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Mr Barilla e la leggenda del Mulino Bianco


helios
Illustrious Member
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LA POLEMICA
Mr Barilla e la leggenda del Mulino Bianco
L'imprenditore non vuole i gay negli spot. Ed esalta la famiglia. Ma non si rende conto che quel modello in Italia non è mai esistito.

Dice Mister Barilla, il giovane Guido Barilla: «Ah, noi la pubblicità con gli omosessuali no, siamo un'azienda familiare, puntata sulla famiglia».
L'ITALIA NON È UN PAESE PER WASP. Sì, ma quale famiglia? Quella del Mulino Bianco, che nessuno ha mai visto in Italia? Questo, a Barilla spiacendo, non è un Paese per wasp, l'élite bianca, protestante, anglosassone: questo è un piccolo Paese di meticci, protestanti solo perché tutti sono sempre incazzati su tutto, di famiglie in senso familista, di cattolici che riescono a personalizzare perfino il Vangelo, un posto di opposti che alla fine si riconoscono in poche ma definitive cose, una delle quali è proprio il cibo, la cucina, fondata sulle ricette della povertà contadina, le paste, gli olii, il burro. Dove il melodramma la fa da padrone, ma certe spinte razzistoidi alla fine vengono disinnescate con lo strumento del ridicolo.
LA BUFERA IN RETE. Diceva Indro Montanelli che un Paese di bastardi come il nostro può a volte credersi razzista, ma senza crederlo davvero. E questo vale anche per le caratteristiche sessuali, tant'è vero che la pasta «etero» di Barilla non sta suscitando granché comprensione: al netto della solita canea omofobica, piuttosto circoscritta, in Rete è tutto un fiorire di critiche e di sfottò, alcune sopra le righe, altre divertite, qualcuna velenosa. Come «dove c'è Barilla, c'è casa. Pound». Mentre le associazioni gay annunciano inevitabili boicottaggi, forse frettolosi (la faccenda, garantito, rientrerà alla svelta scaricando il barile sul fraintendimento originato dalla solita stampa tendenziosa e maliziosa), ma che conferma un infortunio del tutto evitabile, da cineteca di Novantesimo Minuto, di Comunardo Niccolai, lo stopper del Cagliari Anni 60-70 passato alla storia come «il re degli autogol» (mentre la polemica scoppia anche sulla stampa estera).
Questa sorta di discrimine, se non discriminazione, in punta di forchetta, lascia un po' spiazzati: la censura omo che rientra dalla finestra della cucina? O dalle finestre di un Mulino candido?
Il mito del Mulino Bianco, cristallizzato da 30 anni
Il Mulino Bianco, uno dei simboli di Barilla.

«Mulino Bianco» è una trovata di gran fortuna, creata quasi 30 anni fa e ancora televisivamente viva ma immobile, cristalizzata in un immaginario che nessuno immagina sul serio. Un idillio un po' alla Alice nel Paese delle Meraviglie, creato con l'espressa avvertenza che non è reale, non è proponibile. Un mondo «sostenibile» tutto merendine e genuinità.
Ora, non si capisce perché da questo mondo, dolciario e pastario, i gay dovrebbero restar fuori. Loro non mangiano? O sono «diversi» anche quando trangugiano una carbonara o una puttanesca?
Forse Guido Barilla non ricorda quando, negli Anni 80, Federico Fellini concepì per l'azienda una réclame con un personaggio, la dama di «rigatoni», che era tutto un programma. Però la faceva Fellini e l'allusività aleggiante si stemperava in un sogno, trasognato, onirico, d'autore.

Il problema, forse, sta proprio qui. Nel considerare un'azienda (grande come un impero, però) come proiezione di una famiglia a sua volta percepita come la culla di tutte le virtù («Famiglie, io vi odio», diceva Andrè Gide, che s'intendeva di parecchie faccende), laddove l'omosessualità, per quanto sdoganata, viene colta magari non più come un peccato ma pur sempre come anomalia, condizione da non fomentare, da non scomodare, insomma: fatti loro. «Loro», di chi?
CREATIVI IN CRISI. Una visione un po' a torciglione, la cui origine, vagamente distorta, parte proprio dalla dimensione pubblicitaria, una proiezione per sua natura fantastica, caricata. Ma allora, immaginazione per immaginazione, perché immaginare per forza sempre il peggio?
Se fai uno spot dove alcuni esagitati vestiti da gay pride si cacciano voracemente in bocca etti di spaghetti, come Totò in Miseria e Nobiltà, ne esce per forza un messaggio grottesco. Ma se i creativi fossero creativi davvero, troverebbero mille e un modo per concepire una pubblicità originale, intrigante, simpatica, sfumata, sul filo dell'equivoco.
Ugo Tognazzi e Michel Serrault fecero una versione strepitosa della pièce Il vizietto di Jean Poiret e nessuno ci trovò mai niente di sconveniente. Sul meraviglioso Poirot reso da David Suchet, con quella camminatella irresistibile, quei vezzi (e per di più con un doppiaggio italiano che coglieva tutte le sfumature di una natura cangiante), possiamo riversare solo sconfinata ammirazione.
E potremmo andare avanti (guarda la videogallery degli spot gayfriendly).
LA MORBOSITÀ FATTA A SPOT. Ora, il problema non è la pasta o il pasto (nudo): il problema è appunto la pubblicità, francamente ridotta a un bordello a porte aperte dove riescono a far sembrare morbosi perfino gl'infanti, per non dire degli angeli, i quali notoriamente non hanno sesso (e non mangiano mai).

Il problema sono le teste, non altro. Ce n'est pas?

Giovedì, 26 Settembre 2013

http://www.lettera43.it/cronaca/delpapa_43675109277.htm


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