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GIOVANNI FALCONE


mystes
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Parallelismi Brasile-Italia nell’amministrazione della giustizia

 

La tomba di Giovanni Falcone nella Chiesa di San Domenico a Palermo

 

Per più di un decennio, dall'inizio degli anni '80, il procuratore della Repubblica italiana Giovanni Falcone nantenne una routine caratterizzata da forti restrizioni. Evitava ristoranti, negozi, bar o situazioni sociali in cui poteva essere visto e fotografato con possibili membri della mafia. Ogni sua mossa era studiata da una squadra di sicurezza. Era impossibile passeggiare con disinvoltura per strada, o anche fare una vacanza tranquilla.

Una volta, le guardie di sicurezza che lo accompagnavano ovunque trovarono una borsa sportiva contenente una bomba sulla spiaggia del villaggio dell'Addaura (sulla costa settentrionale della Sicilia), dove lui e la moglie avevano affittato una casa - solo pochi poliziotti sapevano della vacanza, - eppure l'informazione trapelò. Il dispositivo era composto da due meccanismi. Uno di essi si sarebbe attivato se qualcuno avesse spostato la valigia.

Mentre stava ultimando il testo del famoso maxi-processo, Falcone visse addirittura per un mese e mezzo in un appartamento di fortuna all'interno del carcere dell'isola dell'Asinara. Il suo collega, il magistrato Paolo Borsellino, lo accompagnava. Aveva portato con sé la moglie e i tre figli. Falcone aveva scelto di non avere figli. La figlia maggiore di Borsellino ha sofferto di gravi problemi psicologici a causa della paura nella quale ha vissuto.

Ma il 23 maggio 1992, Falcone si mette alla guida della sua Fiat Croma blindata. Insieme alla moglie, Francesca Morvillo, era partito in aereo da Roma ed era atterrato all'aeroporto palermitano di Punta Raisi poco più di un'ora dopo per mettersi in auto verso casa. Il monitoraggio della strada da parte degli elicotteri, comune fino alla fine degli anni '80, non veniva più effettuato. Così nessuno si accorse dello strano movimento che si era verificato nelle prime ore del mattino.

"Una squadra di 'uomini d'onore', vestiti da operai edili, aveva messo a punto gli ultimi dettagli di un'enorme carica di cinquecento chili di esplosivo al plastico, installata in un grande tubo di drenaggio metallico che correva sotto l'autostrada", riferisce Alexander Stille nella biografia “Morte a Vostra Eccellenza”. ( https://www.amazon.com.br/Morte-vossa-excel%C3%AAncia-verdadeira-hist%C3%B3ria-ebook/dp/B0884RJH56 ) "Un gruppo di uomini si affollava in una piccola capanna a cento metri dal ciglio della strada, dove era nascosto un detonatore telecomandato, scrutando il movimento del traffico dall'aeroporto verso la città".

Francesca si sedette sul sedile anteriore accanto a lui, mentre l'autista, Giuseppe Costanza, si accomodó sul sedile posteriore. Stille prosegue: "Mentre la carovana superava Capaci, l'intera strada fu distrutta da una gigantesca esplosione che sembrava l'epicentro di un terremoto. Tutte e tre le auto furono inghiottite, piegate e contorte dall'esplosione che creò un enorme cratere, squarciando un quarto di miglio di strada". I sismografi della zona registrarono l’esplosione.

Un testimone, un automobilista che arrivava subito dopo, vide Falcone intrappolato nei rottami, ancora vivo, con il volto coperto di sangue. "Le tre guardie del corpo nell'ultima auto si salvarono riportando ferite relativamente lievi, mentre Falcone, Francesca e il loro autista gravemente feriti erano ancora vivi all'arrivo delle ambulanze. L'autista, seduto al lato del posto di guida, sopravvisse all’attentato. Falcone fu dichiarato morto poco dopo l'arrivo in ospedale. Se Falcone non avesse insistito per guidare, forse sarebbe sopravvissuto", scrive Stille sul suo libro. Il procuratore e giudice istruttore, morì all'età di 53 anni. Francesca, anch'essa magistrato, aveva 46 anni. In ospedale, un breve momento di coscienza, chiese: "Dov'è Giovanni?

Anche Borsellino sarebbe stato assassinato, l'anno successivo. Era la fine di un'epoca. Solo nel 2021 l'Italia avrebbe celebrato un altro grande processo contro la mafia. Testimoniarono più di 300 indagati e 70 furono condannati. Il procuratore Nicola Gratteri, che guida il nuovo sforzo per contenere la criminalità organizzata, sa di avere una taglia sulla testa e vive una routine molto simile a quella vissuta da Falcone tre decenni prima.

È comprensibile che Falcone desse fastidio a molti. Il suo lavoro ha cambiato per sempre il modo di indagare sulle operazioni mafiose, e non solo in Italia. Grazie ai suoi viaggi in decine di Paesi, dalla Svizzera alla Thailandia, agli Stati Uniti e al Brasile, il magistrato è stato in grado di unire gli sforzi e aggregare informazioni che in precedenza erano disperse. Ma non solo: aveva creato un metodo per generare prove e indizi che avrebbero portato effettivamente i criminali in prigione.

"Falcone inaugurò una tranquilla rivoluzione nelle indagini sui casi di mafia. Ha sfruttato la sua esperienza nei tribunali fallimentari e l'ha applicata al mondo finanziario della mafia", riferisce Stille. Seguendo la pista del denaro, iniziò a trovare connessioni che prima non erano evidenti agli investigatori, nonostante decenni di indagini sulle azioni dei gruppi criminali organizzati. Lo sforzo è stato premiato nel momento in cui ha ottenuto la fiducia di Tommaso Buscetta, il mafioso che viveva in esilio in Brasile.

"Le confessioni di Buscetta hanno rivoluzionato il processo sulla mafia su entrambe le sponde dell'Atlantico. Non solo ha fornito i nomi di centinaia di mafiosi che operavano in Sicilia, negli Stati Uniti e in Sud America, ma ha anche permesso di comprendere Cosa Nostra nel suo complesso, collegando innumerevoli crimini in uno schema intelligibile", scrive Stille, che cita una dichiarazione scritta dello stesso Falcone: "Prima di lui avevamo solo una comprensione superficiale del fenomeno mafioso. Con lui è stato possibile entrare nella struttura segreta. Ci ha spiegato innumerevoli dettagli, sulle tecniche di reclutamento e sulle funzioni di Cosa Nostra. Soprattutto, ci ha dato una visione ampia e globale del fenomeno. Ci ha dato una chiave interpretativa, il linguaggio e il codice.”

Falcone e Borsellino pagarono con la vita, come decine di altri agenti e investigatori. Ma nel 1992, la loro eredità fu raccolta in un altro ambito, nell'Operazione Mani Pulite, che sarebbe durata quattro anni e avrebbe smascherato tutta la corruzione tra i leader politici e le grandi aziende italiane.

Per quattro anni, gli inquirenti italiani dipanarono un filo iniziato nel 1992, con l'arresto in flagranza di Mario Chiesa per il reato di concussione da parte di un pubblico ufficiale. Coordinata dal Procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro e basata sul modus operandi di Falcone, oltre che sulle lezioni di mafia apprese dalla testimonianza di Tommaso Buscetta, l'operazione produsse numeri impressionanti: oltre 6.000 persone indagate, quasi 3.000 mandati di cattura emessi, 438 parlamentari accusati, tra cui quattro ex primi ministri.

I parallelismi con il Brasile e con l'Operazione Lava Jato (Mani Pulite) sono evidenti, come ricorda Rodrigo Chemim, procuratore della Procura di Parana, nel libro “Mani pulite e Lava Jato”.  ( https://www.amazon.com.br/Corrup%C3%A7%C3%A3o-Lava-Jato-M%C3%A3os-Limpas/dp/8582850840 ). "È impossibile non notare le incredibili somiglianze tra il Brasile e l'Italia per quanto riguarda la classe politica, il calcio, la passione popolare, i pregiudizi regionali, il lassismo etico, la corruzione istituzionalizzata, la negligenza nella gestione privata degli affari pubblici e anche la legislazione penale e la procedura penale benevola nei confronti dei crimini dei colletti bianchi", racconta l´autore del libro.

Non a caso, il senatore brasiliano Sergio Moro (ex ministro della giustizia nel governo Bolsonaro) ha già dichiarato, in diverse occasioni, di aver agito avendo Falcone come guida. L'ex giudice sapeva che i parallelismi potevano dare lezioni importanti per il caso del Brasile.

Pubblicato per la prima volta nel 2017, il libro di Rodrigo Chemim ha ottenuto una postfazione nel 2018, che si concludeva con la seguente frase: "In parallelo, è necessario seguire come si svolgeranno gli altri sei casi e le tre indagini sui reati a cui Lula (attuale Presidente del Brasile) risponde. Il tempo ci dirà se Lava Jato avrà un destino simile a quello di Mani Pulite".

In un'intervista a un giornale brasiliano Chemim ha commentato gli eventi degli ultimi cinque anni. "Quello che è successo in Brasile è stata una reazione molto più forte di quella osservata in Italia. Lì, l'Operazione Mani Pulite e i suoi sviluppi furono frustrati dal potere legislativo, che ha modificato una serie di leggi favorendo cosí la corruzione, facilitando soprattutto la prescrizione dei processi, basata sulla possibilità di presentare una serie di ricorsi. In questo caso, la reazione è stata della magistratura, dell'esecutivo, del legislativo e della stampa. Abbiamo visto ministri della Corte Suprema cambiare il loro discorso in modo radicale e persino offendere e umiliare più volte gli investigatori”.

Chemim prosegue con ulteriori considerazioni. "All'inizio c'era un ambiente favorevole al lavoro dei pubblici ministeri. Ma già dal 2016 in Brasile, si sospettava di quasi tutti i partiti e di quasi tutti i presidenti. È successo lo stesso in Italia: il momento di contenimento si é avuto quando quasi tutta la classe politica si è vista in pericolo".

Ci sono lezioni da trarre dal modo in cui Mani Pulite e Lava Jato hanno lavorato? "Forse, in futuro, sarebbe meglio evitare grandi operazioni unificate, esaminando i casi singolarmente", raccomanda. "Ma in ogni caso, è improbabile che vedremo un'indagine delle dimensioni di Lava Jato in Brasile e di Mani Pulite in Italia per almeno 20 anni. E credo che non vedremo pene più severe per i crimini dei colletti bianchi".

 

Fonte: https://www.gazetadopovo.com.br/ideias/a-mafia-nunca-perdoou-o-juiz-que-inspirou-a-lava-jato-e-nao-descansou-ate-mata-lo/

Traduzione: Mystes

 

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