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Il discorso della Guida della Rivoluzione una settimana dopo


Tao
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Il discorso della Guida della Rivoluzione una settimana dopo le elezioni

La voce rotta della Guida in difesa di un colpo di stato color sangue

La Guida della Repubblica Islamica [Ali Khamenei, ndt] parla una settimana dopo le elezioni del 12 giugno. Elezioni che avrebbero potuto essere una formidabile leva per la sicurezza della nazione, ma che si sono trasformate in un fattore di instabilità a causa del colpo di stato elettorale che ne ha rovesciato l’esito.

Egli all’atto pratico ha sostenuto il seguente teorema: “poiché ha votato l’85% degli elettori, questo voto era un’implicita approvazione del regime, perciò sono io che decido chi è il presidente”.

Le sue parole erano un insieme contraddittorio fatto di debolezza politica, minaccia di repressione, tentativo di provocare simpatia, il sempiterno teorema del complotto imperialista, difesa ostinata di una presidenza che gode di un’approvazione nazionale debolissima, rifiuto di approvare la richiesta di una nuova tornata elettorale che sta per diventare sempre più una richiesta nazionale, ed infine la comunicazione al pubblico del suo vero desiderio: che tutti tornino nelle loro case ed accettino il golpe elettorale.

Con questo discorso, egli ha reso palese di non essere neppure il portavoce di tutto il regime, ma di una sola parte di esso e, cosa assai più importante, di una parte minoritaria. Tradendo molte attese, ha anche dimostrato di non avere una chiara e corretta comprensione delle condizioni del paese e del volere della popolazione. Al punto che, al momento di commentare l’irruzione delle milizie basij nei dormitori dell’università di Teheran e dell’uccisione di sette studenti, ha fatto intendere che gli studenti uccisi fossero dei basij. E persino ha asserito che la responsabilità dell’uccisione dei manifestanti per opera di cecchini appartenenti ai miliziani armati è da accollarsi a coloro che protestano contro il golpe elettorale.

(…)

Sottoponiamo ora all’attenzione del lettore la nostra analisi della situazione politica, basandoci sul discorso tenuto dalla Guida.

1) Il movimento di protesta nazionale è entrato in una fase di accelerazione e, nonostante le minacce contenute nel discorso, allungherà i propri passi.

2) La resistenza testarda della Guida della Repubblica Islamica di fronte alla richiesta popolare di una nuova tornata elettorale, o anche solo di indire un referendum per decidere se approvare o no il risultato annunciato in forma di golpe, dimostrano che, contrariamente al suo consiglio, l’unico modo per ottenere soddisfazione è quello di restare nelle strade e sui tetti delle case.

Il risultato delle promesse, regolarmente disattese, di prendere in considerazione un’inchiesta sui brogli elettorali ha provocato una totale sfiducia della popolazione nei confronti del Consiglio dei Guardiani e delle istituzioni nominate dalla Guida. Così come da tempo non v’è più fiducia nella magistratura del paese dopo le decine di casi di omicidi politici insabbiati. Questo capitolo è definitivamente chiuso.

3) La Guida, infine, con questo discorso ha posto al centro dell’attenzione la sua persona e la misura della coerenza tra le sue parole e le sue opere. Non solo: per la prima volta risulta evidente che il capo di tutte le matasse del paese si trova nel suo palazzo, e che il movimento nazionale e popolare di protesta non ha altra scelta che abbattere la diga da lui incarnata.

Questa è esattamente la stessa lezione emersa dai moti nazionali degli anni ’50 che videro contrapporsi l’allora primo ministro Mosaddegh al re alla sua corte. La fine di Mosaddegh fu segnata dal fatto di ritenere lo Shah un giovane ingenuo, di aver abbandonato le piazze e di essere entrato a sua volta nei giochetti politici della corte.

Noi siamo certi che se anche oggi i leader ancora a piede libero di questo movimento facessero un passo indietro, il movimento di protesta li sorpasserà lasciando un pegno di sangue e di repressione ancora più pesante.

Ali Khamenei ha parlato del sangue che sarà inevitabilmente versato nel caso in cui il popolo continuasse ad occupare le strade e le piazze. Anzitutto va detto che, già dai primi giorni, questa settimana non è certo stata priva di sangue. Eppure sembrerebbe che la cosa non abbia particolarmente impressionato i contestatori, che hanno continuato a riempire le piazze in milioni.

La verità è che probabilmente è stata ormai sorpassata la fase della paura del sangue. Ci troviamo cioè in una fase simile a quella attraversata dal paese tra il 1977 e il 1978 durante la rivoluzione islamica. Khamenei non si è ancora accorto della profondità di questo evento: il fatto che il popolo non ha più alcuna negli organi legali e giudiziari, e per esprimersi ed esigere il suo diritto deve necessariamente scendere per le strade.

Lo spirito che si celava dietro alle minacce del discorso della Guida, esprimeva una debolezza. Egli è al corrente delle consultazioni tra gli influenti religiosi dell’Assemblea degli Esperti ed è per questo che minaccia di voler andare fino alla fine. La sua era una risposta a questi religiosi influenti, non al popolo. Preso da una probabile collera, egli ha sottolineato come Rafsanjani sia in disaccordo con lui ed Ahmadinejad su tutte le questioni nazionali ed internazionali. Se avesse avuto un minimo in mano il polso della piazza, avrebbe evitato di rendere di colpo così popolare Rafsanjani…

Anche nel momento in cui dice che non si arrenderà mai alla pressione della piazza dimostra un’implicita debolezza, poiché evidentemente si rende conto che mezzo passo indietro ormai significa molti altri passi indietro: significa arrendersi al controllo della legge, arrendersi alle esigenze del Consiglio degli Esperti in tutte le nomine amministrative, giudiziarie e militari, significa perdere il controllo dei mezzi di comunicazione di massa, e così via.

Infine Khamenei ha praticamente ritenuto Khatami, Moussavi, Karroubi e un certo numero di religiosi influenti del paese, responsabili diretti del futuro bagno di sangue. In questo modo la storia di questo paese si ripete per l’ennesima volta in questi ultimi trent’anni: anche lo Shah, nel discorso televisivo che fece nel 1979, dopo aver detto con la voce rotta “ho sentito il rumore della vostra rivoluzione”, ha anche detto che la responsabilità dei morti futuri sarebbe stata di Khomeini, non sua e dei suoi generali.

Possiamo concludere dicendo che in buona sostanza Khamenei vede in pericolo la propria leadership che il discorso di oggi è stato una specie di autodifesa.

Ciò si vede anche nel frettoloso tentativo delle forze di repressione di estorcere confessioni ai tantissimi politici e parlamentari arrestati in questi giorni, per mettere in piedi la pubblica sceneggiata della “resistenza alla rivoluzione di velluto orchestrata dall’estero”. Così come è assai eloquente l’assenza di moltissime personalità influenti del regime alla preghiera del venerdì da lui officiata.

Col suo discorso, in pratica, oggi Khamenei ha affermato che la fine di Ahmadinejad significa la sua stessa fine. La radice del colpo di stato elettorale del 12 giugno sta in questo semplice punto.

Il pensiero va alle parole di Khomeini nell’ultimo anno della rivoluzione. Disse che la ragione per cui lo Shah continuava a versare sangue per le strade era che credeva ancora che sarebbe restato. Nel momento in cui si sarebbe convinto che il suo destino era di andarsene via, avrebbe smesso di uccidere. Pertanto – diceva Khomeini – noi dobbiamo insistere coi nostri slogan nelle strade, finché lo Shah sarà persuaso che dovrà andarsene.

Forse siamo di nuovo giunti a questo punto.

Fonte; www.rahetudeh.com
15.07.2009

Traduzione a cura di ARAMESH


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