO con il compito di verificare se il tutto andava bene.

Moretti e Franceschini ammettono, durante un’intervista televisiva, che le Br, nonostante alcune esercitazioni nell’arte di sparare avevano gravi problemi con le armi e che non erano assolutamente in grado di sparare con precisione. In un conflitto a fuoco non si può essere sicuri di non subire perdite. Tanto più che, come ha rivelato il brigatista Bonisoli a Sergio Zavoli che lo intervistava in Televisione "Noi avevamo una preparazione militare approssimativa.

C'eravamo allenati ogni tanto a sparare alle bottiglie, in periferia, il mio mitra si inceppò e io non sapevo cosa fare. Possibile che i brigatisti fossero solo in nove, ad affrontare una scorta composta da cinque uomini? L'agente Iozzino riuscì ad uscire dall'auto di scorta: e se fosse riuscito a colpire uno dei terroristi? Di qui la ragionata convinzione che, la dinamica dell'agguato ed il numero dei partecipanti debba ancora essere oggetto di accertamenti per raggiungere una verità piena e convincente. Esiste un’importante informazione fornita da tre testimoni che parlano di una Honda presente sul luogo della strage, con due uomini a bordo. Uno dei testimoni, l'ingegner Alessandro Marini, si era visto addirittura arrivare una raffica di mitra addosso dall'uomo seduto sul sellino posteriore. I brigatisti però negano tutto e sostengono che non avrebbero avuto nessuna moto in via Fani.

Markevitch, i partigiani finti, il ruolo di Dalla Chiesa

Markevitch, negli anni 50, viveva in una dependance di villa Tatti, in casa del critico d'arte Bernard Berenson, sulle colline tra Fiesole e Settignano, oggi sede di un'università Usa. Poi soggiornò a Fiesole, nella villa dei misteri. Esiste solo un Anfitrione o c’è anche la mente strategica del sequestro? Certo non quella del “dinamitardo”, che poco si concilia con il suo stile di vita e con il segreto che ha tenacemente avvolto per vent’anni la sua identità di partigiano, ed è in questa parte della sua vita che va cercato il movente segreto del ruolo che oggi viene attribuito ad Igor Markevitch. Alberto Franceschini raccontò che i brigatisti consideravano gli ex partigiani un punto di riferimento, e il colonnello Niccolò Bozzo, stretto collaboratore di Dalla Chiesa, ha raccontato alla commissione Stragi che il generale poco tempo prima della morte inseguiva un’ossessione: “Era convinto che a tirare le fila fosse una rete messa in piedi, durante la Resistenza, dagli Usa, uomini infiltrati nelle organizzazioni di sinistra come ex partigiani rossi, ma in realtà di opposta ideologia”. I brigatisti storici appaiono imbarazzati da queste rivelazioni. Maccari, presunto quarto uomo, liquida la vicenda: “Sciocchezze, sono un testimone oculare, Moro fu assassinato in via Montalcini”. Morucci, che per primo ha messo sulla pista dell’Anfitrione, ora minimizza. Certo e´che molte pagine andranno riscritte. Il Ghetto pullulava di covi Br, a quanto si scopre oggi. Efisio Mortati, il primo pentito, raccontò di essere stato ospite di tal “Anna e Franco” in via dei Bresciani, vicino ai Banchi Vecchi.

E nel rapporto Sismi dell’80 si fanno i nomi di questi due brigatisti, come coloro che interrogarono Moro. Però la descrizione che ne fece Mortati non coincide con nessuno dei brigatisti noti.

Il ruolo di Igor Markevitch

Il 30 maggio 1999 quotidiani italiani, come Il Messaggero, hanno parlano del misterioso uomo di Firenze. Il nome di Markevitch, morto nell’83, compariva già nell’80, quand’era all’apice della notorietà, in un rapporto del Sismi. Secondo il servizio segreto militare a condurre l’interrogatorio di Moro, nel carcere delle Br, era tal Igor Caetani, più tardi identificato come Markevitch, marito della principessa Topazia Caetani, proprietaria di un Palazzo nell´ omonima strada, sposata nel ‘48 in seconde nozze, principessa dell’omonima casata e proprietaria del palazzo nobiliare che si trova all’angolo tra via Caetani e via dei Funari, a venti metri da dove la mattina del 9 maggio ‘78 fu ritrovato, all’interno della Renault rossa, il cadavere di Aldo Moro. Un palazzo con il passo carraio e due leoni in pietra nel cortile, che corrispondono alle indicazioni fornite da Pecorelli, il giornalista poi assassinato.

Ora ci si chiede se la realtà non abbia superato l'immaginazione. Pellegrino, presidente della commissione Stragi, così si esprime: “Alla luce di queste rivelazioni, molti messaggi del passato acquistano un nuovo significato” Il volantino numero 7, ad esempio, messo a punto da Tony Chichiarelli, collaboratore del Sismi, ucciso dopo la miliardaria rapina alla Brinks, era stato finora considerato un depistaggio. Ma ci si chiede se invece non era una segnalazione, ahimè ignorata, proveniente da una frangia dei servizi segreti che indicava dove andare a cercare Moro, nel Lago (Palazzo?) della Duchessa, anticipandone la condanna a morte. La Duchessa è un personaggio ricorrente nelle allegoriche rivelazioni di Pecorelli che, due settimane dopo l’uccisione di Moro, sembrava conoscere l’ultima prigione: scrisse infatti che in via Caetani, dietro il muro dov’è stato trovata la Renault, la Duchessa vede “i ruderi del Teatro Balbo, il terzo anfiteatro dove un tempo antichi guerrieri
scendevano nell’arena. Chissà cosa c’era nel destino di Moro, perchè la sua morte fosse scoperta contro quel muro”. Un’allusione alla Gladio di “Stay behind”, allora segretissima?

I possibili mandanti dell’assassinio di Moro, le menti misteriose

Probabili prove rafforzerebbero la tesi secondo la quale esistono dei mandanti che avrebbero affidato il compito a specialisti, dunque si trattò di strage di stato. Le foto scattate dall’operaio Gerardo Lucci

Tali foto scattate subito dopo la sparatoria, facevano forse vedere “lo specialista”. L’operaio si trovava casualmente la macchina fotografica che doveva utilizzare durante la sua giornata lavorativa di metalmeccanico. Le foto sviluppate e i negativi finiscono, dopo un incontro della moglie di Lucci con il magistrato Luciano Infelisi, nel buio della giustizia.

I negativi spariscono per sempre. Solo alcune foto che fanno vedere la macchina vengono restituite. 2. In quanti erano in via Fani? Nessuno si è mai interessato seriamente alla cifra esatta. Valerio Morucci ha diverse volte fatto i nomi di sette uomini: Mario Moretti, Raffaele Fiore, Bruno Seghetti, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani e lui stesso. In un’interrvista televisiva di molti anni dopo ha indicato altri due nomi: Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, il primo arrestato e processato in Svizzera dove si era rifugiato, il secondo mai catturato. È stato visto, intervistato e fotografato in Nicaragua, dove aveva aperto un ristorante, ma non ha mai scontato un solo giorno di galera. Alla fine Morucci ha tirato fuori anche il nome di Rita Algranati, che a bordo di un motorino doveva segnalare al commando l'arrivo delle auto di Moro e della scorta. Anche lei è stata segnalata in Nicaragua. Morucci adesso giura di aver davvero detto tutto, rimane insoluto il mistero della moto Honda.

3. La richiesta delle foto

Sei settimane dopo arriva una telefonata dal segretario di Moro, il deputato della DC, Cazora, chiede le foto scattate da Gerardo Lucci. Questa telefonata fu registrata. Cazora ricorda che avrebbe ricevuto una telefonata dalla Calabria “perché mi hanno ... [parte cancellata sul nastro] ... telefonato dalla Calabria...”. Si potrebbe identificare sulla foto una persona, che si conoscerebbe in Calabria. Infatti il nastro è stato manipolato e casualmente (!) proprio quella parte che porterebbe probabilmente all’anonimo specialista. 4. La ‘ndrangheta era probabilmente presente alla sparatoria Nell’ottobre 1993 emergono informazioni dettagliate che riguardano una spia, scarcerata nel momento della strage in via Fani, un boss della ‘ndrangheta, Antonio Nirta, che lavorava come spia per i carabinieri. Lui sarebbe stato presente in vi a Fani. I contatti tra le cosche e lo stato venivano garantiti dal generale Delfino. Il tutto si venne a sapere grazie al pentimento di Severino Morabito, pentito della ‘ndrangheta del Nord. La famiglia calabrese Delfino teneva buoni contatti con la Dc, in particolare con l´on. Misasi. Proprio a Misasi scrisse Aldo Moro un’ultima disperata lettera d’aiuto. Ci si chiede perché proprio a lui. Moro sapeva qualcosa che riguardava il rapporto tra DC e le cosche e tra politica e cosche/servizi segreti/forze maggiori. 5. Le due parti separate delle Brigate rosse. Flamigni sostiene la tesi secondo la quale erano state date precise diposizioni affinche alcuni brigatisti non fossero arrestati. Gli elementi più duri come Moretti, i “falconi”, dovevano essere guidati per mezzo di persone terze e dovevano essere strumentalizzati a scopi come sparare e assassinare. I brigatisti “intellettuali” coloro cioè che non avevano mai ucciso dovevano essere separati dagli altri perché non erano in grado di eseguire un sanguinoso agguato come quello di via Fani. Questa tesi è sostenuta anche dal brigatista Franceschini, egli racconta anche, che dopo il suo arresto (avvenuto nel 1974) fu interrogato dal giudice Giancarlo Caselli che gli mostrò le foto degli incontri con «frate Mitra» [Silvano Girotto, l'infiltrato che nel '74 provocò l'arresto di Curcio e Alberto Franceschini] "le foto in cui c'ero io - dice Franceschini - e una foto con Moretti indicato con un cerchietto. Caselli chiese lui: "Lei conosce questa persona?". Erano le foto con Casaletti, quelle del primo incontro. Io rispondevo di no. Poi mi fece vedere le foto in cui c'ero io e una foto con Moretti indicato con un cerchietto. Mi chiese se lo conoscevo e risposi di no.” Lui si mise a ridere e mi disse: “Se non lo conosce, almeno si ponga il problema del perché l'operazione è stata fatta quando c'era lei e non quando c'era quella persona.” «Quando fui arrestato, il giudice Giancarlo Caselli nel corso dell'interrogatorio mi fece vedere una cinquantina di fotografie in bianco e nero, mescolate tra loro, sugli incontri con Frate Mitra». La foto fu scattata durante uno dei primi due incontri ai quali si presentava una persona come “probabile” nuovo brigatista. Dopo l’interrogazione, il magistrato negò di aver fatto questa domanda. La foto fu fatta sparire nella nebbia del tribunale, essa faceva vedere inoltre una terza persona di particolare interesse che ovviamente doveva rimanere in incognita. Al terzo incontro fu arrestata la menta intellettuale della prima ora delle Br, Franceschini e Moretti non erano presenti. Flamigni si chiede come mai l’arresto avvenne solo in occasione di questo terzo incontro.

Flamigni interroga Vincenzo Fragalà per dimostrare che uno dei “falconi” come Moretti serviva libero non solo durante, ma pure dopo la morte di Moro: “Lei ha sostenuto che il suo arresto assieme a Curcio, nel settembre 1974, fu ritardato di una settimana dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per evitare che venisse catturato anche Moretti. Perché?” «Fu ritardato di alcuni mesi. È un altro di quegli episodi strani di cui non ho mai trovato la spiegazione. Gli incontri con Frate Mitra [Silvano Girotto, ndr] furono tre, in mesi successivi. A tutti e tre andò Renato: al primo assieme ad Attilio Casaletti, che è un pentito; al secondo assieme a Moretti; al terzo andai anch'io, che pure non ci dovevo essere. Dalla Chiesa, di fronte alla commissione Moro, ha dichiarato espressamente che fece fotografare tutti e tre gli incontri: lo dichiarò a proposito del doppio arresto di Patrizio Peci. L’avvocato della difesa di Curcio, Giannino Guiso, sottolinea in un’intervista alla televisione tedesca che le Br non sarebbero state capaci di eseguire una tale operazione con la mostrata precisione senza l´appoggio da parte di terze persone. 6. Il falso comunicato numero sette Il falso comunicato numero sette (alias comunicato del Lago della Duchessa) e il finto scoppio di un tubo dell’acqua il 18 aprile in via Gradoli dimostra che da parte dei mandanti c’era un certo nervosismo e una certa fretta, perciò si volle creare un depistaggio e/o magari inviare un messaggio che anticipasse la morte dello statista. Il rifugio di Mario Moretti e Barbara Balzerani infatti era «saltato» grazie a una fuga d'acqua che secondo i vigili del fuoco sembrava fosse stata provocata: uno scopettone era stato appoggiato sulla vasca e sopra lo scopettone qualcuno aveva posato il telefono della doccia (aperta) in modo che l'acqua si dirigesse verso una fessura nel muro. Sull'ipotesi di Moro vittima della trattativa, Franceschini dice tra l'altro: "Era difficile mantenere nascosto Moro per così tanti giorni in una città come Roma, perché se ci fosse stato anche un solo servizio, ad esempio il Kgb, che non era d'accordo, sarebbero stati scoperti.

Questo significa che esisteva un accordo tra tutti quelli che contavano e che avevano deciso che Moro doveva morire. Quel tipo di strategia politica doveva finire. Il sequestro Moro aveva chiuso quel tipo di strategia politica." Su quel 18 aprile (Via Gradoli- Lago della Duchessa) che è forse la giornata cruciale del rapimento, Franceschini dice: "L'operazione Lago dell
a Duchessa-via Gradoli (vanno sempre tenuti insieme) è un messaggio preciso a chi detiene Moro. Da lì c'è una svolta precisa. Gli dicono: «Noi vi abbiamo in mano, possiamo prendervi in qualsiasi momento». Inizia quindi, secondo me, una trattativa sotterranea tra chi detiene Moro e una parte dello Stato. Mi immagino questa trattativa come un braccio di ferro che alla fine produce certi risultati. Un risultato è: la morte di Moro, la salvezza dei brigatisti che lo avevano in mano. Probabilmente, all'interno dello schieramento che faceva la trattativa c'era anche chi pensava che Moro potesse essere liberato..." 9 aprile 1999: Il settimanale «L'Espresso» pubblica, a cura di Antonio Padellaro, un resoconto dell'audizione di Alberto Franceschini in commissione stragi (17 marzo 1999). La polizia trovò un deposito di armi nell’appartamento dei brigatisti della prima ora. 7. Le informazioni trattenute Secondo Flamigni la polizia giudiziaria sa chi ha scritto il comunicato del “Lago della Ducchessa”, ma l’informazione non viene passata né alla Commissione parlamentare né alla Magistratura. Il corpo di Aldo Moro giace sul fondo del lago della Duchessa, diceva il comunicato numero sette delle Br, fatto recapitare il 18 aprile, ma era un falso. L’autore del falso comunicato, si scopre successivamente, è Toni Chicchiarelli, un criminale della “Banda della Magliana” la quale veniva chiamata in causa, in certe occasioni, dai servizi segreti, per eseguire qualsiasi “lavoro sporco”. Ci si è chiesti chi fosse la mente che aveva ordinato di preparare quel comunicato. È chiaro che si trattò di un depistaggio. Chicchiarelli non può più rispondere, verrà ucciso qualche anno dopo. Le indagini finiscono nella sabbia della “Giustizia”.

8. Le minacce a Moro Esse costituiscono un altro mistero mai chiarito. Lo statista aveva ricevuto intimidazioni già durante il suo viaggio ufficiale in America, e negli ambienti politici si aveva sentore che le Br stavano preparando un «attentato contro un esponente democristiano». Un agente della scorta dell’on. Moro si era reso conto, già alcune settimane prima del rapimento, che qualcuno seguiva la macchina dello statista, la segnalazione fu fatta pervenire alla polizia la quale non la prese in considerazione, tanto meno sembrò interessare a qualcuno e in seguito nessuno poté e/o volle ricordarsene. Fu questa una situazione che aveva comunque indotto Moro a pretendere una scorta per i figli, a mettere vetri blindati alle finestre del suo studio in via Savoia e il suo caposcorta Oreste Leonardi a chiedere inutilmente un'auto blindata per il suo protetto. Il presidente Dc aveva ricevuto, dopo la decisione di «aprire» ai comunisti, in America durante un viaggio ufficiale, minacciosi avvertimenti di «altissimo livello» in cui lo si incitava ad abbandonare il suo piano di “compromesso storico” aggiungendo che avrebbe dovuto fermare il tutto o l’avrebbe pagata cara. Moro tornò dal nuovo Continente con una profonda insicurezza e confusione per questo voleva ritirarsi dalla politica per qualche anno. Egli ne aveva parlato - rompendo una ferrea tradizione di riserbo - con sua moglie Eleonora Moro che a sua volta ne parlò, in seguito, davanti alla Commissione. Non si sa se Moro ha saputo del fatto che Kissinger sosteneva con alta probabilità GLADIO e aveva contatti diretti con la CIA che a sua volta aveva piazzato i suoi fedeli nella Propaganda Due.

Nel gennaio 1999 è venuto alla luce che Henry Kissinger informò il governo cinese nel 1974 che gli Stati Uniti avrebbero impedito ai comunisti italiani di entrare nel governo per non creare un precedente in Europa. Lo si apprende dai verbali di un colloquio tra Kissinger, che era allora segretario di Stato degli Stati Uniti, e il vice primo ministro cinese Deng Xiaoping. Il testo è stato pubblicato dai ricercatori della George Washington University che lo hanno ottenuto in base al “Freedom of Information Act”. A Washington, nel 1975, gli Stati Uniti preparavano un intervento militare in Jugoslavia ma diffidavano dell’aiuto da parte dell'Italia. «Dovete capire - disse Kissinger a Deng - che noi facciamo e diciamo cose destinate a paralizzare non soltanto la nostra sinistra ma anche la sinistra europea. Siamo contrari e resisteremo alla inclusione della sinistra nei governi europei. Faremo così in Portogallo perché non vogliamo che sia un modello per altri paesi. E lo faremo in Italia, e naturalmente in Francia» e prosegue con «La Democrazia ha dirigenti molto deboli». Poi scoppia in una risata e aggiunge: «il presidente del Consiglio, Moro, ha la tendenza ad addormentarsi mentre gli si parla» Questo atteggiamento da parte di Moro accentuò ancora di più il conosciuto disprezzo di Kissinger nei suoi confronti. Sull'eurocomunismo Deng Xiaoping mostrava invece un atteggiamento tollerante e spiega che può essere utile «come esempio negativo».

Ma Kissinger ribatte che una vittoria elettorale dei comunisti in Francia o in Italia avrebbe «conseguenze gravi» per la Nato in quanto «rafforzerebbe l'ala sinistra del partito socialdemocratico tedesco, fortemente influenzato dalla Germania dell'Est». Kissinger deplora la debolezza della Dc e racconta come Moro si sia addormentato mentre egli gli parlava. «È sempre lo stesso gruppo, ribatte Kissinger «ma il gruppo di governo della Dc non è molto disciplinato. Noi siamo del tutto contrari a quello che in Italia si chiama compromesso storico e non diamo visti per gli Stati Uniti ai comunisti italiani. Ma loro hanno messo un comunista in una delegazione parlamentare che verrà a Washington e che noi non abbiamo scelto».

9. “Le carte” di Moro Per tutti i 55 giorni della sua prigionia, Aldo Moro aveva scritto: lettere, appunti, ma anche una sorta di riassunto dell'interrogatorio al quale lo stava sottoponendo Mario Moretti. Quelle carte verranno ritrovate in due tempi, nella base Br di via Monte Nevoso a Milano: un primo ritrovamento fu fatto nel '78, ad opera dei carabinieri del generale Dalla Chiesa, un secondo, dodici anni più tardi. Si trattava di quarantatré pagine la prima volta e di 421 la seconda, più una serie di lettere inedite. Ma ci si può chiedere se c'era davvero tutto, e se mancava qualcosa, di cosa si trattava? Moro aveva parlato a Moretti di alcune pagine nere della vita politica di quegli anni e aveva fatto rivelazioni potenzialmente devastanti, che però le Brigate rosse sembrano non aver recepito o almeno così hanno dato ad intendere. Moro traccia, tra altro, il bilancio di uno stato corrotto, parla della relazione di Andreotti con la CIA, dello stesso Andreotti che ha detenuto, più a lungo di chiunque altro, la carica di capo dei servizi segreti ed inoltre ha esposto fatti che riguardavano GLADIO e di certi particolari riguardanti assegni che passavano dalle mani di Andreotti, sarà proprio di questi assegni che parlerà Pecorelli (vedi capitolo).

Il presidente della Commissione strage, Giovanni Pellegrino, sta per presentare la sua relazione finale. Il Messaggero parla in un recente articolo di giovedì 29 Luglio 1999 a cura di Massimo Martinelli, intitolato La relazione della Commissione stragi: più che la vita dello statista, si volle salvaguardare la riservatezza - Caso Moro, sui segreti lo Stato trattò con le Br, di un nuovo scenario, che arriverebbe dopo 21 anni: Aldo Moro fu costretto a svelare segreti di Stato e particolari imbarazzanti legati a circostanze talmente riservate da essere motivo di preoccupazione dei servizi segreti di altri paesi. E quando fu chiaro che egli stava cedendo agli interrogatori sempre più pressanti, la trattativa «vera» non riguardò più la sua vita, ma la restituzione dei verbali con le sue dichiarazioni. Ma a tutt’oggi le autorità giudiziarie non sono in possesso dell’originale completo di quel documento. Giovanni Pellegrino individua, nella sua relazione, un momento preciso in cui le Br cambiarono atteggiamento: “accade subito dopo il comunicato numero 6, che precede immediatamente il falso
comunicato della Duchessa e la contemporanea «scoperta» del covo brigatista di Via Gradoli. Fu allora che cominciò l’«oscura partita», come la chiama Pellegrino, tra alcuni dei brigatisti e apparati dello Stato. Pellegrino ricorda, come il falso comunicato sul lago della Duchessa e anche i riferimenti a Gradoli (dove era una delle prigioni di Moro), erano in realtà solo messaggi che spezzoni di qualche servizio segreto inviarono ai brigatisti per piegarli alla trattativa sui verbali di Moro.

Quei messaggi miravano a far capire ai brigatisti che, se lo Stato avesse voluto, poteva annientarli. Tanto valeva scendere a patti. E la posta in gioco, a quel punto, non era più la vita di Moro, quanto la segretezza delle sue rivelazioni.“ La suocera di Dalla Chiesa, la Signora Setti Carraro, sostiene la tesi secondo la quale Dalla Chiesa non avrebbe consegnato l’interno materiale ad Andreotti per una necessaria precauzione. Si ricorda di aver sentito dire dalla figlia: ”Io so delle cose tremende, ma non posso dirtele. Se te le raccontassi, non ci potresti credere. Carlo mi ha fatto giurare di non dirle a nessuno”. Dopo il suo assassinio, questi documenti, che egli conservava in una cassetta, scomparvero misteriosamente. (Cfr. Drake, p. 257) Richard Drake ricorda che Franco Evangelisti, allora senatore DC, parlò del suo ruolo di messaggero tra Andreotti e Dalla Chiesa. “Descrisse una visita alle due di notte quando Dalla Chiesa si presentò con un dattiloscritto che diceva provenisse dalla prigione di Moro. Mele concluse su quel documento che “potrebbe trattarsi del cosiddetto memoriale”. Drake dimostra un’altra prova: “Il testimone Ezio Radaelli sostenne che un emissario di Andreotti aveva cercato di fare pressioni su di lui perché cambiasse la sua deposizione riguardo ai movimenti finanziari del senatore.” (Cfr. Drake, p. 257)


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Rosanna
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Il presidente della Commissione stragi G. Pellegrino

Sabato 10 Luglio 1999: Pellegrino, presidente della Commissione stragi, afferma: «Il rapimento di Moro fu un doppio rapimento». Al momento non vuole aggiungere altro, ma s’intuisce che le “importanti novità” cui sarebbe giunto in quest’ultimo periodo l’organo bicamerale d’inchiesta riguardano i nuovi personaggi che s’intravedono dietro la strategia terrorista. 1 marzo 1999. Il presidente della commissione Stragi Giovanni Pellegrino insiste: “se si vuole cercare di capire meglio il caso Moro occorre approfondire la pista del Mossad, sulla quale sta già lavorando da tempo la sua commissione.” Pellegrino ripropone anche il mistero sull"anfitrione", colui cioè che a Firenze ospitò e protesse i vertici delle Br durante il sequestro Moro. "Morucci in una sua audizione disse che avremmo fatto dei passi avanti se Moretti ci avesse detto chi era il padrone della casa di Firenze dove si riuniva il comitato esecutivo delle Br durante i 55 giorni."

E questo, per Pellegrino è un dato di fatto così come lo è la traccia che parte da Firenze e arriva a Via Monte Nevoso a Milano. Secondo Pellegrino sono molti gli elementi che provano che: "a Firenze c'è qualcosa di importante che ancora non si è conosciuto". E a proposito di questo dichiara che Flaminio Piccoli, in una sua audizione, fece dell'anfitrione "un identikit estremamente preciso tanto da far pensare che ne conoscesse il nome" (Piccoli definì l'anfitrione "un vip del culturame". La pista che porta al Mossad, per Pellegrino, è legata alla sentenza del giudice Mastelloni su Argo 16 e il recente libro del generale Delfino nel quale si legge di un "referente delle Br rimasto occulto e dietro il quale ci sarebbe un intreccio di servizi: Cia, Kgb e Mossad".
Giovedì 18 marzo 1999. Il sen. Giovanni Pellegrino, in un'intervista al quotidiano Il Tirreno, rilasciata il 17 marzo, il giorno prima dell’audizione di Franceschini, dice: "Il contatto tra Mossad e Brigate Rosse emerge dagli atti giudiziari.”

L’affermazione del giudice istruttore Ferdinando Imposimato, nei primi due processi Moro del 20 marzo 1999 "Quello che ha detto Alberto Franceschini è vero. Anche io ho avuto conferme che le Br, sin dalla loro nascita, ebbero contatti con il Mossad. All'epoca rimasi persino stupito del fatto che i servizi israeliani arrivarono a contattare le Br prima di quelli italiani. Sin dall'80 ebbi la conferma di questi contatti tra Mossad e Br avvenuti grazie alla mediazione di un avvocato penalista milanese che poi in seguito individuai, senza averne peraltro mai la prova certa, in Spazzali. Il primo brigatista a parlare del Mossad fu Patrizio Peci e dopo ... Sarebbe interessante, ad esempio, leggere i verbali che durante i famosi 55 giorni il comitato di crisi avrebbe dovuto redigere e che invece risultano scomparsi.”

Sarebbe fondamentale conoscere chi ospitò a Firenze la direzione strategica delle Br. E ricordarsi che l’esperto americano della intelligence Pieczenik, che di recente ha dichiarato che in Italia Moro non lo si volle liberare, era stato mandato da Kissinger apposta per impedire che Moro fosse salvato. Attualità - L‘Anfitrione di Firenze, il “Grande Vecchio” e il fumetto Metropoli Chi è l‘anfitrione? L‘anfitrione di Firenze è il proprietario della casa fiorentina dove si riuniva la direzione strategica brigatista durante il sequestro. È ancora un uomo oscuro indicato con tanti sinonimi. "Il Tirreno" pubblica sulla vicenda anche altri articoli. Antonio Marini, il magistrato che come sostituto procuratore della Repubblica di Roma ha indagato sul caso Moro fino al 1998, dice: "Da sempre sappiamo che buona parte del sequestro Moro è stata gestita da Firenze, ma non siamo mai riusciti a trovare elementi".

Marini ricorda l'audizione in cui Valerio Morucci parla di Mario Moretti defininendolo "la sfinge" e invita a capire cosa avvenisse a Firenze, dove si riuniva il comitato esecutivo e chi fosse il personaggio che ospitava i dirigenti brigatisti. Per Marini l'"Anfitrione" è un intellettuale, che non parla il linguaggio delle Br "e che oltre a ospitare i membri del comitato esecutivo probabilmente ricopriva anche il ruolo di suggeritore". L’Espresso scrive: “Da quando Valerio Morucci, nel giugno di due anni fa, parlò in Commissione dell'anfitrione, è sceso un silenzio di tomba. Anche le persone che avevano dato cenni di disponibilità - mi riferisco a Mario Moretti, a Bonisoli, Azzolini e a Laura Braghetti - dopo quel momento si sono rifiutati di venire in commissione. Stessa questione per quanto concerne il possibile contatto con il Mossad. È calato un silenzio totale anche in quelle persone che almeno per chiarire la proprio posizione, prima intervenivano."

L’Espresso del 10 giungo Br e Prima Repubblica / una testimonianza - Grande vecchio, I presume riscavando nella storia contemporanea, fa emergere il nome di colui che Pecorelli aveva indicato come Igor. Martedì 20 aprile 1999. Alcuni parlamentari chiedevano notizie del vero regista del caso Moro. Il presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi Giovanni Pellegrino ha interrogato l'ex ministro socialista Claudio Signorile introducendo il discorso sul famoso fumetto del mensile "Metropolis" che a suo tempo pubblicò un'inquietante ricostruzione del delitto Moro. Il fumetto fa vedere un volto nascosto che partecipò all’interrogatorio di Moro. Si suppone che le domande sarebbero state precostituite, cioè formulate in ambienti esterni alle Br. Con ciò la possibilità di riconoscere in una persona precisa l’ombra del “grande vecchio”, molti giorni prima che lo stesso Pellegrino si interrogasse sulla figura e il ruolo di Igor Markevitch come possibile anfitrione delle Br nei giorni del sequestro Moro.

Per questo sembrava a L’Espresso interessante rileggere le dichiarazioni di Signorile e le domande che Pellegrino gli fa forse già informato della nuova pioggia di presunte rivelazioni. Pellegrino chiese a Signorile se avesse riferito a qualcuno l'esito dei suoi colloqui con Fanfani. «Sì, a Franco Piperno», era la risposta. E Pellegrino, di rimando: «Metropolis è Piperno e quindi è lui che dà i contenuti al fumetto». Signorile giura di non averlo mai visto, Pellegrino ribatte che i commissari lo studiano perché «è pieno di strani messaggi». E finalmente giunge la domanda: «Lei ci ha detto di non credere al Grande Vecchio. Tuttavia, nel fumetto di "Metropolis", che è estremamente realistico, si rileva una singolarità che è quasi un messaggio: dell'uomo che interroga Moro non viene disegnato il volto». Signorile risposta con: «Evidentemente è un volto collettivo».

Infatti, pure la magistratura di Brescia è tornata sulla vecchia pista tracciata in maniera enigmatica da Mino Pecorelli su "Op" subito dopo l'assassinio di Aldo Moro. L’anonimo ospite ed Igor sono state ipotizzate come unica persona. La pista è quella che porterebbe ad Igor Markevitch, come persona che secondo ricostruzioni avrebbe ospitato i capi Br nella sua villa in Toscana. Conclusione Mario Scialoja scrive su L’Espresso del 02.07.1998 un articolo dal titolo Caso Moro / Dietro i sospetti di Scalfaro C‘era un covo a Firenze, nel quale parla dell’intervista a Scalfaro al Quirinale dove ci fu un incontro tra Oscar Luigi Scalfaro e il senatore Giovanni Pellegrino. Il brigatista Morucci raccontò alla Commissione stragi che, secondo lui, Moretti riceveva direttive da terze persone e alla base di queste affermazioni il capo dello stato, in occasione del ventennale della morte di Aldo Moro, all’Università di Bari fa il 9 maggio del 1998 dichiarazioni che darà vita ad una disputa. Un insieme di processi è riuscito ad arrivare ai responsabili del terribile crimine, ma Scalfaro, e la sua è opini
one comune, dubita che la Giustizia sia riuscita o abbia avuto l’intento di colpire le menti che diressero l’intero scenario. Sulla domanda di Pellegrino: “le intelligenze criminose che scelsero e centrarono il bersaglio, in quel momento politico essenziale, sono comprese in questi processi? ...”

La risposta sottintesa di Scalfaro era un "no" e che ha dato vita ad un'aspra polemica con il senatore Francesco Cossiga, all'epoca del caso Moro ministro degli Interni, convinto che non vi siano altri livelli nascosti del partito armato. Scalfaro sostiene che si ha “la sensazione che loro non furono altro che dei colonnelli. I generali, secondo lui, devono essere ancora individuati”. Quella di Scalfaro somiglia molto all'ipotesi del Grande Vecchio che avrebbe tirato i fili delle Br. La tesi di Scalfaro sarebbe quella dell’esistenza di un livello "superiore" di Br. Tuttavia la commissione si allontana dall’opinione di Scalfaro: Scialoja chiede a Pellegrino se la sua analisi andrebbe nella direzione di quella del capo dello Stato. La risposta è definitiva: “No. Siamo arrivati alla conclusione che il delitto Moro sia stato un delitto poco contrastato: nel senso che non c'era un vertice misterioso sopra le Br, ma che c'era nello Stato qualcuno che ha favorito l'azione delle Brigate rosse. E più andiamo avanti nelle indagini, più questa convinzione si rafforza.”

Il 5 dicembre 1998 chiede Andrew Gumbel del “The Independent” di Londra in un articolo dal titolo „The riddle of Aldo Moro: was Italy's establishment happy to see him die? Many say the police did not do all they could to save the ex-PM kidnapped 20 years ago“ se sarebbe piaciuto allo stato italiano vedere morto Moro. Nel giugno 1980 occorreva l’iniziativa del giornalista Luca Villoresi de „La Repubblica“ per arrivare alla tanto desiderata scoperta: Grazie ad un „tip anonimo“ telefonico scoprì il luogo dell’appartamento romano in Via Montalcini. Grazie alle iniziative di un giornalista come Pecorelli che fece prendere la cornetta in mano a polizia, magistrati, politici ed altri giornalisti riuscì a superare l’inerzia dello Stato, ma lo stesso non riuscì a giungere a niente. Una parte dello Stato (i trattativisti) non fecero infatti niente per salvare Moro, perché non solo in tanti avevano sfiducia negli apparati di sicurezza ma ne temevano l'inefficienza e l'inaffidabilità. Come dire che se fosse stata tentata un'operazione per salvare Moro si sarebbe potuta concludere tragicamente. Gli altri pensarono di non fare nulla che potesse favorire la liberazione di Moro adottando la strategia della fermezza, in maniera gewollt erfolglos (volutamente fallita).

Infatti, l’ufficiale di Gladio, Roberto Cavallaro ammette, durante un’intervista a L’Espresso nel novembre 1990, che durante la strategia della tensione furono integrate anche le organizzazioni dell’estrema sinistra e che una buona parte dei terroristi, indifferentemente dal fatto che fossero rossi oppure neri, lavoravano su delega o spinta dei servizi segreti. Il settimanale romano Europeo svelò, il 27 ottobre 1978, l’esistenza di un manuale contenente istruzioni per attacchi terroristici, che era stato presentato nel novembre 1970 dal Pentagon: »Field manuel« 30-31. Il ‘manuale del campo di guerra’ illustrava pure come ci si mette su piste finte, come si usano gli infiltristi e con quale esplosivi si lavora. In pratica costituiva la base per la strategia della tensione di Gladio. Puro Moro (che previde la sua fine e la fina del sistema politoco) si chiede nell’ultima lettera che scrive a Riccardo Mesasi: “Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va invece che in prigione, in esilio?” ed in un’altra lettera afferma: “il mio sangue ricadrà su di loro”. Insieme a Moro, un altro visionario, Pecorelli aveva anticipato con le sue parole gli avvenimenti che si sarebbero succeduti di lì a poco. Da una lettera che inviò Moro a Zaccagnini veniamo a sapere: "Ma è soprattutto alla DC che si rivolge il Paese per le sue responsabilità, per il modo come ha saputo contemperare sempre sapientemente ragioni di Stato e ragioni umane e morali. Se fallisse ora, sarebbe per la prima volta.

Essa sarebbe travolta dal vortice e sarebbe la sua fine [...] se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d'Italia. Il mio sangue ricadrebbe su voi, sul partito, sul Paese". Perciò Villoresi, Pecorelli e Moro dovevano pagare – come anche Dalla Chiesa e tanti altri – per tacere con il prezzo più alto, la loro vita. Pellegrino afferma, il primo maggio 1999 a proposito della verità ricercata tramite le sue indagini, che per lui è come “vivere una condizione di solitudine, fra una sinistra che sembra abbastanza disinteressata al problema e una destra che invece tende a dimostrare che è tutto sbagliato, che sono solo teoremi giudiziari". Un pensiero già anticipato dal visionario Moro. Il 24 aprile 1978 egli scriveva: ”Non creda la D.C. di aver chiuso il suo problema, liquidando Moro. Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa, per impedire che della D.C. si faccia quello che se ne fa oggi. Per questa ragione, per un’evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello Stato né uomini del partito." E ancora in una lettera di Moro del 30 aprile 1978 c’è una frase che merita in particolare la nostra attenzione: “Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’alto dei cieli...

Ma questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né per la DC, né per il Paese: ciascuno porterà la sua responsabilità.“ Moro era ormai certo che nulla sarebbe stato fatto per salvarlo. Cossiga conferma questa preoccupante tesi di Moro. Al tempo del processo Moro quarter, alla fine di novembre 1993 Cossiga rilasciò la sua prima (!) intervista alla televisione circa il caso Moro e le Br. Stranamente occorrevano dei giornalisti stranieri (della tivù tedesca WDR) per sapere l’esistenza di un piano. Egli parlò di due piani, Moro-Mike e Moro-Victor: il primo nel caso che Moro morisse, il secondo nel caso che Moro uscisse vivo. Drake commenta questi piani con: ”Il solo fatto che un tale piano fosse esistito rafforzava l’immagine di un governo italiano che mancava dell’intelligenza, della capacità e dell’integrità necessarie in una vera democrazia.”

Occorre ancora l’impegno di individui come il figlio di Moro, per poter portare avanti la questione. Il figlio ha, nel marzo 1999 per la commissione stragi, fatto un lungo elenco di "buchi" nella vicenda per poi chiedere luce su quelle piste “possibili, vere o verosimili” per dimostrare come altri, per l’ennesima volta, che non tutto è stato chiarito. Anzi, secondo lo storico americano Richard Drake, gli americani si attivarono, e inviarono in Italia uno dei maggiori esperti del terrorismo mondiale: Steve Pieczenik. Giunto a Roma in mezzo a gente che sembrava non sapere cosa fare, si ritrovò invece scomodo quando suggeriva la strategia e le tattiche da seguire per portare a termine con successo il negoziato con le Br. In seguito scriverà: "Troppe scuse furono addotte per giustificare il perché i miei suggerimenti non potevano essere seguiti. Presto ho avuto la sensazione che non vi fosse la volontà politica di salvare Aldo Moro, e ho intuito che la mia presenza in veste di esperto serviva solo a legittimare le indagini del governo italiano; per questo me ne sono andato prima del previsto". Drake cita Katz, il quale riferisce che Pieczenik sarebbe rimasto sbalordito (“amazed”) nello scoprire che i generali e gli uomini politici al Viminale non vedevano di buon occhio Moro.

Morucci e con lui gli altr
i brigatisti che hanno depositato in tribunale sono stati spesso contraddittori e comunque non hanno rivelato per intero quello che sanno. Sommando la mancanza dell’interezza delle rivelazioni delle Br davanti alla giustizia ai segreti “inconfessabili” che più di qualcuno custodisce, il caso Moro rimane imperdonabilmente aperto.

[1] Cfr. Il presidente della Commissione stragi, Pellegrino in: Il Messaggero, Sabato 29 Maggio 1999 “L’inchiesta mai chiusa/ A parlarne fu il giornalista Mino Pecorelli su Op pochi giorni prima di essere assassinato“.
http://www.ilmessaggero.it/hermes/19990529/01_NAZIONALE/5/BR.htm


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GiovanniMayer
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il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Tutto il copia/incolla del Messaggero lo leggerò con calma, ma, a prescindere da servizi o non servizi, la frase che ho quotato mi lascia un po' perplesso. Non sono sicuro che sia proprio così, nel senso che il processo che ha portato il PCI a diventare Renzi, si sarebbe compiuto ugualmente e probabilmente era già cominciato prima di Moro.
E comunque il risultato delle europee 84 non è quello di un partito devastato, anche al netto della scomparsa di Berlinguer.


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Rosanna
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il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Tutto il copia/incolla del Messaggero lo leggerò con calma, ma, a prescindere da servizi o non servizi, la frase che ho quotato mi lascia un po' perplesso. Non sono sicuro che sia proprio così, nel senso che il processo che ha portato il PCI a diventare Renzi, si sarebbe compiuto ugualmente e probabilmente era già cominciato prima di Moro.
E comunque il risultato delle europee 84 non è quello di un partito devastato, anche al netto della scomparsa di Berlinguer.

Lo stesso "compromesso storico" è di per sé una dichiarazione di sconfitta da parte del PCI, perché l'alleanza con il centro destra Dc rappresentava la definitiva rinuncia alla difesa dei diritti sociali del proletariato, la rinuncia alla rivendicazione di una democrazia più egualitaria, che avesse garantito le istanze dei ceti sociali proletari e una più equa ridistribuzione della ricchezza, dato che il partito della DC era legato a doppio filo agli Usa, alla Cia e alla P2 ... vedi Cossiga e Andreotti ...

e infatti la storia successiva della politica italiana conferma le premesse ...
il caso Moro è servito per eliminare il PCI ... e chi poteva volerlo se non la Cia, gli Usa, il Mossad, e la P2 ??


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Stodler
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il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Tutto il copia/incolla del Messaggero lo leggerò con calma, ma, a prescindere da servizi o non servizi, la frase che ho quotato mi lascia un po' perplesso. Non sono sicuro che sia proprio così, nel senso che il processo che ha portato il PCI a diventare Renzi, si sarebbe compiuto ugualmente e probabilmente era già cominciato prima di Moro.
E comunque il risultato delle europee 84 non è quello di un partito devastato, anche al netto della scomparsa di Berlinguer.

Lo stesso "compromesso storico" è di per sé una dichiarazione di sconfitta da parte del PCI, perché l'alleanza con il centro destra Dc rappresentava la definitiva rinuncia alla difesa dei diritti sociali del proletariato, la rinuncia alla rivendicazione di una democrazia più egualitaria, che avesse garantito le istanze dei ceti sociali proletari e una più equa ridistribuzione della ricchezza, dato che il partito della DC era legato a doppio filo agli Usa, alla Cia e alla P2 ... vedi Cossiga e Andreotti ...

e infatti la storia successiva della politica italiana conferma le premesse ...
il caso Moro è servito per eliminare il PCI ... e chi poteva volerlo se non la Cia, gli Usa, il Mossad, e la P2 ??

Non mi convince troppo questa tesi. Alla fine secondo me hanno solo voluto salvarsi il vitalizio.

Seguendo un po' quelle vicende è stato interessante l'intervista di Pannella alla commisione stragi, lui vedeva già all'epoca il grande accordo di spartizione partitocratico.

Ed è infatti quello che poi abbiamo visto accadere. Il PCI non ha perso, hanno perso chi lo votava, che non si è reso conto del mutamento del corso politico.


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GiovanniMayer
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il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Tutto il copia/incolla del Messaggero lo leggerò con calma, ma, a prescindere da servizi o non servizi, la frase che ho quotato mi lascia un po' perplesso. Non sono sicuro che sia proprio così, nel senso che il processo che ha portato il PCI a diventare Renzi, si sarebbe compiuto ugualmente e probabilmente era già cominciato prima di Moro.
E comunque il risultato delle europee 84 non è quello di un partito devastato, anche al netto della scomparsa di Berlinguer.

Lo stesso "compromesso storico" è di per sé una dichiarazione di sconfitta da parte del PCI, perché l'alleanza con il centro destra Dc rappresentava la definitiva rinuncia alla difesa dei diritti sociali del proletariato, la rinuncia alla rivendicazione di una democrazia più egualitaria, che avesse garantito le istanze dei ceti sociali proletari e una più equa ridistribuzione della ricchezza, dato che il partito della DC era legato a doppio filo agli Usa, alla Cia e alla P2 ... vedi Cossiga e Andreotti ...

e infatti la storia successiva della politica italiana conferma le premesse ...
il caso Moro è servito per eliminare il PCI ... e chi poteva volerlo se non la Cia, gli Usa, il Mossad, e la P2 ??

Messa così non mi convince proprio. A quanto ne so, anche da post precedenti, il PCI aveva già "tradito", la "via occidentale" era già stata imboccata e poi il compromesso storico era in discussione con la corrente di centro sinistra DC. L'evoluzione del PCI non è stata una conseguenza nefasta di un tragico episodio, ma un percorso ben definito voluto dai suoi vertici che lo ha portato anni dopo ad essere addirittura l'unico partito risparmiato da mani pulite. E non perché fosse un partito di onesti.
La stessa corrente migliorista, poi diventata predominante, era già molto potente prima di Moro.
Che ne pensa Radisol a tiguardo? Ma anche cosa ne pensano gli altri...


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GiovanniMayer
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Ho scritto contemporaneamente a Stodler, ma pare che più o meno siamo sulla stessa lunghezza d'onda...


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MarioG
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Il caso Moro è servito appunto anche per eliminare il PCI, che da quella storia non si riprenderà più ... e naturalmente ciò tornava molto utile alla Cia, agli Usa, a Kissinger e com.

Questo e' un capovolgimento dei fatti.
Il Pci non ebbe certo una battuta d'arresto in seguito alla vicenda Moro.
L'unica grande manovra per eliminare intere forze politiche in Italia si ebbe una quindicina di anni dopo, e il bersaglio non fu il pci, che anzi fu 'preservato speciale'. E non per caso.
Gli Usa e Kissinger avevano gia' cominciato a 'intrattenersi' amichevolmente col pci (e Napolitano era il suo 'comunista preferito'). Berlinguer gia' ne apprezzava l'ombrello NATO, sotto cui si sentiva "piu' sicuro" (si sentiva meno sicuro all'est. In Bulgaria, ad esempio...).
Quindi non vedo proprio con che fondamento si possa fare un commento simile.


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MarioG
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Ho scritto contemporaneamente a Stodler, ma pare che più o meno siamo sulla stessa lunghezza d'onda...

Ach! Lo stesso vale per il commento che stavo scrivendo io di sotto...


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Rosanna
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il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Tutto il copia/incolla del Messaggero lo leggerò con calma, ma, a prescindere da servizi o non servizi, la frase che ho quotato mi lascia un po' perplesso. Non sono sicuro che sia proprio così, nel senso che il processo che ha portato il PCI a diventare Renzi, si sarebbe compiuto ugualmente e probabilmente era già cominciato prima di Moro.
E comunque il risultato delle europee 84 non è quello di un partito devastato, anche al netto della scomparsa di Berlinguer.

Lo stesso "compromesso storico" è di per sé una dichiarazione di sconfitta da parte del PCI, perché l'alleanza con il centro destra Dc rappresentava la definitiva rinuncia alla difesa dei diritti sociali del proletariato, la rinuncia alla rivendicazione di una democrazia più egualitaria, che avesse garantito le istanze dei ceti sociali proletari e una più equa ridistribuzione della ricchezza, dato che il partito della DC era legato a doppio filo agli Usa, alla Cia e alla P2 ... vedi Cossiga e Andreotti ...

e infatti la storia successiva della politica italiana conferma le premesse ...
il caso Moro è servito per eliminare il PCI ... e chi poteva volerlo se non la Cia, gli Usa, il Mossad, e la P2 ??

Non mi convince troppo questa tesi. Alla fine secondo me hanno solo voluto salvarsi il vitalizio.

Seguendo un po' quelle vicende è stato interessante l'intervista di Pannella alla commisione stragi, lui vedeva già all'epoca il grande accordo di spartizione partitocratico.

Ed è infatti quello che poi abbiamo visto accadere. Il PCI non ha perso, hanno perso chi lo votava, che non si è reso conto del mutamento del corso politico.

MI sembra che tu mi dia ragione, la spartizione del potere in modo esplicito, anche se era già esistente tra Pci e Dc, con la possibile realizzazione del "compromesso storico" voluto da Moro, avrebbe rappresentato una sconfitta per i valori "comunisti" di conquista del potere senza incorrere in fastidiosi compromessi, che ne avrebbero inevitabilmente mutato l'identità politica e il progetto così caparbiamente perseguito ...

le Br non erano troppo "rosse", ma piuttosto "bianche", tant'è che da quel momento il neoliberismo si è progressivamente affermato, il sistema monetario europeo, SME, entra in vigore nel 1979 e nel 1981 avviene il Divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro ... il seguito è storia recente


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Rosanna
Famed Member
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il PCI ne è uscito completamente devastato e non si è mai più ripreso ...

Tutto il copia/incolla del Messaggero lo leggerò con calma, ma, a prescindere da servizi o non servizi, la frase che ho quotato mi lascia un po' perplesso. Non sono sicuro che sia proprio così, nel senso che il processo che ha portato il PCI a diventare Renzi, si sarebbe compiuto ugualmente e probabilmente era già cominciato prima di Moro.
E comunque il risultato delle europee 84 non è quello di un partito devastato, anche al netto della scomparsa di Berlinguer.

Lo stesso "compromesso storico" è di per sé una dichiarazione di sconfitta da parte del PCI, perché l'alleanza con il centro destra Dc rappresentava la definitiva rinuncia alla difesa dei diritti sociali del proletariato, la rinuncia alla rivendicazione di una democrazia più egualitaria, che avesse garantito le istanze dei ceti sociali proletari e una più equa ridistribuzione della ricchezza, dato che il partito della DC era legato a doppio filo agli Usa, alla Cia e alla P2 ... vedi Cossiga e Andreotti ...

e infatti la storia successiva della politica italiana conferma le premesse ...
il caso Moro è servito per eliminare il PCI ... e chi poteva volerlo se non la Cia, gli Usa, il Mossad, e la P2 ??

Messa così non mi convince proprio. A quanto ne so, anche da post precedenti, il PCI aveva già "tradito", la "via occidentale" era già stata imboccata e poi il compromesso storico era in discussione con la corrente di centro sinistra DC. L'evoluzione del PCI non è stata una conseguenza nefasta di un tragico episodio, ma un percorso ben definito voluto dai suoi vertici che lo ha portato anni dopo ad essere addirittura l'unico partito risparmiato da mani pulite. E non perché fosse un partito di onesti.
La stessa corrente migliorista, poi diventata predominante, era già molto potente prima di Moro.
Che ne pensa Radisol a tiguardo? Ma anche cosa ne pensano gli altri...

Non ho detto che l'evoluzione del Pci è stata una conseguenza nefasta di un tragico episodio, ma che il caso Moro ha dato una bella spallata al partito, che già stava tradendo i propri ideali politici, e ne ha accelerato la mutazione genetica ... tanto che appunto quell'episodio segnerà l'inizio della fine ...


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radisol
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Se non c'era Via Fani probabilmente il Pci nella maggioranza quel giorno nemmeno c'entrava ...

Il rifiuto di dargli ministri e persino sottosegretari da parte della Dc infatti aveva creato un enorme malcontento nel partito e non pochi dicevano che quindi non era più il caso di aderire alla maggiorenza ... che del resto, anche se risicata, reggeva anche senza il Pci ...

Quella mattina poi ... e credo non a caso ... il quotidiano Paese Sera, vicino all'ala più filosovietica del Pci ... il giro romano della famiglia Rodano, vicini ad Armando Cossutta ... aveva sparato il prima pagina il fatto che proprio Moro fosse il fantomatico "Antelope Cobbler" dello scandalo Lockeed ... naturalmente poi in mattinata , dopo Via Fani, quella copia del quotidiano fu ritirata di corsa dalle edicole ... ed ora una copia vale più di un francobollo rarissimo ... però, non c'è dubbio che quella rivelazione, senza Via Fani, vera o falsa che fosse quel giorno in parlamento un certo peso nelle scelte, già molto incerte, del Pci avrebbe finito per averlo ...

Per cui paradossalmente fu proprio l'azione di Via Fani a spingere definitivamente il Pci nella maggioranza ... e non il contrario ...

E comunque il Pci è durato altri 12 anni ... avendo i sindaci di quasi tutte le più importanti città italiane ... amministrando parecchie regioni e province ... e riuscendo addirittura a sorpassare i voti della Dc nelle europee del 1985 ....

Per cui, Rosanna, non mi pare proprio il caso di esagerare ....

Certo, il suo "momento magico", quello del 1975 ... quando stravinse le elezioni regionali e comunali ... il Pci se lo era già giocato malamente appunto con la scelta del "compromesso" ... poi fallì l'agognato "sorpasso" alle elezioni politiche del 1976 .... e poi si giocò molta credibilità nel sostenere la linea sindacale dei "sacrifici" ... e nell'atteggiamento forcaiolo che tirò fuori rispetto all'esplodere del movimento del 1977 ... la figuraccia meschina fatta da Lama nel febbraio 1977 all'Università di Roma segnò certo una traccia indelebile così come i cingolati nelle vie della "rossa" Bologna il mese successivo .... indi per cui quel 16 Marzo 1978 l' "attimo fuggente" era già passato da un pezzo ... come del resto dici anche tu ...

Ergo, non fu certo il sequestro Moro ad "uccidere" il Pci ... sia perchè durò un altro decennio abbondante e si "sciolse" nel 1990 nel Pds per scelta e non per obbligo divino... sia perchè comunque un certo declino era già in corso alla data del sequestro Moro a causa delle autonome scelte fatte del suo gruppo dirigente negli anni precedenti ...

Qui non si tratta certo di negare l'importanza storica della vicenda Moro ... il fatto che se ne parli ancora oggi con tanto fervore è certamente indicativo di questo .... ma che si sia trattato di chissà quale "snodo" decisivo che ha cambiato nientemeno che il corso della storia italiana ... io mi permetterei invece qualche legittimo dubbio ... in questo senso credo sia stata molto più uno "snodo" decisivo la strage di Piazza Fontana del 1969 ... della quale, pur non essendo mai stati giudiziariamente scoperti colpevoli e mandanti, invece non si parla quasi più .... della vicenda Moro, per la quale sono stati comminati un diluvio di ergastoli e anche parecchie condanne minori, invece non si smette mai di parlarne come di un "mistero" ... non vi pare che c'è qualcosa che non quadra in questa incredibile differenza di trattamento tra i due fatti ?


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GiovanniMayer
Honorable Member
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le Br non erano troppo "rosse", ma piuttosto "bianche", tant'è che da quel momento il neoliberismo si è progressivamente affermato, il sistema monetario europeo, SME, entra in vigore nel 1979 e nel 1981 avviene il Divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro ... il seguito è storia recente

Sorvolando sul colore delle BR, il discorso dello SME e del divorzio è già stato affrontato in post precedenti, e non sono neanche tutti convinti. Per come la vedo io, opinione personale, fosse vero il collegamento con questi fatti, l'ostacolo alla loro realizzazione sarebbe stato Moro e non certo il PCI...infatti...


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