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Manuale del Piccolo Colonialista n°18


Tao
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Da Marc Ferro "Le livre noir du colonialisme”. Laffont, Paris 2003

In India, l’Europeo non può fare a meno di intermediari locali. “Migliaia di schiavi, di servitori, di ausiliari, di associati, di collaboratori si danno da fare attorno a lui, cento mille volte più numerosi di coloro che non sono ancora i padroni.” Limitando il numero dei soldati europei esposti alle malattie e al fuoco nemico, l’incorporazione di autoctoni negli eserciti coloniali contribuisce a ridurre i costi dell’impero.

Il ricorso alle reclute indigene è una pratica antica. I Portoghesi l’adottano fin dai primi decenni del XVI secolo, poi essa si espande all’India dove nessuno la spingerà così lontano quanto i Britannici. L’esercito della Compagnia accoglie, alla vigilia della Grande Ribellione del 1857, più di 310.000 cipayes, ovvero quasi il 90% del totale degli effettivi. Questa percentuale diminuisce al 64% nel 1881, per risalire nella prima metà del XIX secolo. Le truppe indiane partecipano all’espansione britannica in Birmania (a diverse riprese dal 1824 al 1885), in Persia (1856-1857), diverse volte in Cina (1839-1842, 1857-1860), durante la rivolta dei Boxers nel 1900, in Afghanistan (1878-1880), in Egitto (1882-1885), in Africa orientale e centrale (1897-1898 e 1902-1904) e in Africa occidentale alla fine del XIX secolo. In nessun altro posto, nel XIX secolo, si ritrova una mobilitazione così massiccia. Nessun'altra potenza coloniale dispone, come la Gran Bretagna , di un serbatoio umano delle proporzioni dell’India. Il colonizzatore recluta tra le “razze guerriere”: Rajput, Jat, Sikh, Gurkha. La paga relativamente alta e soprattutto regolare, è un’attrattiva sufficiente per incitare i guerrieri autoctoni a mettersi al servizio della East India Company. Per la maggior parte dei colonizzati che si ingaggiano nell’esercito del conquistatore, l’ordine militare può apparire come meno ingiusto della società coloniale. Verso il 1913, 76.000 soldati inglesi “occupano” l’India popolata da 315 milioni di abitanti. Il costo finanziario della conquista e della difesa dell’impero è assicurato dalla metropoli (ovvero la madrepatria rispetto ai paesi colonizzati) solo nel caso dei dominions. Nelle colonie di sfruttamento*, dal 1860 al 1912, le spese militari rappresentano dal 35 al 40% del budget. In India, Londra riuscì a farne assumere una parte significativa. (…)

* L’autore distingue le colonie di popolamento da quelle di sfruttamento. In queste ultime non vengono insediati coloni dalla madrepatria, ma si lascia un contingente militare per mettere in atto la rapina e l’asservimento delle popolazioni colonizzate.

Le informazioni di Marc Ferro si prestano ad alcuni confronti con l'attualità. L'imperialismo continua ad usare truppe coloniali, ma questo uso viene oggi dissimulato in forme variegate. L'aggressione della NATO alla Libia ed alla Siria è stata condotta con l'uso di formazioni "jihadiste", finanziate, reclutate ed addestrate dalle petromonarchie del Golfo Persico, tutte coordinate con la NATO da appositi trattati di collaborazione militare; ma anche con l'ausilio dell'addestramento di compagnie di contractors come la ex Blackwater ( http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://articles.washingtonpost.com/2011-05-15/world/35232758_1_foreign-troops-uae-blackwater-guard&prev=/search%3Fq%3Dprince%2Bblackwater%2Buae%26biw%3D960%26bih%3D493 ) , che opera negli Emirati Arabi Uniti.
Ma la stessa NATO costituisce un meccanismo di reclutamento di truppe coloniali nei Paesi cosiddetti "alleati", come l'Italia. Lo dimostrano la presenza dei Marò italiani nell'Oceano Indiano, oltre che i contingenti di "pace" che i nostri governi hanno disseminato in Afghanistan, Kosovo, ecc. Gli "alleati" per di più finanziano il colonizzatore acquistando le sue armi.

A ciò si aggiunge l'autocolonialismo "creativo" dei vertici militari dei Paesi "alleati"/colonizzati, che si esprime in una produzione ideologica in proprio. In una performance televisiva ( http://www.youtube.com/watch?v=JXiqZ-TVqyM ) a "Servizio Pubblico", il ministro della Difesa, Mario Mauro, che è di origini pugliesi, si è fatto notare per aver usato l'autorazzismo verso la propria regione, presentandola come esempio di quel tipo di furibonda litigiosità che richiederebbe l'intervento delle forze di interposizione e "pacificazione" della NATO. L'autorazzismo meridionale si pone così al servizio della mitologia della superiorità razziale dell'Occidente.

Fonte: http://www.comidad.org/
20.10.2013


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