La guerra dei chip
 
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La guerra dei chip


PietroGE
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https://www.huffingtonpost.it/entry/allarme-chip-leuropa-si-sveglia_it_608a8f14e4b09cce6c1b3ace?utm_hp_ref=it-homepage

Allarme chip, l'Europa si sveglia

Reazione tardiva a una carenza che si sta abbattendo sull'industria dell'auto e dei cellulari, creando nuove dipendenze dall'estero

 

Il fermo della produzione è dovuto alla carenza a livello mondiale di questi chip che possono avere una dimensione anche di una manciata di nanometri, attorno ai quali ormai gira il mondo: sono impiegati negli smartphone, nei pc, tablet e laptop, negli elettrodomestici, nell’industria della difesa. Ma soprattutto sono presenti nelle automobili, e sempre in quantità maggiori di pari passo con lo sviluppo di veicoli ibridi e full electric.......

Gruppi tedeschi, americani, coreani e giapponesi: tutti stanno patendo la penuria di chip. Secondo la società di consulenza AlixPartners, l’industria globale dell’automobile rischia di veder minori entrate per 60 miliardi di dollari nel 2021. Una cifra astronomica che rischia di affossare la ripresa post-Covid del settore e, di riflesso, dell’economia mondiale. Anche se l’elettronica, secondo Deloitte, rappresenta ormai il 40% del valore di un veicolo moderno, i rischi non riguardano solo l’automotive ma anche - banalmente - l’elettronica. Ad esempio, Apple prevede che le entrate saranno inferiori dai tre miliardi ai quattro miliardi

Con i suoi tempi, anche l’Europa ha iniziato a muoversi: “L’obiettivo è prima di tutto raddoppiare la nostra capacità produttiva e la nostra quota di mercato entro il 2030, dal 10% di oggi al 20% di domani”, ha detto il commissario per la Politica industriale e il mercato interno, Thierry Breton, in un’intervista al quotidiano Les Echos, spiegando che Bruxelles è in procinto di “finalizzare le discussioni con NXP, Infineon, STMicroelectronics, Bosch, Siemens, ASML” e con “i ricercatori di CEA-Leti in Francia, dell’istituto Fraunhofer in Germania o IMEC in Belgio e Paesi Bassi”. L’idea è quella di una alleanza europea tra industria e ricerca che verrà presentata ufficialmente il 5 maggio nell’ambito della revisione strategica industriale dell’Ue, e ha già trovato il sostegno di 22 Stati membri.

L’obiettivo è realizzare un nuovo PIIEC (progetto di comune interesse europeo) “del valore di circa venti miliardi di euro” che dovrebbe consentire all’Europa di padroneggiare “semiconduttori inferiori a 5 nanometri, o anche inferiori a 2 nm” entro 10 o 15 anni. Fissare l’asticella a 2 nm ”è ambizioso” ma è “la conditio sine qua non per la nostra sovranità digitale”, ha chiarito Breton. “Questa è la direzione che stanno prendendo tutti i concorrenti come Intel, TSMC o produttori cinesi”, il mercato “sarà enorme, che si tratti di auto elettriche e autonome, tecnologie 5G e 6G, Internet of things industry 4.0, chip per intelligenza artificiale”. Le cifre circolate nelle scorse settimane ruotano intorno a investimenti tra pubblico e privato fino a 30 miliardi di euro.

L’importanza strategica dei semimetalli e dell’industria che vi ruota attorno è subito balzata all’occhio anche del premier italiano Mario Draghi che tra i suoi primi atti di Governo ha posto il veto sulla vendita di una società milanese, la la Lpe di Baranzate, che sviluppa reattori utilizzati per la produzione di semiconduttori, a una società cinese, adottando il golden power.

Ma chi nel settore detta legge è la società di Tapei TSMC che ha da poco approvato un altro investimento da tre miliardi di dollari per aumentare la capacità produttiva, in risposta alla carenza di chip che ha rallentato l’industria globale. Il più grande produttore di chip al mondo, che tra i suoi clienti può annoverare Apple e Qualcomm, ha riferito di essere impegnato a “lavorare duramente per aumentare la produttività e alleviare la carenza mondiale, ma è probabile che la mancanza di offerta continui nel prossimo anno”.

Stati Uniti ed Europa si sono ritrovati con il fianco scoperto in un settore che si preannuncia sempre più centrale nelle relazioni industriali e geopolitiche. Si è scelto di praticare, insomma, un modello di sviluppo basato sulla esternalizzazione della produzione verso Paesi dove il costo del lavoro è più basso. Una sottovalutazione che ora sia Bruxelles sia Washington rischiano di pagare a caro prezzo. Gli Usa ospitano i più grandi venditori mondiali di microchip al mondo come Intel, Qualcomm, Broadcom, Micron Technology, Nvidia, Amd, tra i primi nella progettazione di dispositivi e di software (fabless), ma non nella fabbricazione materiale, non dispongono cioè di fonderie (foundry). Secondo i dati della Semiconductor Industry Association, nel 1990 gli Usa rappresentavano il 37% della produzione di semiconduttori, oggi solo il 12% sebbene quasi la metà della vendita dei prodotti finiti sia in capo ad aziende a stelle e strisce. Ma ora recuperare il gap con Taiwan e la Cina non è certamente semplice né immediato. Secondo i calcoli di Bloomberg per mettere in piedi una fonderia da zero che possa rifornire le case automobilistiche di tutte le tipologie di chip necessari può avere costi notevoli, sia in termini di tempo (due anni) sia economici (circa 4 miliardi di dollari).

Risultato? Le sorti di alcuni comparti industriali strategici dell’Occidente sono nelle mani di stabilimenti in estremo oriente. Un vero “tallone d’Achille” del Vecchio Continente, per usare le parole della Confindustria tedesca che si è fatta portavoce del malessere del settore automobilistico: “L’Europa dipende pericolosamente da altre regioni quando si tratta di progettazione di chip”, ha detto Iris Ploeger, membro della Bdi, aggiungendo che l’industria europea deve recuperare le competenze perse con il sostegno del governo, come riporta Reuters.

Gli errori del passato ora non devono più essere ripetuti, e anzi bisognerà andare nella direzione diametralmente opposta: secondo la Vda, l’associazione delle aziende automobilistiche tedesche, “nel medio-lungo termine, è anche nell’interesse dell’Europa localizzare sempre di più queste tecnologie in Europa”. Tradotto: è arrivato il momento di riportare sul suolo europeo la produzione dell’industria europea.


Citazione
GioCo
Noble Member
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Postato da: @pietroge
 

[...] Fissare l’asticella a 2 nm ”è ambizioso” ma è “la conditio sine qua non per la nostra sovranità digitale”, ha chiarito Breton. “Questa è la direzione che stanno prendendo tutti i concorrenti come Intel, TSMC o produttori cinesi”, il mercato “sarà enorme, che si tratti di auto elettriche e autonome, tecnologie 5G e 6G, Internet of things industry 4.0, chip per intelligenza artificiale”. Le cifre circolate nelle scorse settimane ruotano intorno a investimenti tra pubblico e privato fino a 30 miliardi di euro. [...]

SOVRANITA' DIGITALE!?! Stanno parlando di nazionalismo eclettico (=di principio)?!?

Ma non era un Tabù?

Siccome stanno introducendo il concetto (piano piano a passo felpato) di socialismo economico dove se non sei uno schiavo perché non possiedi (più) niente e sei felice sei quello che possiede tutto il resto, se ci aggiungiamo il nazionalismo che è stata fin'ora la bandiera dei... tutti quelli contro, cosa distinguerà la diarrotica emergenza di parole dal BUON vecchio nazifascismo?

Il buon vecchio NeoNazionalSocialismo "reale", cioé quello delle nuove plutocrazie.

Poi la guerra (nucleare "tattica", cioé a bassa intensità) però non ce la leva più nessuno.

 


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PietroGE
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Si sono semplicemente accorti che la sovranità non esiste se dipendi per i beni essenziali da prodotti fatti all'estero sui quali non hai una certezza se saranno o meno a disposizione. Trump ad esempio si è accorto che persino che i chip essenziali per la gestione delle armi americane provenivano dalla Cina e che nessuno poteva garantire se avrebbero funzionato in una situazione di guerra reale. La stessa cosa vale per il settore computer, telecomunicazioni, trasporto, sanità ecc. ecc. La UE ha da sempre fatto politica autarchica nel settore alimentare perché, giustamente uno non si può affidare al buon cuore dell'estero per il pane e companatico. Ora si tratta di fare la stessa cosa individuando i beni e i prodotti essenziali da produrre in patria. Quello che l'articolo non dice è che sta crollando la globalizzazione, la produzione 'just in time' e l'export delle fabbriche all'estero per motivi di costi. Questo però era una conseguenza del Big Bang finanziario iniziato con la Tatcher alla fine degli anni '70. Bisognerà vedere come reagisce la finanza internazionale.


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oriundo2006
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Sicuramente il ‘nazionalismo’ economico è una ipotesi di scuola valida a livello teorico ma oggi, dopo la globalizzazione che ha devastato le filiere locali, è drammaticamente fuori tempo: è la dimostrazione che il capitalismo ‘occidentale’ volge la frittata come vuole un passo avanti uno indietro, uno di lato e uno...nel baratro: un regresso che dovrebbe far capire come l’ occidente’ più che un luogo di razionalità ‘economica’ o ’sociale', come ama rappresentarsi, è un luogo di interessi mascherati assai male ed oggi ri-di-co-li. Un altro segno della decadenza spirituale prima che materiale. 

Questo ritorno al passato infatti, il passato delle economie ‘chiuse’ non vi fu che sporadicamente a ben vedere: il mondo è economicamente interconnesso da almeno duecento anni, solo che l’egemonia era allora occidentale, oggi non più. Non si può recuperare quanto la storia ha dimostrato una visione parziale, di parte e discriminatoria per gli ‘altri’ anche perchè gli ‘altri, grazie al cielo, hanno saputo fare a meno di noi ( e questo ci dovrebbe dare una libertà maggiore nella progettualità politica altrimenti fissa a schemi di un secolo fa, dimostrando la nostra primazia altrimenti ): in sintesi ’ Occidente nel ritorno all’ indietro vuole solo recupero una egemonia che non esiste più. Può fare tutte le guerre che vuole ma oramai i popoli della Terra si sono emancipati dalla mentalità coloniale ovunque.

Può invece, e deve, governare questa interconnessione in modo ottimale ai suoi interessi.

L' unica strada è quella politica indicata da Putin recentemente: interconnessione economica con sistemi sociali e politici autonomi in assenza di una centrale internazionale unica, quale che sia. Questo come primo passo da accettare per evitare lo scatenarsi di una aggressività militare come unica ‘soluzione’ a risolvere problemi che a ben vedere sono proprio quelli suscitati dai mondialisti con la loro ‘egemonia’ mendace, egemonia che riguarda solo più il passato.

In secondo luogo, una pianificazione economica dei flussi di merci ed ancor prima dei brevetti, fermi al termine iniquo dei vent’anni ( cosa su cui ci sarebbe veramente tantissimo da dire ). In terzo luogo, una serie di accordi di interconnessione reciproca che garantisca la stabilità a questa unità economica del mondo, che ripeto oggi c’è e quanto avviene da ultimo può rallentarla e basta: quello che manca è però in realtà altro.

Voglio dire che la bona fides, estensione della miglior natura umana, è l’ elemento necessario al Tutto come sistema governato dalla reciprocità: questo da gestire unitariamente ma non piramidalmente proprio per la sua natura intrinseca. Non è il comando o la sanzione che fonda l’esecuzione di un trattato, di un accordo, né possiamo oggi privarci ad esempio di minerali che sono presenti solo in certe aree della Terra, o pensare all’economia curtense come un modello della nostra epoca, ma vi è appunto un elemento antichissimo nascosto dalle chiacchere della politica e sommerso dalla brutalità del richiamo alle armi: la fiducia, appunto. Oggi questa nei rapporti internazionali è inesistente. Molto male ne verrà a tutti se non la facciamo rivivere ponendola a centro di tutto. Poi possiamo discutere su cosa importare e cosa proteggere con dazi, cosa sviluppare da soli e cosa farlo insieme ad altri...


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