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Nuovi posti di lavoro?


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I nuovi posti di lavoro? Hanno stipendi da fame. Così l'Italia è tra i paesi peggiori d'Europa.

Quando una persona inciampa gli può andare bene e tirarsi su in fretta, magari senza troppi danni, oppure prenderla male e cominciare a zoppicare. Per quanto riguarda il lavoro, non solo la crisi ha colpito gli italiani molto più a fondo che in tante altre nazioni europee, ma anche la ripresa ha lasciato cicatrici profonde.

Persino quando i posti tornano a crescere, com’è successo negli ultimi tempi, fra lavoro e lavoro può esserci una grande differenza. Se un posto con uno stipendio decente viene sostituito da uno con un salario da fame è meglio di nulla, certo: ma nulla di cui festeggiare.

Questa è esattamente la situazione dell’Italia, secondo un recente studio dell’agenzia europea Eurofound ( https://www.eurofound.europa.eu/publications/report/2017/occupational-change-and-wage-inequality-european-jobs-monitor-2017 ), che ha analizzato in che modo cambia il lavoro negli ultimi anni – dove migliora, con salari in crescita, e dove invece diventa più povero.

Dalla seconda metà del 2011 a quella del 2016, hanno mostrato gli autori, in Italia ci sono state due evoluzioni fondamentali. La prima è che la maggior parte dei nuovi posti creati risultano fra i lavori più poveri: esattamente nel 20 per cento inferiore degli stipendi. Al contrario le perdite sono arrivate nei lavori da classe media e medio-alta. C’è stato insomma un generale arretramento nella qualità del lavoro, con centinaia di migliaia di persone in più ora occupate in mestieri in cui guadagnano pochissimo.

Positivo è il fatto che, almeno per alcuni aspetti, il peggio sembra passato. Guardando al periodo che va da metà 2011 a metà 2013, gli autori della ricerca hanno trovato un calo nell’occupazione in tutte le fasce da salario, dalle più ricche in giù, tranne che per quelle meno retribuite.

Negli ultimi tre anni quanto meno l’emorragia di posti si è arrestata, e anzi sembra ricominciata una discreta crescita. Tuttavia anche qui i nuovi lavori si concentrano in buona parte fra quelli più poveri, con la classe media che fatica e si assottiglia, ma anche un discreto numero di posti nei lavori con stipendio medio-alti e alti – ancora insufficienti però a compensare le perdite di chi aveva un lavoro normale.

Gli stessi autori dello studio scrivono infatti che «un piccolo numero di stati mostra un degrado nel modo in cui è cambiata l’occupazione dal 2013, con la maggior parte della crescita di nuovi posti che si trova nella parte più povera della distribuzione dei salari». Fra essi Ungheria, Irlanda e Olanda, mentre proprio in Italia «dal 2011 al 2016 la crescita dell’occupazione è stata fra i lavori con paga più bassa».

Altro fattore cruciale è il ruolo degli immigrati. Risulta infatti che praticamente tutte le perdite di chi aveva un salario medio e medio-alto riguardano chi è nato nel nostro paese. Allo stesso tempo, circa quattro su cinque dei nuovi posti a bassa paga riguardano invece persone di origini non italiane. La ricerca sottolinea che «in Italia, dove la maggior parte della crescita dell’occupazione è avvenuta in lavori a basso salario, a esserne responsabili sono soprattutto i non nativi».

Le difficoltà dell’Italia si vedono ancora con maggior chiarezza facendo un confronto con altre nazioni europee.

Regno Unito e Germania, in questo senso, risultano fra le più in forma: paesi dove si è verificato un solido aumento sia nel numero di posti totali che nella loro qualità.

«Le nazioni più popolose con aumenti significativi dell’occupazione», notano gli autori dello studio, «mostrano un chiaro percorso di miglioramento nella qualità del lavoro»: e in particolare proprio Regno Unito, Germania e Polonia. Altre nazioni su questa strada sono state Svezia e Portogallo, mentre in Francia la situazione appare meno chiara – con perdite nei lavori a paga medio-bassa e medio-alta. Resta fermo però che in tutti questi altri paesi il mercato del lavoro si è mosso in maniera migliore che in Italia.

Un elemento che i numeri di Eurofound non considerano è la crescita della popolazione italiana, che nello stesso periodo è aumentata di 1,3 milioni di persone ( http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=demo_gind&lang=en ) . Questo crea una piccola illusione ottica, in base alla quale i nuovi posti creati sembrerebbero più di quelli persi – ma non è così. Intanto l’analisi parte dal 2011, quando un gran numero di posti era già scomparso in seguito ai primi anni della crisi. Poi, più in generale, la fetta di persone occupate in Italia oggi resta ancora minore rispetto a quella pre crisi.

Proprio nel 2007 e 2008, prima che si facessero sentire gli effetti della Grande Recessione, il numero di italiani con un lavoro aveva raggiunto il massimo storico al 58,6 per cento ( http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXOCCU1 ). In nessun periodo precedente – né successivo, in effetti – era stato tanto elevato, e dalla fine degli anni ‘70 fino a tutti gli anni ‘90 mai aveva raggiunto neppure il 55 per cento. Tre punti di differenza possono non sembrare molti, ma a conti fatti si tratta di milioni di senza lavoro in meno.

Al momento dunque resta ancora un pezzo di strada da fare, anche solo per tornare agli stessi numeri di allora.

Per quanto riguarda il lavoro nazioni come Francia, Germania, Regno Unito e persino Spagna possono forse aver sentito il colpo della crisi – chi più, chi meno. Ma è proprio l’Italia a restare in una triplice – e non invidiabile – condizione: partire da una situazione peggiore degli altri, recuperare assai più lentamente e, come scopriamo ora, neppure tramite lavori pagati in maniera dignitosa.

Agli italiani, ci dice questo nuovo studio, per il momento restano quasi soltanto quelli poveri.

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/07/24/news/i-nuovi-posti-di-lavoro-hanno-stipendi-da-fame-1.306609?preview=true


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fastidioso
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poletti sei un GLANDE !


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esca
 esca
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E' con analisi piu' approfondite, con le dovute distinzioni, che si fanno i conti e si tirano somme reali.
Il lavoro: nascondendo sotto il tappeto la parola "precarieta'", di cui l'Italia soffre cronicamente, specie negli ultimi anni dove improbabili governi sono riusciti a dare il peggio del peggio, tutto e' possibile. Incluso sproloquiare davanti agli schermi su numeri ( o meglio decimali di essi ) di disoccupazione che cala durante gli ultimi trenta giorni.
Vero??


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Diplomat
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Solitamente le notizie sull'occupazione non vanno molto oltre il tasso di disoccupazione, la percentuale di lavoratori part-time, l'occupazione femminile e poco altro. Ho trovato questo studio molto interessante, anzi illuminante, con risultati che hanno del clamoroso. Ad esempio l'occupazione nei posti di lavoro a retribuzione più elevata, nell'unione europea nel complesso, non ha mai smesso di crescere: la crisi c'è stata, e dura anche, in special modo per i lavoratori coi salari "medi", ovvero quadri, e varie altre occupazioni intermedie, in ambito industriale e in particolare nel settore dell'edilizia. L'occupazione nei servizi invece è quella che si è contratta di meno, insomma il futuro è nei servizi.
Nei grafici di pagina 28 poi il confronto tra Italia e Regno Unito è veramente impietoso, soprattutto per i lavoratori extra comunitari che nel Regno Unito trovano lavoro soprattutto in occupazioni ad elevata remunerazione, mentre in Italia è l'esatto contrario: ovvero essi importano lavoratori con altra istruzione e competenze, mentre noi gente senza alcuna qualifica.
La seconda parte sulle disuguaglianze salariali l'ho trovata più ostica, ma tra i vari risultati, mi pare evidente che il processo di polarizzazione occupazionale abbia influito sulla distribuzione delle remunerazioni, visto che una semplice distinzione in cinque classi basate su capacità e produttività spiega gran parte della varianza dei salari.
Una cosa che non mi spiego invece è la tabella a pag. 71, dove per la Francia riporta una variazione negativa dell'occupazione (non trovo definizioni) dal 2008 al 2016 del 20,2% (!) e un tasso di occupazione con base la popolazione tra i 20 e 64 anni nel 2016 del 56,6%, valori che confrontati con i risultati di altre indagini statistiche mi sembrano completamente sballati. Qualcuno che ha letto il rapporto ritiene corretti questi valori? In cosa sto sbagliando?


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[Utente Cancellato]
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Diplomat,
sono indicators of shifting composition of employment. Quindi shifts (trasferimenti, cambiamenti) in employment composition e non employment rates.


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fastidioso
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"soprattutto per i lavoratori extra comunitari che nel Regno Unito trovano lavoro soprattutto in occupazioni ad elevata remunerazione, mentre in Italia è l'esatto contrario: ovvero essi importano lavoratori con altra istruzione e competenze,"

Verissimo !
Soprattutto in ambito automotive e aerospaziale !


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Diplomat
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Nat
grazie per la dritta: dopo breve ricerca ho capito, si tratta dell'analisi shift-share, non l'avevo mai sentita

fastidioso
non solo in ambito automotive e aerospaziale: il rapporto a pag. 29 indica che nel Regno Unito gli stranieri sono la maggioranza nei nuovi posti di lavoro come programmatori di computer, una delle occupazioni a maggiore crescita e a più alto reddito in UE


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