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Movimento 5 stelle: l’ultima cartuccia dell’establishment


oldhunter
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Il Movimento 5 stelle: l’ultima cartuccia dell’establishment

Nessun attività è più inutile che versare fiume d’inchiostro sulla politica italiana, inutilità dettata da due motivi. Primo: mai come in questa fase storica è evidente che l’Italia non è soggetto, bensì oggetto dell’agone internazionale, e le scelte più rilevanti per il futuro del Paese sono prese fuori dai suoi confini. Secondo: la politica ha perso da decenni qualsiasi capacità di rinnovamento e propulsione trasformandosi, specie negli ultimi anni, in un potente freno all’uscita dalla più grave crisi economica, sociale e demografica dai tempi dell’Unità. La politica italiana si è eretta a garante dello status quo, difendendo strenuamente quegli assetti, la UE e la NATO, all’origine del collasso economico e della crescente insicurezza ai suoi confini. I governi si succedono (Berlusconi IV, Monti I, Letta I, Renzi I), il tempo passa, si schiudono nuovi scenari (il primo governo presieduto dal M5S), ma la linea di fondo non cambia.

Come sarà chiaro a molti cittadini della Repubblica Italiana (ma il discorso vale anche al resto dell’Occidente), il principale strumento adottato per preservare il potere è l’illusione del cambiamento, del movimento, del rinnovamento: si succedono continuamente volti, sigle, partiti, consultazioni elettorali, coll’unico obbiettivo di instillare nei cittadini l’idea che l’istituto democratico sia viva e vegeto ed un cambio di rotta possibile. Si conta sul fatto che, sfogatosi col voto, l’elettore si tranquillizzi, incassando recessione, disoccupazione, tagli allo Stato sociale, inasprimenti fiscali, fino alla successiva consultazione, e così via. Il meccanismo si è però inceppato negli ultimi anni, spingendo sempre più persone a disertare le urne: persino in un Paese come l’Italia, tradizionalmente affezionato al rito del voto in virtù della sua gloriosa storia comunale, il tasso di partecipazione si è progressivamente inabissato, fino al record negativo delle ultime elezioni amministrative. Un italiano su due non si è presentato al ballottaggio.

Più elementi hanno contribuito a questo dinamica: il fatto che un organismo come la Troika (UE-FMI-BCE) imponesse le stesse “riforme strutturali” a governi rossi e versi, bianchi e neri, ha alimentato in molti il sospetto che gli esecutivi fossero meri esecutori di decisioni prese altrove, indipendentemente dalla volontà elettorale. Episodi come le presidenziali austriache, “salvate” dal voto postale ed inquinate dal forte sospetto di brogli elettorali, non hanno certo giovato. È poi germogliata in molti l’idea, specialmente dopo la vittoria in Grecia di Syriza e la bocciatura referendaria delle condizioni avanzate dalla Troika, poi puntualmente attuate da Alexis Tsipras, che i partiti d’opposizione non fossero altro che strumenti per la salvaguardia dello status quo: strumenti subdoli perché, ingannando l’elettore con radicali promesse di rinnovamento, all’atto pratico agivano per la conservazione del sistema.

L’Italia è, insieme alla Grecia ed agli altri Paesi dell’Europa meridionale, il Paese che ha più sofferto l’eurocrisi: il 10% del PIL è andato in fumo, un quarto della base industriale si è volatilizzato, la disoccupazione reale supera il 20%, le nascite sono ai minimi dall’Unità ed i già rari giovani in fuga verso l’estero. Un risultato analogo, insomma, a quello di un prolungato periodo di bombardamenti aerei. Subentrato il 2016, il meccanismo del “falso cambiamento”, del “falso rinnovamento”, dà inconfutabili segnali di stanchezza a causa del perdurare della crisi economica: il balletto di tecnici e rottamatori, allietato dai catartici “vaffanculo” di Beppe Grillo, non incanta più.

Matteo Renzi, “l’ultima speranza per le élite politiche italiane” come è definito dal Financial Times nel gennaio 2015, è la figura su cui converge la pericolante classe dirigente italiana dopo le nefaste esperienze di Mario Monti ed Enrico Letta. Espressione, come Silvio Berlusconi, dell’establishment repubblicano e della destra israeliana (come denota la sua amicizia con Michael Ledeen) e di una massoneria più casareccia che internazionale (si ricordi il rispuntare dell’immarcescibile Flavio Carboni nell’affaire Banca Etruria1), il sindaco è catapultato a Palazzo Chigi con l’assenso anche degli ambienti liberal che occupano la Casa Bianca con Barack Obama, sicuri, evidentemente, di non disporre di carte migliori.

Scopo di Renzi è adottare le consuete politiche neoliberiste (riforma del mercato del lavoro e privatizzazioni varie) con un tocco di freschezza e giovanilismo, così da indorare pillola: i mesi che intercorrono tra l’insediamento a Palazzo Chigi (febbraio 2014) e le elezioni europee (maggio 2014) filano lisci. Poi inizia inesorabile lo stesso logoramento già sperimentato dai predecessori. L’economia non riparte, la deflazione morte, il debito pubblico aumenta, la disoccupazione non si riassorbe.

Ex-post, si può tranquillamente affermare che Renzi ed i poteri di cui è espressione già immaginassero l’esito finale: massima precedenza è data, infatti, alla riforma costituzionale abbinata ad una legge elettorale (l’Italicum) che consenta la governabilità a qualsiasi formazione politica che superi il 25% dei consensi elettorali. La volontà è quella di prepararsi allo sfaldamento dell’elettorato sotto i colpi della crisi senza fine ed è tutto, fuorché casuale, che il premier escluda in questi giorni cambiamenti all’Italicum, nonostante la secca sconfitta subita alle amministrative: l’obbiettivo dell’ex-sindaco di Firenze non è infatti quello di conquistare la maggioranza dell’elettorato (spappolato dopo anni di recessione e tensioni accumulate), ma quello di governare come primo partito di maggioranza relativa, poco importa se votato da un quarto del corpo elettorale. È il famoso Partito della Nazione che probabilmente vedrà la luce nei prossimi mesi, magari con un’altra ragione sociale.

Nell’operazione il premier è spalleggiato da Silvio Berlusconi, con cui sigla il famoso Patto del Nazareno (che emana “stantio odore di massoneria” secondo Ferruccio de Bortoli2, abituato invece al profumo di rose emanato dalla massoneria cosmopolita dei Mario Draghi e Mario Monti): l’accordo, formalmente rotto nel febbraio 2015 quando il governi Renzi approva a colpi di maggioranza la riforma del Senato3, è sempre valido. Per puntellare il governo, il Cavaliere cede alla risicata maggioranza di Renzi il fido Denis Verdini ed un manipolo (decisivo) di senatori: il suo interesse è, infatti, quello di occuparsi senza pensieri dell’impero Mediaset in vista della successione ai figli, lasciando che Renzi manovri indisturbato a Palazzo Chigi. L’appoggio dato al candidato Alfio Marchini alle amministrative romani, così da frantumare il centrodestra e consentire al candidato PD Roberto Giacchetti di conquistare il ballottaggio, è l’ennesima dimostrazione che il Patto del Nazareno non è mai morto.

Passa il tempo, l’economia non decolla, l’Italia arranca e si conferma una grande minaccia per la tenuta dell’eurozona: l’establishment liberal (quello del Financial Times e dell’Economist che a suo tempo non avevano digerito neppure Berlusconi) ritira il suo sostegno a Matteo Renzi, come si evince dagli editoriali della stampa anglosassone che criticano piuttosto ferocemente il premier dal gennaio 2016 in avanti.

Nasce, parallelamente, l’idea di puntare sull’ultima carta a disposizione, quella del Movimento 5 Stelle, concepito agli albori come contenitore per incanalare e castrare il malcontento, non certo come partito di governo. “Financial Times: Il Movimento 5 Stelle è maturo per il governo” si legge sul Blog di Beppe Grillo il 30 gennaio 2015. La City consiglia anche al comico genovese (67 anni ed una condanna per omicidio colposo alle spalle) di ritirasi in buon ordine (“Fina
cial Times: Grillo, una zavorra per i Cinque Stelle” scrive Repubblica il 16 maggio 2016), lasciando tutto in eredità al giovane e stiloso Luigi di Maio, maturità classica e qualche esame a Giurisprudenza.

La prima prova elettorale, decisiva in vista del referendum costituzionale di ottobre e, in prospettiva, delle prossime elezioni legislative, è piuttosto drammatica per Matteo Renzi. Dalle elezioni comunali che coinvolgono le maggiori città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino) emerge con chiarezza che:

◾il malessere economico e sociale accumulato, oltre a gonfiare l’astensionismo a livello record, frammenta ulteriormente il voto, a tutto svantaggio del partito di governo, provocando la caduta di uno storico bastione di sinistra come Torino (Renzi, che aveva precauzionalmente preso le distanze dalle amministrative, si affretta a scartare l’ipotesi del voto di protesta contro l’esecutivo);

◾l’embrionale Partito della Nazione non dà i risultati sperati (pessimi sono i risultati dove il PD ed i vari fuoriusciti del centrodestra si presentano alleati) ma, al contrario, si registra la dinamica per cui al ballottaggio gli elettori del centrodestra convergono verso il Movimento 5 Stelle, motivo dell’ampio margine con cui si afferma Virginia Raggi a Roma e della vittoria di Chiara Appendino a Torino.

Per Matteo Renzi le amministrative si chiudono così con una vera e propria debacle, trasformando l’appuntamento referendario di ottobre, considerato fino a pochi mesi fa una passeggiata di salute tanto da indurre il premier a presentarlo come plebiscito legittimante per la sua persona, in una minaccia esiziale per il governo. I motivi che rendono sempre più concreta la vittoria del “No” al referendum abbondano:

◾il PD, sottratta la sinistra del partito, supera di poco un quarto dell’elettorato;

◾la sinistra interna, capitanata da Massimo D’Alema ed ingrossata dai dirigenti come Piero Fassino bruciati alle amministrative, boicotterà certamente la campagna per il “Sì”;

◾l’elettorato del centrodestra, ferma restando la dinamica delle comunali, voterà anch’esso per il “No”, pur di esprimersi contro il governo Renzi;

◾il Movimento 5 Stelle, che avrebbe solo da guadagnare dall’abolizione del Senato elettivo abbinata all’Italicum, non può certo fare aperta campagna elettorale per la riforma dopo aver promosso i comitati a sostegno del “No”.

Si concretizza così lo scenario di una bocciatura referendaria della riforma costituzionale, seguita dalla caduta del governo Renzi e dalla rapida riscrittura dell’Italicum che non contempla un Senato elettivo (magari in chiave proporzionale, come più volte caldeggiato da Eugenio Scalfari che bazzica gli ambienti “illuminati”), così da traghettare il Paese a nuove elezioni entro il 2017.

La forza politica meglio posizionata per subentrare a Palazzo Chigi sarebbe, a quel punto, il Movimento 5 Stelle che, rotta la crisalide, si trasformerebbe in partito di governo, rivelando la sua vera natura di “stampella del potere”.

Non si tratterebbe più infatti del movimento folkloristico che invoca l’uscita dall’euro o grida alla dittatura della Troika, ma di quello compassato e borghese di Luigi Di Maio, di Virginia Raggi e di Chiara Appendino. Quello che secondo il Financial Times è pronto “to govern the country and challenge the centre-left government led by prime minister Matteo Renzi”4, quello che all’ambasciata d’Olanda5 fa autocritica sulle dure posizioni assunte in passato contro l’Unione Europa, quello che viaggia tra Washington, Londra e Tel Aviv per confermare lo stampo atlantico del partito già impresso da Gianroberto Casaleggio, quello “keen to distance himself from another populist party shaking Europe’s establishment, France’s far-right National Front”, attento a differenziarsi dal Front National.

Si tratterebbe, insomma, dell’ultima, disperata, carta giocata dall’establishment per garantire lo status quo: volti nuovi, “lotta alla corruzione” e taglio delle immunità parlamentari, mentre il Paese si deindustrializza, la società marcisce nella disoccupazione e l’inverno demografico svuota le culle.

Nessuna buona novità all’orizzonte? Nessuna speranza di liberarsi dal giogo dell’Unione Europea?

Sì, ma non è una via d’uscita delle più gloriose: risiede nella certezza che il sistema euro-atlantico, che si dibatte tra tassi a zero, deflazione strisciante e rischi sempre più concreti di una nuova recessione, è inesorabilmente votato al collasso. Collasso che i vari Monti, Letta, Renzi e Di Maio hanno il compito di procrastinare il più possibile, finendo a loro volta travolti dal rullo compressore della crisi.

La politica, specie quella italiana, in questa fase storica è freno. Non motore.

Federico Dezzani
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org
Link: http://federicodezzani.altervista.org/renzi-vuoto-lultimo-colpo-canna-lm5s/
22.06.2016

NOTE:

1. http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/16/banca-etruria-il-faccendiere-carboni-ho-incontrato-tre-volte-pier-luigi-boschi-mi-ha-chiesto-consigli-sulle-nomine/2380942/

2. http://www.corriere.it/editoriali/14_settembre_24/nemico-specchio-f3e6ce3e-43a8-11e4-bbc2-282fa2f68a02.shtml

3. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/04/patto-nazareno-forza-italia-esplode-fa-saltare-lintesa-pd-ognuno-per-se/1396266/

4. https://next.ft.com/content/45c62a88-99d9-11e5-9228-87e603d47bdc

5. https://www.lastampa.it/2016/03/24/italia/politica/di-maio-fa-autocritica-sullue-forse-siamo-stati-troppo-duri-WLYPthmhDym3mJYnqouX0O/pagina.html


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Giancarlo54
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Si, concordo con l'articolo. Mi pare evidente che per "lor signori" dopo Renzi le alternative piddine manchino quasi del tutto, ovvio che ci si rivolga altrove e l'altrove può essere solo il M5S, movimento scelto da chi ancora vuole andare a votare (il sottoscritto nel 2013 e gli elettori non piddini nel 2016) per non far vincere il PD e i suoi accoliti. Quindi, soluzioni? Nessuna, almeno da quel che viene in mente a me.


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GhinodiSola
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questogenio di federico vorrebbe che il m5s si affermasse combattendo come don chisciotte contro i mulini a vento del potere finanziario globale, mica solo della troika......

il resto è un'analisi condivisibile ma questo approccio che ho stottolineato è assolutamente privo di realpolitik - un orrimo esercizio affabulatorio 🙂


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trigone
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questogenio di federico vorrebbe che il m5s si affermasse combattendo come don chisciotte contro i mulini a vento del potere finanziario globale, mica solo della troika......

Esilarante, l'insulto ("questo genio...") dato gratuitamente a qualcuno, colpevole di voler combattere la troika come Don Chisciotte, in un sito che da decenni si chiama, comedonchisciotte.

Direi proprio, GENIALE!!!!


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Il Movimento 5 stelle: l’ultima cartuccia dell’establishment

Nessun attività è più inutile che versare fiume d’inchiostro sulla politica italiana, inutilità dettata da due motivi. Primo: mai come in questa fase storica è evidente che l’Italia non è soggetto, bensì oggetto dell’agone internazionale, e le scelte più rilevanti per il futuro del Paese sono prese fuori dai suoi confini. Secondo: la politica ha perso da decenni qualsiasi capacità di rinnovamento e propulsione trasformandosi, specie negli ultimi anni, in un potente freno all’uscita dalla più grave crisi economica, sociale e demografica dai tempi dell’Unità. La politica italiana si è eretta a garante dello status quo, difendendo strenuamente quegli assetti, la UE e la NATO, all’origine del collasso economico e della crescente insicurezza ai suoi confini. I governi si succedono (Berlusconi IV, Monti I, Letta I, Renzi I), il tempo passa, si schiudono nuovi scenari (il primo governo presieduto dal M5S), ma la linea di fondo non cambia.

Come sarà chiaro a molti cittadini della Repubblica Italiana (ma il discorso vale anche al resto dell’Occidente), il principale strumento adottato per preservare il potere è l’illusione del cambiamento, del movimento, del rinnovamento: si succedono continuamente volti, sigle, partiti, consultazioni elettorali, coll’unico obbiettivo di instillare nei cittadini l’idea che l’istituto democratico sia viva e vegeto ed un cambio di rotta possibile. Si conta sul fatto che, sfogatosi col voto, l’elettore si tranquillizzi, incassando recessione, disoccupazione, tagli allo Stato sociale, inasprimenti fiscali, fino alla successiva consultazione, e così via. Il meccanismo si è però inceppato negli ultimi anni, spingendo sempre più persone a disertare le urne: persino in un Paese come l’Italia, tradizionalmente affezionato al rito del voto in virtù della sua gloriosa storia comunale, il tasso di partecipazione si è progressivamente inabissato, fino al record negativo delle ultime elezioni amministrative. Un italiano su due non si è presentato al ballottaggio.

Più elementi hanno contribuito a questo dinamica: il fatto che un organismo come la Troika (UE-FMI-BCE) imponesse le stesse “riforme strutturali” a governi rossi e versi, bianchi e neri, ha alimentato in molti il sospetto che gli esecutivi fossero meri esecutori di decisioni prese altrove, indipendentemente dalla volontà elettorale. Episodi come le presidenziali austriache, “salvate” dal voto postale ed inquinate dal forte sospetto di brogli elettorali, non hanno certo giovato. È poi germogliata in molti l’idea, specialmente dopo la vittoria in Grecia di Syriza e la bocciatura referendaria delle condizioni avanzate dalla Troika, poi puntualmente attuate da Alexis Tsipras, che i partiti d’opposizione non fossero altro che strumenti per la salvaguardia dello status quo: strumenti subdoli perché, ingannando l’elettore con radicali promesse di rinnovamento, all’atto pratico agivano per la conservazione del sistema.

L’Italia è, insieme alla Grecia ed agli altri Paesi dell’Europa meridionale, il Paese che ha più sofferto l’eurocrisi: il 10% del PIL è andato in fumo, un quarto della base industriale si è volatilizzato, la disoccupazione reale supera il 20%, le nascite sono ai minimi dall’Unità ed i già rari giovani in fuga verso l’estero. Un risultato analogo, insomma, a quello di un prolungato periodo di bombardamenti aerei. Subentrato il 2016, il meccanismo del “falso cambiamento”, del “falso rinnovamento”, dà inconfutabili segnali di stanchezza a causa del perdurare della crisi economica: il balletto di tecnici e rottamatori, allietato dai catartici “vaffanculo” di Beppe Grillo, non incanta più.

Matteo Renzi, “l’ultima speranza per le élite politiche italiane” come è definito dal Financial Times nel gennaio 2015, è la figura su cui converge la pericolante classe dirigente italiana dopo le nefaste esperienze di Mario Monti ed Enrico Letta. Espressione, come Silvio Berlusconi, dell’establishment repubblicano e della destra israeliana (come denota la sua amicizia con Michael Ledeen) e di una massoneria più casareccia che internazionale (si ricordi il rispuntare dell’immarcescibile Flavio Carboni nell’affaire Banca Etruria1), il sindaco è catapultato a Palazzo Chigi con l’assenso anche degli ambienti liberal che occupano la Casa Bianca con Barack Obama, sicuri, evidentemente, di non disporre di carte migliori.

Scopo di Renzi è adottare le consuete politiche neoliberiste (riforma del mercato del lavoro e privatizzazioni varie) con un tocco di freschezza e giovanilismo, così da indorare pillola: i mesi che intercorrono tra l’insediamento a Palazzo Chigi (febbraio 2014) e le elezioni europee (maggio 2014) filano lisci. Poi inizia inesorabile lo stesso logoramento già sperimentato dai predecessori. L’economia non riparte, la deflazione morte, il debito pubblico aumenta, la disoccupazione non si riassorbe.

Ex-post, si può tranquillamente affermare che Renzi ed i poteri di cui è espressione già immaginassero l’esito finale: massima precedenza è data, infatti, alla riforma costituzionale abbinata ad una legge elettorale (l’Italicum) che consenta la governabilità a qualsiasi formazione politica che superi il 25% dei consensi elettorali. La volontà è quella di prepararsi allo sfaldamento dell’elettorato sotto i colpi della crisi senza fine ed è tutto, fuorché casuale, che il premier escluda in questi giorni cambiamenti all’Italicum, nonostante la secca sconfitta subita alle amministrative: l’obbiettivo dell’ex-sindaco di Firenze non è infatti quello di conquistare la maggioranza dell’elettorato (spappolato dopo anni di recessione e tensioni accumulate), ma quello di governare come primo partito di maggioranza relativa, poco importa se votato da un quarto del corpo elettorale. È il famoso Partito della Nazione che probabilmente vedrà la luce nei prossimi mesi, magari con un’altra ragione sociale.

Nell’operazione il premier è spalleggiato da Silvio Berlusconi, con cui sigla il famoso Patto del Nazareno (che emana “stantio odore di massoneria” secondo Ferruccio de Bortoli2, abituato invece al profumo di rose emanato dalla massoneria cosmopolita dei Mario Draghi e Mario Monti): l’accordo, formalmente rotto nel febbraio 2015 quando il governi Renzi approva a colpi di maggioranza la riforma del Senato3, è sempre valido. Per puntellare il governo, il Cavaliere cede alla risicata maggioranza di Renzi il fido Denis Verdini ed un manipolo (decisivo) di senatori: il suo interesse è, infatti, quello di occuparsi senza pensieri dell’impero Mediaset in vista della successione ai figli, lasciando che Renzi manovri indisturbato a Palazzo Chigi. L’appoggio dato al candidato Alfio Marchini alle amministrative romani, così da frantumare il centrodestra e consentire al candidato PD Roberto Giacchetti di conquistare il ballottaggio, è l’ennesima dimostrazione che il Patto del Nazareno non è mai morto.

Passa il tempo, l’economia non decolla, l’Italia arranca e si conferma una grande minaccia per la tenuta dell’eurozona: l’establishment liberal (quello del Financial Times e dell’Economist che a suo tempo non avevano digerito neppure Berlusconi) ritira il suo sostegno a Matteo Renzi, come si evince dagli editoriali della stampa anglosassone che criticano piuttosto ferocemente il premier dal gennaio 2016 in avanti.

Nasce, parallelamente, l’idea di puntare sull’ultima carta a disposizione, quella del Movimento 5 Stelle, concepito agli albori come contenitore per incanalare e castrare il malcontento, non certo come partito di governo. “Financial Times: Il Movimento 5 Stelle è maturo per il governo” si legge sul Blog di Beppe Grillo il 30 gennaio 2015. La City consiglia anche al comico genovese (67 anni ed una condanna per omicidio colposo alle spalle) di ritirasi in buon ord
ine (“Finacial Times: Grillo, una zavorra per i Cinque Stelle” scrive Repubblica il 16 maggio 2016), lasciando tutto in eredità al giovane e stiloso Luigi di Maio, maturità classica e qualche esame a Giurisprudenza.

La prima prova elettorale, decisiva in vista del referendum costituzionale di ottobre e, in prospettiva, delle prossime elezioni legislative, è piuttosto drammatica per Matteo Renzi. Dalle elezioni comunali che coinvolgono le maggiori città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino) emerge con chiarezza che:

◾il malessere economico e sociale accumulato, oltre a gonfiare l’astensionismo a livello record, frammenta ulteriormente il voto, a tutto svantaggio del partito di governo, provocando la caduta di uno storico bastione di sinistra come Torino (Renzi, che aveva precauzionalmente preso le distanze dalle amministrative, si affretta a scartare l’ipotesi del voto di protesta contro l’esecutivo);

◾l’embrionale Partito della Nazione non dà i risultati sperati (pessimi sono i risultati dove il PD ed i vari fuoriusciti del centrodestra si presentano alleati) ma, al contrario, si registra la dinamica per cui al ballottaggio gli elettori del centrodestra convergono verso il Movimento 5 Stelle, motivo dell’ampio margine con cui si afferma Virginia Raggi a Roma e della vittoria di Chiara Appendino a Torino.

Per Matteo Renzi le amministrative si chiudono così con una vera e propria debacle, trasformando l’appuntamento referendario di ottobre, considerato fino a pochi mesi fa una passeggiata di salute tanto da indurre il premier a presentarlo come plebiscito legittimante per la sua persona, in una minaccia esiziale per il governo. I motivi che rendono sempre più concreta la vittoria del “No” al referendum abbondano:

◾il PD, sottratta la sinistra del partito, supera di poco un quarto dell’elettorato;

◾la sinistra interna, capitanata da Massimo D’Alema ed ingrossata dai dirigenti come Piero Fassino bruciati alle amministrative, boicotterà certamente la campagna per il “Sì”;

◾l’elettorato del centrodestra, ferma restando la dinamica delle comunali, voterà anch’esso per il “No”, pur di esprimersi contro il governo Renzi;

◾il Movimento 5 Stelle, che avrebbe solo da guadagnare dall’abolizione del Senato elettivo abbinata all’Italicum, non può certo fare aperta campagna elettorale per la riforma dopo aver promosso i comitati a sostegno del “No”.

Si concretizza così lo scenario di una bocciatura referendaria della riforma costituzionale, seguita dalla caduta del governo Renzi e dalla rapida riscrittura dell’Italicum che non contempla un Senato elettivo (magari in chiave proporzionale, come più volte caldeggiato da Eugenio Scalfari che bazzica gli ambienti “illuminati”), così da traghettare il Paese a nuove elezioni entro il 2017.

La forza politica meglio posizionata per subentrare a Palazzo Chigi sarebbe, a quel punto, il Movimento 5 Stelle che, rotta la crisalide, si trasformerebbe in partito di governo, rivelando la sua vera natura di “stampella del potere”.

Non si tratterebbe più infatti del movimento folkloristico che invoca l’uscita dall’euro o grida alla dittatura della Troika, ma di quello compassato e borghese di Luigi Di Maio, di Virginia Raggi e di Chiara Appendino. Quello che secondo il Financial Times è pronto “to govern the country and challenge the centre-left government led by prime minister Matteo Renzi”4, quello che all’ambasciata d’Olanda5 fa autocritica sulle dure posizioni assunte in passato contro l’Unione Europa, quello che viaggia tra Washington, Londra e Tel Aviv per confermare lo stampo atlantico del partito già impresso da Gianroberto Casaleggio, quello “keen to distance himself from another populist party shaking Europe’s establishment, France’s far-right National Front”, attento a differenziarsi dal Front National.

Si tratterebbe, insomma, dell’ultima, disperata, carta giocata dall’establishment per garantire lo status quo: volti nuovi, “lotta alla corruzione” e taglio delle immunità parlamentari, mentre il Paese si deindustrializza, la società marcisce nella disoccupazione e l’inverno demografico svuota le culle.

Nessuna buona novità all’orizzonte? Nessuna speranza di liberarsi dal giogo dell’Unione Europea?

Sì, ma non è una via d’uscita delle più gloriose: risiede nella certezza che il sistema euro-atlantico, che si dibatte tra tassi a zero, deflazione strisciante e rischi sempre più concreti di una nuova recessione, è inesorabilmente votato al collasso. Collasso che i vari Monti, Letta, Renzi e Di Maio hanno il compito di procrastinare il più possibile, finendo a loro volta travolti dal rullo compressore della crisi.

La politica, specie quella italiana, in questa fase storica è freno. Non motore.

Federico Dezzani
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org
Link: http://federicodezzani.altervista.org/renzi-vuoto-lultimo-colpo-canna-lm5s/
22.06.2016

NOTE:

1. http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/16/banca-etruria-il-faccendiere-carboni-ho-incontrato-tre-volte-pier-luigi-boschi-mi-ha-chiesto-consigli-sulle-nomine/2380942/

2. http://www.corriere.it/editoriali/14_settembre_24/nemico-specchio-f3e6ce3e-43a8-11e4-bbc2-282fa2f68a02.shtml

3. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/04/patto-nazareno-forza-italia-esplode-fa-saltare-lintesa-pd-ognuno-per-se/1396266/

4. https://next.ft.com/content/45c62a88-99d9-11e5-9228-87e603d47bdc

5. https://www.lastampa.it/2016/03/24/italia/politica/di-maio-fa-autocritica-sullue-forse-siamo-stati-troppo-duri-WLYPthmhDym3mJYnqouX0O/pagina.html

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analisi chiara e condivisibile, naturalmente questo scatenerà le ire e gli strali delle fanstelline di CDC 😆


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BIGIGO
Estimable Member
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Si, concordo con l'articolo. Mi pare evidente che per "lor signori" dopo Renzi le alternative piddine manchino quasi del tutto, ovvio che ci si rivolga altrove e l'altrove può essere solo il M5S, movimento scelto da chi ancora vuole andare a votare (il sottoscritto nel 2013 e gli elettori non piddini nel 2016) per non far vincere il PD e i suoi accoliti. Quindi, soluzioni? Nessuna, almeno da quel che viene in mente a me.

Andare a votare serve a poco, non andarci serve a niente. Negli USA vota si e no il 30% e ai poteri forti non gliene frega niente.

Io preferisco andare a votare soprattutto per ribadire la mia volontà e partecipazione dato che chi non vota non viene considerato un contestatore ma piuttosto uno che ha talmente delegato la politica che non ritiene più nemmeno necessari partecipare, si fida in assoluto di qualsiasi soluzione oppure non si ritiene in grado di una scelta.
Detto ciò, il problema sta nel fatto che non bisogna illudersi di poter cambiare qualcosa solo con il voto, sono le piccole scelte quotidiane dei molti che cambiano veramente il mondo.


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GhinodiSola
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questogenio di federico vorrebbe che il m5s si affermasse combattendo come don chisciotte contro i mulini a vento del potere finanziario globale, mica solo della troika......

Esilarante, l'insulto ("questo genio...") dato gratuitamente a qualcuno, colpevole di voler combattere la troika come Don Chisciotte, in un sito che da decenni si chiama, comedonchisciotte.

Direi proprio, GENIALE!!!!

motivo di grande ilarità è l'incapacità di comprendere che la troika (dezzani ha preteso addirittura di più) non la prendi di petto, non è un toro da affrontare prendendolo per le corna.

sempre in termini di ilarità, il genio farebbe la fine di don chisciotte


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helios
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questogenio di federico vorrebbe che il m5s si affermasse combattendo come don chisciotte contro i mulini a vento del potere finanziario globale, mica solo della troika......

Esilarante, l'insulto ("questo genio...") dato gratuitamente a qualcuno, colpevole di voler combattere la troika come Don Chisciotte, in un sito che da decenni si chiama, comedonchisciotte.

Direi proprio, GENIALE!!!!

motivo di grande ilarità è l'incapacità di comprendere che la troika (dezzani ha preteso addirittura di più) non la prendi di petto, non è un toro da affrontare prendendolo per le corna.

sempre in termini di ilarità, il genio farebbe la fine di don chisciotte

Infatti la troika la si puo prendere solo a cetriolo non per le corna.

Fine che faremo presto tutti se andiamo avanti di questo passo.

Donchisciotte almeno pensava a Dulcinea,noi dovremo pensare alla Etruria,alla Madia o alla Raggi.... Ovvove, ovvore.... Estraterreste portami via, ma anche la troika non guasterebbe

😛


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analisi chiara e condivisibile, naturalmente questo scatenerà le ire e gli strali delle fanstelline di CDC Laughing

Cos è che condivide, Temu? 😯


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spadaccinonero
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Dezzani è una delle poche penne che leggo con molto interesse

l'astensionismo però non rappresenta più di tanto un problema se consideriamo che presto gli immigrati, divenuti cittadini Italiani potranno votare pd e ovviamente il 5s, inoltre ritengo che il renzo non sarà scaricato e il suo esecutivo arriverà al 2018, ovvero alla sua scadenza naturale

bigigo

conta fino a dieci prima di ripetere le stupidaggini che senti in tv

un conto è l'astensionismo derivato dalla degenerazione cultuurale (ciò che avviene un usa), un altro è l'astensionismo di un POPOLO CONSAPEVOLE


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GhinodiSola
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Post: 57
 

Dezzani è una delle poche penne che leggo con molto interesse

l'astensionismo però non rappresenta più di tanto un problema se consideriamo che presto gli immigrati, divenuti cittadini Italiani potranno votare pd e ovviamente il 5s, inoltre ritengo che il renzo non sarà scaricato e il suo esecutivo arriverà al 2018, ovvero alla sua scadenza naturale

bigigo

conta fino a dieci prima di ripetere le stupidaggini che senti in tv

un conto è l'astensionismo derivato dalla degenerazione cultuurale (ciò che avviene un usa), un altro è l'astensionismo di un POPOLO CONSAPEVOLE

anch'io leggo dezzani con molto piacere. Di sicuro lui non strumentalizzerebbe in maniera cosi becera il fenomeno migratorio attuale per avvalorare a tutti i costi una tesi sbilenca, portata avanti, come nel messaggio in quote, con perfidia subdola e strisciante. Urge psichiatra specializzato in sindromi da ego velleitario


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spadaccinonero
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sola

tutte le volte che ti leggo mi faccio un sacco di risate mentre mi chiedo se tu sei un fake oppure no

😆 😆 😆

buonanotte


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[Utente Cancellato]
Noble Member
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sola

tutte le volte che ti leggo mi faccio un sacco di risate mentre mi chiedo se tu sei un fake oppure no

😆 😆 😆

buonanotte

Ricordo, anni orsono, un certo Ghinoditacco che scriveva sull'Avanti, ma quello era di un'altra caratura rispetto a questo qui 😆


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