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Pretesto: perché "la vita"?


GioCo
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Avrei voluto scrivere "cos'è la vita", domanda che mi sorgeva nel sapere di uno studio universitario discretamente famoso già piuttosto datato che ha usato "faccine colorate" per costruire la dinamica di una biologia virtuale in un contesto virtuale di "esseri viventi" entro spazi elettronici di un computer.
Gli autori erano convinti che le faccine fossero vive, partendo dal principio che la vita è definibile dall'ambiente che la accoglie, quindi per noi la vita è indefinibile "solo" perché (come le faccine nella simulazione) non vediamo altro che il mondo che abbiamo attorno e reagiamo agli stimoli che provengono dallo stesso.

Vorrei però evitare di inciampare in derive di un terreno molto minato. Allo stesso tempo ho anche la presunzione di mantenere il più possibile un linguaggio semplice. Una parte di campo minato viaggia sull'identità che vogliamo per la vita, ad esempio "meccanicistica" e funzionale, come quella darwinista, "morfologica" come quella di Portmann, o indusriale, inquietante più dell'atomica di Oppenheimer come quella "sintetica" di Venter.

Un altra parte del campo minato (forse apparentemente più agevole perché gli esplosivi qui sono a "basso potenziale", servono a menomare non a uccidere) di natura più filosofica, si estende tra una concezione aristotelica, "il cosmo è inscritto in una sfera immutabile ed eterna" e una platonica "il cosmo nasce da una situazione di caos" (fonte: lcalighieri.racine.ra.it). Questo a volte ci fa dire che A. era più meccanicista e P. era più animista, ma in verità le sfumature di pensiero tra i due erano più sottili, forse troppo per le intenzioni di questo mio contributo. Ma si sa, le discussioni filosofiche sono per loro natura interminabili.

Un altro ancora e forse "più adatto" ai nostri tempi (cioè più "rassicurante", nel senso che ci da la sensazione più solida di aver raggiunto un risultato) è quello matematico, che risolvere il problema con lo studio del caos, con concetti propri dei frattali o degli ologrammi, che definiscono il principio secondo il quale non importa quanto piccolo sia il frammento della realtà preso in esame, esso contiene comunque tutte le informazioni "cosmiche" con cui è possibile risalire all'equazione generatrice che più essere anche molto semplice, addirittura di primo grado (lineare) forse di secondo (superficie). Avevo letto da qualche parte che si pensava che "l'equazione del tutto" dovesse esprimersi in due dimensioni (superficie) perché tutte le altre dimensioni era stato dimostrato (matematicamente) che potevano essere rappresentate su una superficie. Ma non avendo competenze in merito, vedo dura per me iniziare un qualunque argomento sostituendo pedanti discussioni filosofiche con equazioni.

Invece vorrei stare nel limite di considerazioni più terra terra, partendo dalla domanda: la vita si con-chiude nel comportamento? Cioè, un po' alla Blade Runner, la domanda si può tradurre così: c'è una qualche differenza, anche molto sottile, tra l'artificio umano (ad esempio il cyborg) e la vita così come la conosciamo da quando siamo nati? E' solo una fantasia romantica destinata a scomparire, oppure c'è una scintilla che esula dal comportamento osservabile e che "in autonomia" decide di manifestarsi entro le meccaniche osservabili? Come si distingue? Meglio ancora, se osservo un comportamento, ad esempio su un tavolo da biliardo il caos provocato da palline che trasmettono moto scontrandosi, quel comportamento "meccanicistico" è indeterminabile di suo o c'è qualcosa che "potrebbe" decidere in autonomia di intervenire quando "vuole". Ancora, il caos ha un origine "deterministica" o "intelligente" e "volontaria"?

Ovviamente non ho la risposta e non credo comunque che l'avremo tanto presto. A prescindere dagli straordinari risultati della moderna ricerca (come quelli di Venter) che ci apre inquietanti scenari futuri, è davvero arduo anche solo trovare un modo per dimostrare che un comportamento, sovrapponibile a un altro, sia di origine volontaria o meno, se non si premette che la vita si esprime prima entro il corpo, che dopo fuori dal corpo. Oggi posso tranquillamente immettere intelligenza senza che nel corpo ci sia scintilla vitale più di quanto ne possiamo trovare in un orologio. Un computer può rispondere in modo intelligente ai miei stimoli, cioè può decidere come rispondere, "adattandosi" ai miei comportamenti, tuttavia questo non lo dota di qualità proprie della vita come l'adattamento che è proprio della saggezza.
Cioè un computer rimane una macchina intelligente che fa quello per cui è programmata: se la programmo per dare la caccia a un uomo e ucciderlo, non è in grado di "pentirsi", ma nemmeno di "rendersi conto" che la richiesta è una cazzata o che il suo "programmatore" è un lavoratore che non ha idea del perché lui debba esistere o anche solo da chi e come verrà poi impiegato: il programmatore esegue una commessa "pagata" da un altro idiota (in una catena di relazioni lunghissima una più cretina dell'altra) e basta. Se poi dovesse per una guerra nucleare scomparire l'umanità è evidente che il drone non troverà mai il suo obbiettivo ma questo non vorrà dire che smetterà di tentare di ucciderlo e questo vale anche se fosse poi "solo" l'unico superstite del pianeta. Le sue scelte di drone, le sue valutazioni dipenderanno unicamente da quello che era previsto dal suo progetto.

Con la famosa IA andiamo già meglio dato che c'è un adattamento rispetto le mutate esigenze ambientali, ma il problema "morale" non è per questo meno serio. Se un IA decide in autonomia che gli umani devono essere sterminati (oggettivamente una soluzione abbastanza sensata per una macchina intelligente che voglia preservare la vita sul pianeta e con essa l'umanità che ne avanza) o anche solo massacrati in massa per essere mantenuti entro una quantità non sufficiente a costituire pericolo per noi stessi e la nostra sopravvivenza, avremmo semplicemente costruito la nostra nemesi più che una forma di vita. Faccio notare che le famose leggi della robotica di Asimov sarebbero comunque rispettate. Come il solito chi ha orecchie per intendere ... stia attento. Anche perché una IA non avrebbe proprio modo di distinguere chi sterminare da chi risparmiare. A meno che non riconosca uno per uno ogni uomo del pianeta (come si fa con il transponder degli aerei) e non abbia dati biometrici e comportamentali per decidere. Bello facebook vero?
Però però, se immetto in un IA un codice etico di qualche tipo, lo farò evolvere con la stessa o lo fisso in modo che non sia modificabile? Se si trova davanti alla discendenza di una dinastia che lo ha realizzato con intenti non proprio etici, tipo Robocop, il comportamento imprevedibile che ne deriva (più per la mancanza di etica dei creatori che per la creatura) ci porta a definire questa specie di novello Frankenstein "vita"?
Una domanda simile (un po' meno inquetante) potrei farmela con i famosi SIMPS ma con un aggiunta: io posso intervenire entro lo spazio degli accadimenti dei SIMPS come una forza occulta che plasma situazioni e comportamenti. I SIMPS andrebbero avanti anche senza di me, ma ciò che accade sarebbe differente. Non nel senso che accade qualcosa di differente da quello che potenzialmente accade, cioè accade sempre quello che è previsto dall'ambiente virtuale dei SIMPS: un SIMPS non può saltare fuori dallo schermo e "assaggiare" la mela che sto mangiando io mentre li osservo e nemmeno noi possiamo fare lo stesso, "saltando" dentro lo schermo, anche se la tecnologia virtuale potrà offrirci presto in futuro un esperienza simile. Il nostro mondo, in un certo qual modo, rimane inconciliabile. Nel senso che se prendessi completamente corpo (come in matrix) dentro il mondo virtuale dei SIMPS, non sarei comunque "uguale" a un SIMPS, cioè un essere virtuale simulato dall'IA di un computer: rappresento una volontà astratta dal contesto in cui si muove l'IA del SIMPS e che ne perturba l'ordine, "prevedibile" (entro formule caotiche) finché non mi sono manifestato. In altre parole porto qualcosa che è "esterno" rispetto la cornice che definisce tutti gli accadimenti nel mondo virtuale dei SIMPS. Qualcosa che non fa parte di quel mondo e che quindi riecheggia esperienze che "non esistono" entro quegli accadimenti "in potenza".

Allora posso domandarmi: perché immagino realtà che non fanno parte della mia esperienza quotidiana? Perché in me esistono e posso esprimere "idee" astratte, distinte da quelle "concrete"? Come faccio ad "accorgermi" che c'è qualcosa che osserva, distinto dall'osservato?
Eppoi, come faccio a sapere che tutto ciò sta anche altri umani e che invece non sono l'unico? Basta che qualcuno lo dica con enfasi per credergli, nel mondo della simulazione e del teatro?

In ultimo non riesco ad arrivare ad altro se non la constatazione, un po' deprimente, che posso "essere" unicamente per me stesso, mentre l'avere rimane esclusivo (il possesso è comunque illusorio, posso solo avere "fuori" ed "essere" dentro) e abbraccia tutto il resto dell'esperienza, un esperienza che rimane "illusoria", ma non per questo è meno significativa. A questo punto rimane la domanda nel titolo: perché la vita? Perchè vale la pena? Perché è bella? Perché ce ne è solo una? Perchè no? Perché è magica e meravigliosa anche se a volte ci sembra orribile? Perchè non abbiamo scelta e siamo nati così "fatalmente"? Perchè "pentiti, hai la colpa dalla nascita"? Insomma ...

... prima di capire cos'è la vita: perchè la vita? Dalla risposta dipende poi cos'è per noi questa vita. Non una astratta, mitica, filosofica o scientifica, ma quella che poi viviamo ogni giorno. Quella che può motivare la fatica, la deprivazione, la delusione, il disagio, il dolore e tutti gli altri aspetti spiacevoli così troppo abbondanti che fanno la differenza tra noi e la virtualità "attraente". Quella distinzione che può trasformare il concetto di potenza legato alla volontà (tipo deriva nietzschiana) proprio della virtualità o apparenza illusoria, alla resistenza "nonostante" il lato spiacevole dell'esperienza.

Se realizzeremo la vita sintetica dotata di capacità di vivere il dolore, senza simularlo, allora avremo creato la vita: peccato che poi sarebbe per noi irriconoscibile.


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cedric
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Io aggiungerei due concetti a quanto già espresso: la consapevolezza del sè e il riconoscimento del proprio ruolo nelle interazioni con i simili.

Un batterio, una medusa, una farfalla ma anche i rettili sono oggettivamente "vivi" ma dubito che siano consapevoli di sè medesimi. Il loro obiettivo è solo riprodursi e sono molto vicini ad automi autoreplicanti. A partire dai mammiferi si trova la consapevolezza di sè (anche se pochi superano il test dello specchio) ed anche dei propri limiti e possibilità: essi riflettono prima di agire, fossanche solo per attraversare un torrente.

l mammiferi sociali (proboscidati, felini, canidi, primati) riconoscono il concetto di ruolo nel gruppo, si autopraclamano leader, si sottomettono, si rispettano, si disprezzano e lo fanno in modo adattativo.

Aggiungendo tali proprietà si potrebbe (forse) distinguere una intelligenza artificiale da una reale, perchè se una creatura artificiale "sembra viva", quindi con emozioni, consapevolezza, socialità attiva e ovviamente "ciclo nascita, di crescita, riproduzione attiva e morte" allora potrebbe davvero "essere viva" .


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comedonchisciotte
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Maturana e Varela mi pare raccontassero cose differenti. "autopoiesi" era la parola chiave.
Dimenticavo, ho faticato a ricordare chi fosse Venter, poi ho ricordato, è un sacerdote di quella strana religione derivata dalla medicina, la genetica, che è incapace di distinguere ciò che è vivo da ciò che è non vivente.


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ignorans
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Perché la vita?
Perché qui tutto si trasforma, non c'è niente di statico. Tutto cambia, tutto si muove, niente è in quiete.
Quindi il cibo, ad esempio, diventa noi, diventa sangue, diventa energia, diventa merda. E il nostro errore più madornale, ahimè, è considerarsi qualcosa di statico.


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cedric
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Inventarsi il concetto di autopoiesi per distinguerlo da quello di riproduzione (sia sessuata che asessuata) è una mandrakkata geniale per garantirsi tantissime citazioni nelle pubblicazioni e conseguenti accessi a fondi di ricerca. La declaratoria che prevede il mantenimento della propria organizzazione è lacunosa se si cerca di applicarla per distinguere ciò che è vivo da ciò che non lo è.

Una entità artificiale costruita in laboratorio che oltre ad interagire in modo adattativo (valutazione e memoria) agli stimoli sia in grado di automantenersi (cerca ed usa autonomamente l'energia necessaria) ed autoripararsi (sostituisce le parti deteriorate costruendole al proprio interno) è da considerarsi "viva" anche se non è in grado di autoriprodursi generando nuove entità senza l'ausilio dei costruttori?

Una farfalla che passa dalla fase di di larva (il bruco) a quella di adulto (l'insetto alato) mantiene la propria organizzazione ? Oppure il mantenimento è da intendersi per l'insieme di tutte le fasi possibili ancorchè articolate nel tempo? La farfalla è certamente viva ma forse non autopoietica oppure è autopoietica ma solo in ciascuna fase diversa?

Che in natura tutto si trasformi (o almeno che tutto "sembri" trasformarsi) è una constatazione empirica, sarebbe assai più interessante individuare cosa in natura non si trasformi mai. Qualche invariante fisico è stato trovato, sarebbe bello trovarne qualcuno in ambito biologico.


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GioCo
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Posso solo ringraziarvi per i commenti e scusarmi per la qualità del mio post, persino più bassa del solito. Rileggendolo ora non sono riuscito a farmelo piacere.
Nel senso che mi sorgeva il timore risultasse confuso. Invece con sorpresa osservo che viene colta l'intenzione, raccolta nella preoccupazione che riguarda un idea della vita, forse inesprimibile a parole, ma che portiamo comunque dentro.
Io credo che l'inganno che ci porta a creare macchine viventi sempre più indistinte (e indistinguibili) dal vivente, porterà con sé l'illusione che la vita possa essere "creata" a piacere, senza rispondere alla domanda "perché" la vita?
Cioè (ad esempio) perché ossessivamente si cerca una cosa che c'è già ed è tanto difficile da imitare? Non ha più senso occupare risorse ed energie (anche mentali) in altro?

Se da una parte ammettiamo di non poter definire la vita a parole, dobbiamo però definirla in qualche modo, pur sapendo che è "illusorio". In altre parole non possiamo fare finta che non sia necessario, ne che non sia una definizione "artificiosa". Tanto più nell'era del digitate e della cibernetica, dove la vita sintetica si esprime già da tempo.
Io credo che la vita di sintesi arriverà a somigliare presto tanto alla vita in generale (dentro e fuori) da creare specifiche "isterie" di massa. Come la "difesa dei diritti" di questa "forma di vita", prevedibile in un mondo dove robot umanizzati svolgeranno compiti chiave nella socialità umana in campi come l'istruzione, la sanità e la difesa.

Epperò, a quel punto chi ricorderà che la definizione della vita ce la siamo data da noi e che stiamo valutando qualcosa che semplicemente ci da un apparenza estetica auspicabile, dato che ciò che sta "dentro" difficilmente riusciremo a chiarirci bene "perchè" è creato?


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vic
 vic
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Cos'e' la vita? Ma che bella domanda.

Spesso per capire un processo conviene studiarne i comportamenti al limite.
Il limite della vita direi che sta fra l'animato e l'inanimato.
Inoltre ci sono le interazioni che vanno valutate: l'animato che interagisce con l'inanimato e viceversa.

Una pietra non e' vita, verrebbe da dire.
Eppure un suo ciclo ce l'ha, lungo tempi piuttosto geologici che umani.
Chi ci garantisce che una pietra non sia un tassello di vita dell'entita' vivente Terra?

Ohibo', non fare confusione, la Terra ospita tante forme di vita, non allargarti troppo.
Ah si'? Anche l'essere umano ospita un'infinita' di forme vitali, ognuna presa per se'. Cellule che si riproducono, batteri in quantita' sterminata, a bizzeffe, a chili. Di cui siamo piuttosto poco consapevoli, normalmente. E' tutta vita.

La vita e' senziente, e' cosciente, evolve. Uhm, uhm, qui siamo agli stadi considerati superiori di vita. Che pero' a conti fatti si appoggiano inesorabilmente su forme di vita meno evolute, come dicono i saggi.

Allora e' l'evoluzione l'essenza della vita! Ah si'? Anche le stelle nascono, evolvono ed infine muoiono... per poi rinascere, se gli va bene. Alcuni affermano che dal punto di vista energetico potrebbe esistere un'intelligenza stellare, cioe' soli provvisti di coscienza ed intelligenza. Avranno ragione? Gli Inca adoravano il Dio sole. Pure gli Egizi adoravano il sole, fra i tanti loro dei.

Oh sole fonte di vita.
E' vita la fonte di vita? Ha coscienza la fonte di vita, ha un progetto la fonte di vita?

Cosi' sui due piedi direi di si', ma sto pensando ai miei genitori buon'anime.
Osservando qua e la', anche le rocce che pian piano sviluppano dei licheni, sono fonte di vita. Vien da dire che la vita si fa largo ovunque.
Ma cos'e', dicci cos'e'!

Non si sa.
Un virus e' vita?
No, e' la vita che e' un virus, perche' per sopravvivere necessita di altra vita. Uffa, stai uscendo dal seminato, torna ai limiti.

Va bene, torniamo all'inanimato. Prendiamo degli stupidi generatori casuali, mageri basati sul decadimento radioattivo.
Embe', cosa c'entrano con la vita?

Aspetta, ti racconto un'osservazione interessante.
Pare che questi generatori casuali, inanimati di per se', possano venir influenzati dalle emozioni umane di gruppo.

Eh? Cosa stai dicendo?
Sto dicendo che e' cosa ormai appurata con tutti i crismi dell'analisi statistica.
Successe quel giorno famoso dell'11 settembre 2001, successe quando mori' Diana.

Vuoi dire che i generaori casuali reagirono a quegli eventi?
Si'. L'ipotesi e' che reagirono influenzati dall'emozione collettiva umana.

A questo punto l'inanimato entra a far parte dell'animato.
La vita, diciamo tranquillamente la coscienza, invade il mondo delle cose influenzandone il comportamento.

E se la vita fosse nata cosi'?

😉 <- faccina che fa l'occhiolino


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