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Di quali privilegi stiamo parlando? Italiani, sveglia! Prima


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Di quali privilegi stiamo parlando? Italiani, sveglia! Prima che sia troppo tardi.

da Sergio Di Cori Modigliani | dic 11, 2015

Il tormentone dei truffati dalle banche, a mio avviso, è fumo negli occhi.

E’ pura nebbia per intorbidire le acque, materiale ad uso e consumo dei talk show per attivare la sentimentalità cialtrona degli italiani, con un fine dichiarato: aspettare qualche giorno, forse poche settimane e poi ascoltare il caro leader e Padoan che annunciano di aver scelto di salvarli tutti con un apposito fondo di emergenza che la Ue consente. A quel punto, il governo diventa buono e comprensivo, il M5s, la Lega Nord, i giornalisti dei talk show avranno il buon diritto di poter sostenere che abbiamo vinto, che la volontà del popolo è stata rispettata ed è stato anche grazie a noi che è stata ottenuta questa splendida vittoria collettiva. I truffati diventano eroi nazionali che certificano l’esistenza della democrazia in Italia. Questo, almeno a mio parere, è ciò che il governo auspica e spera.

Fermo restando la sincera solidarietà alla famiglia del pensionato suicida, penso che le cose stiano in maniera diversa da ciò che appare. Personalmente, non nutro una simpatia indifferenziata nei confronti di tutti i cosiddetti truffati e penso che non tutti meritino sostegno civile: molti di loro sono complici consapevoli e consenzienti di un sistema malavitoso di cui si sono sempre nutriti, sapendo che cosa stavano facendo. Basterebbe pensare a ciò che è successo tra il 16 e il 24 gennaio del 2015 per comprendere la spina dorsale dell’attuale vicenda. Quindi, quasi un anno fa, quando tutti sarebbero dovuti intervenire.

Prima di passare all’analisi della mia argomentazione, penso che sia necessario premettere un memento di un episodio avvenuto qualche anno fa. Correva l’anno 2003, e cadeva in data 10 dicembre, giusto 12 anni fa. Gli ufficiali della Guardia di Finanza, su ordine della magistratura, si presentavano all’alba a casa di Calisto Tanzi -allora vice-presidente di Confindustria- e se lo portavano via in manette, mentre la Parmalat e tutte le società collegate, compreso l’intero indotto nazionale, venivano dichiarate fallite provocando il più pesante crack industriale italiano. Esattamente quello fu il momento in cui si è decisa la successiva storia del nostro paese. In Italia vige una idea tutta propria (il celeberrimo paese delle meraviglie) sia del capitalismo che del liberismo, completamente diversa -nel bene e nel male- da quella in uso nelle altre nazioni economicamente ricche del mondo. E’ una interpretazione medioevale del capitalismo (di per sé, un ossimoro) il cui fine non consiste nel produrre profitto creando lavoro, facendo circolare la moneta per aumentare il benessere della collettività, bensì coordinare un sistema consociativo che annulla la competitività (sale e pepe del capitalismo) per mantenere sempre inalterato l’equilibrio socio-economico che garantisce la salvaguardia di piccole oligarchie consolidate nei secoli ed ha quindi come visione politica d’insieme l’eterno mantenimento dello status quo: si chiama capitalismo di relazione. Negli altri paesi è vietato per Legge, da noi è norma consolidata. Il caso Tanzi avrebbe potuto e dovuto essere il termometro che denunciava un grave sintomo di patologica anomalìa e quindi avviare il pensionamento di quella idea peregrina legata agli interessi di piccole caste complici, per rendere dinamico il mercato e spingere l’Italia verso un capitalismo avanzato, efficace ed efficiente, in quel momento possibile. In un paese come il nostro è difficile diventare grandi industriali, tanto meno vice-presidenti della Confindustria, se non si hanno ottime relazioni con tutti. Due ore dopo il suo arresto,Tanzi non poteva più contare neppure su un amico. Venne immediatamente scaricato e additato come un giocatore d’azzardo, una “eccezione” nel mondo finanziario italiano, in tal modo salvando il sistema che lo aveva prodotto. Se invece la Confindustria e il sistema finanziario e bancario italiano si fossero assunti le loro responsabilità, di teste ne sarebbero cadute diverse centinaia, chi lo sa, forse addirittura migliaia e in quell’occasione si sarebbe potuto procedere al varo di una nuova generazione di dirigenti, sia in campo imprenditoriale che politico, pensando al futuro. Invece, prevalse la linea opposta, e lì si cementò la sacra alleanza tra la destra e la sinistra nel nome di un consociativismo di maniera, i cui effetti stanno oggi sotto gli occhi di tutti.

Il caso delle quattro banche è simile, nel senso che potrebbe consentire (grazie all’Europa) di rifondare un sistema diverso. Dodici anni dopo, ci troviamo ancora nella stessa situazione d’allora, incapacitati a studiare la nostra storia. Perché la questione Banca dell’Etruria, Marche, Ferrara e Chieti, rivela un panorama che spiega con esattezza millimetrica ciò che il bravissimo professor Giuseppe De Rita, presidente del Censis, voleva dire quando, tre giorni fa, ha consegnato formalmente al governo la sua radiografia del paese: “L’Italia vive in un pericoloso stato di letargia collettiva”.

I truffati-dormienti sono un tipico esempio dell’attuale panorama. L’input iniziale a far acquistare i bond subordinati non credo sia venuto da una iniziativa personale dei cassieri o dei dirigenti, bensì da una precisa direttiva proveniente dai circoli politici locali legati ai partiti. Il management bancario italiano, infatti, non sempre è composto da professionisti esperti in materia, per lo più si tratta di nomine politiche. Questi manager rispondono alle segreterie politiche provinciali, regionali, comunali dei partiti che hanno fornito loro il lavoro, ed eseguono gli ordini provenienti direttamente dalla segreteria nazionale e da palazzo Chigi. Il loro compito consiste nell’usare la banca come strumento operativo territoriale per garantire un numero X di voti. 100 crediti e mutui alle aziende Y senza alcuna garanzia corrispondono a un tot di voti sicuri e garantiti. E’ cosa nota. Oggi protestano perché è andata male. In Italia le persone si muovono quando le loro furbate finiscono male e ci rimettono i soldi, non si muove mai nessuno per motivi etici, ideali, di principio. Perché ad Arezzo, a Chieti, a Ferrara, a Vicenza, a Pesaro, socialmente, chi fa ciò che dice la banca locale, aumenta le probabilità statistiche di piazzare un proprio congiunto nel nome -per l’appunto- di quel capitalismo di relazione, attivo tra gli squali ma attivo anche tra le alici. E’ per questo che il paese soffre di letargia: se appoggiamo il boss locale strappiamo una buona percentuale e ci protegge pure, dunque ci conviene. La logica è questa.

E nessuno parla di quei 200 mila cui è andata di lusso, nella scandalosa settimana dal 17 al 24 gennaio 2015. Molti di questi truffati-letargici hanno investito (dopo il 25 gennaio) soldi guadagnati il 24 attraverso la più allarmante e scandalosa speculazione verificatasi ad Arezzo in quel periodo. Il 17 gennaio del 2015 la Banca dell’Etruria, essendo già decotta, valeva in borsa 0,33 euro ad azione. Simultaneamente partono ordini d’acquisto da parte di piccoli correntisti, circa 200.000. Il titolo schizza in alto senza alcun motivo. In sei giorni arriva a 0,62 euro ad azione. Si sa anche il momento esatto in cui la Consob interverrà. Poche ore prima che piombi la vigilanza, i più vendono realizzando in una settimana un profitto del 92%. L’ispettore della borsa fa un rapporto alla Banca d’Italia. Arriva un impiegato da Roma che deve essersi messo la mano tra i capelli. Dieci giorni dopo -il tempo necessario per disfarsi delle azioni- la banca viene commissariata, le quotazioni congelate, e l’istituto viene “tecnicamente” definito dalla Banca d’Italia, in situazione fallimentare. Intanto 200.000 persone hanno visto il loro capitale raddoppiare. Le cose devono essere andate così: a Natale del 2014 comincia a circolare, in ambiente aretino
legato al management piddino, la voce che si possono fare soldi a palate, di lì a breve, acquistando in un certo giorno alla borsa valori di Milano -quindi, il tutto squisitamente legale e trasparente- il titolo della Banca Etruria. Si garantisce che la voce arriva dai palazzi alti, da Roma. E i dirigenti locali confermano. E vola il passaparola discreto tra chi in quell’ambiente vive e di quelle dinamiche si nutre. E il giorno X, Y e Z scatta l’operazione perfettamente calibrata.

Commissariata la banca, finisce la pacchia in borsa. A quel punto si diffonde la puzza ed è chiaro a tutti in quali mari si stia navigando. Eppure, i letargici-truffati non desistono. Non sapevano nulla? Non ne erano informati?

Qui di seguito un articolo esplicativo, scritto in maniera chiara e semplice, pubblicato in data 15 febbraio sul sito “etrurianews” con sede a Civitavecchia che è girato per tutta la Toscana e l’Alto Lazio. Non solo. Questo articolo è stato ripreso da televisioni locali che lo hanno commentato, e l’intera zona e tutto il territorio in cui i letargici-truffati abitavano erano a conoscenza dei fatti.

La puzza si sentiva dovunque, ma loro siccome sono abituati a votare turandosi il naso, non l’hanno sentita.

E possiamo cambiare regione.

Dovrei essere solidale e provare simpatia civile per i messinesi che non hanno acqua potabile? Per un luogo in cui il 40% dei residenti ha votato a suo tempo per Fracantonio Genovese, sentenziato, un anno in galera, appena uscito dal carcere (tre giorni fa) è anche uscito dal PD per entrare in Forza Italia, accolto con amore dagli eredi di Dell’Utri perché un sondaggio rivela che garantisce un pacchetto di voti pari al 25%. Che i messinesi si arrangino, che stiano senz’acqua. Peggio per loro che si turano il naso per non sentire la puzza.

E a Vicenza? E a Verona? A Padova? Sembra che siano circa 250.000 i letargici-truffati dalla Veneto Banca. E a Siena? E a Spoleto? E a Bari? E a Genova? E a Rimini? E a Bologna? Tutte città sedi di banche sul punto di esplodere. Puzzano. Ma i letargici italiani si turano il naso e li votano. Che si arrangino.

La dovete piantare di parlare soltanto di soldi e indignarvi solo e soltanto quando ve li portano via. Perché avete scelto di turarvi il naso e siete pure ciechi. Perché nessuno sente più l’odore della disperazione dei tarantini per l’Ilva. Non tira più mediaticamente, quindi, chissenefrega, tanto l’odore non lo sento.

Non è colpa delle banche. Notoriamente quelli sono squali e fanno il loro lavoro.

E’ sì colpa di chi non controlla, ma è anche colpa degli italiani che dormono e quando sono svegli si turano il naso, si coprono gli occhi e le orecchie. E dopo si lamentano.

La mia simpatia va a chi ha scelto di svegliarsi.

E’ colpa dei dormienti se il paese è a pezzi. Complici consapevoli di un sistema criminale e marcio.

Buon week end a tutti quelli svegli e a tutti coloro che se lo meritano.

( http://www.etrurianews.it/lazio/civitavecchia/4983-civitavecchia-banca-etruria-e-il-mistero-sulla-privilege.html)

http://www.libero-pensiero.net/di-quali-privilegi-stiamo-parlando/ [/i]


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