Visto che è stato proposto di continuare sul forum la discussione iniziata in home page sulle politiche monetarie in generale, e quelle di Mussolini in particolare, ho pensato che potrebbe interessarvi la lettura di un estratto dalle pagine finali de "Il tramonto dell'Occidente", di Oswald Spengler, scritte oltre un secolo fa ma che rimangono di grande attualità, e costituiscono un'esempio della profondità cui era capace di spingersi il pensiero degli Europei, prima che venisse castrato e "normalizzato" nella Restaurazione impostaci dal 1945, e completata a partire dal 1989.
Non condivido necessariamente il pensiero di Spengler in tutti i suoi aspetti, ma lo ritengo uno strumento di prim'ordine per comprendere l'essenza delle dinamiche storiche, e in particolare dell'epoca che stiamo vivendo, che il pensatore tedesco interpretava come il tramonto, o decadenza, della civiltà Faustiana euro-occidentale. Una civiltà ("Kultur", nel lessico di Spengler) è un'unità vivente, organica, la cui fase senile ("Zivilisation") vede il progressivo prevalere delle forze dissolutrici, proprio come accade in qualsiasi organismo vivente, fino al trionfo finale dell'inorganico. In questo senso il trionfo della finanza - che è quanto di più inorganico possa esserci- aveva per Spengler un significato anche simbolico. Nelle sue parole si prefigurano i mostruosi sviluppi cui stiamo assistendo nella nostra epoca; purtroppo, non condivido la sua convinzione che le forze della vita, incarnate da ciò che egli chiama "cesarismo", vinceranno infine il potere del danaro, che la politica prevarrà di nuovo sull'economia, perché non sono sicuro che ci rimanga ancora la sufficiente forza vitale. E del resto l'alternativa tra "fare il necessario, o non poter fare nulla", con la quale egli chiude la sua opera, è probabilmente venuta meno nel 1945, almeno per quanto riguarda l'umanità bianca.
Per Spengler, il denaro è una categoria del pensiero, ed ogni civiltà possiede un suo modo di pensare in termini di denaro. Così il denaro apollineo (ossia, greco-romano) è grandezza, mentre quello occidentale è funzione. Con il termine "civilizzazione" egli si riferisce alla decadenza di una civiltà. "Faustiana" è per lui la civiltà nata nell'Alto Medio Evo nell'Europa Occidentale e Centrale, sulle ceneri del Mondo Antico. È importante tener presente che il termine "essere desto" è simile alla "coscienza infelice" di Hegel, ed è contrapposto all'"essere" come istinto e psichismo originario. I corsivi sono quelli originali di Spengler, le evidenziazioni in grassetto sono mie. Ho omesso le note che accompagnano il testo originale.
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«Ciò che assume realtà propria nella forma di una vita in cui ognuno produce e consuma sono i beni. (...) Il contadino conduce la "sua" vacca al mercato, la donna conserva i "suoi" gioielli nello scrigno. Si "hanno dei beni" (...) I beni vengono valutati dalla vita, secondo un criterio sentito del momento. non esiste né il concetto del valore, né un bene che faccia da comune misura per tutti gli altri. Anche l'oro e le monete non sono altro che beni, preziosi per la loro rarità e per la loro capacità di conservarsi. Nel ritmo e nell'andamento di questa circolazione dei beni il mercante figura solo in funzione di mediatore. (...) Tale è la forma "eterna" dell'economia, la quale si conserva ancor oggi sotto la specie tutta preistorica del venditore girovago (...).
In pari tempo nell'anima delle città si desta un'altra specie di vita. Non appena il mercato dà luogo alla città, non si hanno più dei semplici centri per la raccolta di beni che poi saranno distribuiti nella campagna, ma si ha un secondo mondo chiuso entro la cinta urbana (...): l'autentico abitante delle città non è produttivo nel senso originario, tellurico, del termine. Egli non vive con essi ma li considera dall'esterno e solo in relazione col proprio sostentamento. Così i beni si trasformano in merce, lo scambio diviene smercio e al posto di un pensare in termini di beni subentra un pensare in termini di denaro.
Allora dalle realtà tangibili dell'economia viene astratto alcunché di puramente esteso, proprio come il pensiero matematico trae dal mondo circostante meccanicamente concepito le proprie entità: e cotesta astrazione, che è appunto il danaro, corrisponde assolutamente all'altra astrazione, che è il numero. Entrambi sono grandezze del tutto anorganiche. L'immagine dell'economia viene ora ricondotta esclusivamente alla quantità astraendo dalla qualità, che pur costituisce la caratteristica essenziale dei beni. (...) Come il numero in sé, questo "valore in sé" esatto è creato soltanto dall'abitante delle città, dall'uomo senza radici. (...) Non è più la vacca che misura l'oro, ma è il danaro che misura la vacca, e il risultato viene espresso da un numero astratto, dal prezzo.
(...)
Attraverso questa specie di pensiero il possesso legato alla vita si trasforma in capitale, in una ricchezza che per definizione è mobile e qualitativamente indeterminata: esso non consiste in beni, ma viene "investito in beni". Considerato in sé, esso è un quantum di valore-moneta puramente numerico. La città si fa dunque il luogo di un tale pensiero e diviene un mercato del danaro (...) Le parole guadagno, profitto, speculazione, indicano un vantaggio ottenuto mediante l'astuzia in margine a beni mobili, a merci, prima che giungano al consumatore; alludono a un saccheggio su base intellettuale, per cui non potrebbero applicarsi all'elemento contadino antico. Bisogna saper afferrare esattamente lo spirito e la concezione economica dell'autentico abitante delle città. Egli non lavora per il bisogno, bensì per la vendita e "per denaro". La concezione affaristica va a poco a poco a compenetrare ogni specie di attività. (...)
Chi sa padroneggiare questa specie di pensiero diventa il signore del danaro. (...) Cleomene, amministratore di Alessandro il Grande in Egitto, seppe accaparrare tutte le riserve di grano del paese per mezzo di acquisti a credito, cosa che doveva provocare una carestia in Grecia ma anche assicurargli enormi guadagni. Chi pensa in modo diverso in tema di economia, per ciò stesso si fa un semplice oggetto delle speculazioni finanziarie delle grandi città. (...) Il termine civilizzazione designa dunque la fase di una civiltà nella quale la tradizione e la personalità hanno perduto il loro valore immediato e ogni idea deve essere tradotta anzitutto in termini di danaro qualora la si voglia vedere realizzata. Sul principio si avevano dei beni perché si era potenti. Ora si è potenti perché si ha danaro. Democrazia significa identità perfetta tra danaro e potere politico.»
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«Anche l'industria è legata alla terra - come l'elemento contadino. Essa ha le sue sedi, i suoi impianti, le sue sorgenti di energia vincolate al suolo. Solo l'alta finanza è completamente libera, completamente inafferrabile. A partire dal 1789 le banche e quindi le Borse si sono sviluppate come una potenza autonoma grazie al bisogno di credito determinato dall'enorme incremento dell'industria e, come il danaro in tutte le civilizzazioni, questa potenza ora vuol essere l'unica potenza. L'antichissima lotta fra economia di produzione ed economia di conquista prende ora le proporzioni di una lotta gigantesca e silenziosa di spiriti svolgentesi sul suolo delle città cosmopolite. (...)
La dittatura del denaro si consolida e si avvicina ad un àpice naturale - ciò sta accadendo oggi nella civilizzazione faustiana come già è accaduto in ogni altra civilizzazione. Ed ora interviene qualcosa che può essere compreso solo da chi ha penetrato il significato essenziale del danaro faustiano. Se il danaro faustiano fosse qualcosa di tangibile, di concreto, la sua esistenza sarebbe eterna; ma poiché esso è una forma del pensiero, esso scomparirà non appena il mondo dell'economia sarà stato pensato a fondo: scomparirà per l'esaurirsi della materia che gli fa da substrato. Quel pensiero è già penetrato nella vita della campagna mobilitando il suolo; esso ha trasformato in senso affaristico ogni sorta di mestiere; oggi esso penetra vittoriosamente nell'industria per mettere le mani sullo stesso lavoro produttivo dell'imprenditore, dell'ingegnere e dell'operaio. La macchina col suo seguito umano, la macchina, questa vera sovrana del secolo, è in procinto di soggiacere a una più forte potenza. Ma questa sarà l'ultima delle vittorie che il danaro può riportare; dopo, comincerà l'ultima lotta, la lotta con la quale la civilizzazione conseguirà la sua forma conclusiva: la lotta fra danaro e sangue.
L'avvento del cesarismo spezzerà la dittatura del danaro e della sua arma politica: la democrazia. Dopo un lungo trionfo dell'economia cosmopolita e dei suoi interessi sulla forza politica creatrice, l'aspetto politico della vita dimostrerà di essere, malgrado tutto, il più forte. La spada trionferà sul danaro, la volontà da signore piegherà di nuovo la volontà da predatore. Se designamo come capitalismo le potenze del danaro, e se per socialismo s'intende invece la volontà di dar vita ad un forte ordinamento politico-economico al di là di ogni interesse di classe, ad un sistema compenetrato da una preoccupazione aristocratica e da un sentimento di dovere che mantengano il tutto in una salda forma in vista della lotta decisiva della storia - allora lo scontro tra capitalismo e socialismo potrà significarci anche quello fra danaro e diritto. Le potenze private dell'economia vogliono avere mani libere per la conquista delle grandi fortune. Non intendono che nessuna legge sbarri loro la via. Vogliono leggi che vadano nel loro interesse e per questo si servono dello strumento che esse stesse si sono create, della democrazia e dei partiti pagati. Per far fronte a un tale assalto il diritto ha bisogno di una tradizione aristocratica, dell'ambizione di forti schiatte capaci di trovare la loro soddisfazione non nell'accumulazione delle ricchezze bensì nei compiti propri ad una autentica razza di capi al di là di ogni vantaggio procurato dal danaro.
Una potenza può essere rovesciata solo da un'altra potenza, non da un principio; ma al di fuori della potenza del danaro non ve ne è un'altra, oltre a quella ora detta. Il denaro potrà essere spodestato e dominato soltanto dal sangue. La vita è la prima e l'ultima delle correnti cosmiche in forma microcosmica. Essa costituisce la realtà per eccellenza nel mondo considerato come storia. Di fronte all'irresisitibile ritmo agente nella successione delle generazioni alla fine scompare tutto ciò che l'essere desto ha costruito nei suoi mondi dello spirito. Nella storia l'essenziale è sempre e soltanto la vita, la razza, il trionfo della volontà di potenza, non il trionfo delle verità, delle invenzioni o del danaro. La storia mondiale è il tribunale del mondo: ed essa ha sempre riconosciuto il diritto della vita più forte, più piena, più sicura di sé: il suo diritto all'esistenza, non curandosi se ciò venga riconosciuto giusto o ingiusto dall'essere desto. La storia ha sempre sacrificato la verità e la giustizia alla potenza, alla razza, condannando a morte gli uomini e i popoli per i quali la verità è stata più importante dell'azione e la giustizia più essenziale della potenza.
Così lo spettacolo offerto da una civiltà superiore, da questo meraviglioso mondo di divinità, di arti, di idee, di battaglie, di città, si chiude di nuovo con i fatti elementari del sangue eterno, che fa tutt'uno con l'onda cosmica in perenne circolazione. (...) Ma per noi, posti dal destino in questa civiltà e in questo punto del suo divenire in cui il danaro celebra i suoi ultimi trionfi e in cui il suo erede, il cesarismo, ormai avanza silenziosamente e irresistibilmente, è strettamente definita la direzione di quel che possiamo volere e che dobbiamo volere, a che valga la pena di vivere. A noi non è data la libertà di realizzare una cosa anziché l'altra. Noi ci troviamo invece di fronte all'alternativa di fare il necessario o di non poter fare nulla. Un compito posto dalla necessità storica sarà in ogni caso realizzato: o col concorso dei singoli o ad onta di essi.
Ducunt fata volentem, nolentem trahunt.»
Fonte: Oswald Spengler, "Il tramonto dell'Occidente". pp. 1362-69; 1395-98. Longanesi, Milano, 1981.
''..La storia ha sempre sacrificato la verità e la giustizia alla potenza, alla razza, condannando a morte gli uomini e i popoli per i quali la verità è stata più importante dell'azione e la giustizia più essenziale della potenza..''.
Forse non è sempre così se oggi, ma anche ieri, il 'potente' amava ed ama circonfondere la sua ( velenosa ) aura con la presunzione di essere nel 'giusto', categorizzato nello stigma verso il perdente perchè 'cattivo', 'ingiusto', 'odioso': un regurgito tardivo e malposto di Nietzsche .
La cattedra da cui apparisce l'affermazione è la cattedra della religione 'biblica' 'evangelica' ( 'coranica' assai meno qui da noi ) affermatrice di 'valori' considerati 'eterni' perchè cerziorati dall' 'annuit' divino. 'Dio' è 'dio' degli eserciti, della vittoria, e suo 'figlio', 'in hoc signo', pure. I perdenti abbiano a capirlo, chinando la testa e basta.
Direi che dal '45 noi si vive in questo momento pseudo-morale del 'vincitore', presente anche nella lotta al 'comunismo' perchè 'negativo' dei diritti umani ( sopratutto critico della 'libera' affermazione del capitale come definitiva espressione 'morale' del 'progresso' economico e dunque umano ), e pertanto 'condannato' dall' 'etica' a scomparire.
Questo aspetto è stato la leva dell'ideologia del cattolicesimo politico qui da noi, insieme alla oscena propaganda a favore degli oppositori al sistema sovietico, caduti poi rapidamente nel silenzio mediatico: volevano come Sogenitsin usare le stesse categorie critiche contro l' Occidente. Ingratitudine che hanno pagato poi nell' oblio oppure nel disprezzo, una volta saputi i loro referenti 'a comando' ( tipo Sharansky ).
Gaza ha però posto fine, con il suo orrendo massacro di innocenti, a questa associazione 'potenza' del 'vincitore' perchè è 'buono', 'santo' e tale per divina scelta: la storia ci appare come mostruosa ingannatrice e l' etica una tartufesca asserzione moralizzatrice altrui, un 'peso' spirituale, ordito cabalisticamente, oscenamente ingiusto sulle spoglie di chi si è opposto.
Se dunque il tempo storico del 'danaro' potrà essere rovesciato, non lo sarà dal 'sangue', lo sarà solo da una 'contro-etica' votata all'eliminazione di queste religioni. Che, a ben vedere, avverrà in ogni caso: la direzione storica non è precostituita a vantaggio di alcuni.
Importante e interessante l'intuizione spengleriana sulla trasformazione di 'beni' e 'merci'. Quello che si è verificato in occidente da molti decenni a questa parte è stato proprio la mercificazione dei beni. Il bene è diventato ciò che si compra e il lavoro in senso lato è diventato il modo di produzione delle merci. Ovviamente un processo del genere va a favore di colui che 'lavora' sul danaro e forse è giusto sospettare che siano stati proprio coloro che operano sul denaro a produrre la mercificazione dell'intera società. Si spiega così la posizione di prevalenza e di influenza della quale godono. Quanto al denaro, il fatto che l'economia cresca sia con il denaro a cambio fisso con un bene reale come l'oro sia come 'fiat' cioè basato solo sulla fiducia dimostra l'astrattezza di questa categoria economica insieme alla sua capacità di essere poi manipolata a piacere. Ancora più interessante è l'intuizione che "Una potenza può essere rovesciata solo da un'altra potenza, non da un principio". Verissimo anche se sulla composizione della potenza rovesciante uno potrebbe discutere : deve per forza essere il 'sangue'? Le dinamiche sociali sono diventate molto complesse e il mondo è cambiato (in peggio) da quando scriveva Spengler.
Verissimo anche se sulla composizione della potenza rovesciante uno potrebbe discutere : deve per forza essere il 'sangue'? Le dinamiche sociali sono diventate molto complesse e il mondo è cambiato (in peggio) da quando scriveva Spengler.
Senza dubbio.
Spengler usava termini come "sangue" e "razza" per riferirsi agli elementi atavici, inconsci, della psiche dei popoli, che nel tempo vengono gradualmente soggiogati dallo "spirito", come lui chiama la sfera intellettuale che si dedica a razionalizzare il mondo in vista della potenza, dell'affermazione di sé. In questo senso, potremmo dire che Omero è "sangue" mentre Aristotele è spirito. Significativamente, il sangue e la razza sono "sentimenti dell'anima" che hanno come scenario la campagna (e ancora di più la foresta, o il deserto nel caso dei semiti...), mentre lo "spirito" dimora nelle città. E Spengler fa un'ulteriore distinzione, assai pertinente, fra le "città culturali" come Firenze, Norimberga o Siviglia, che sorgono dalla stessa forza vitale della razza, dalle metropoli come New York, che rappresentano il trionfo dell'inorganico, della pietrificazione della vita e quindi, in definitiva, della morte.
Di conseguenza, condivido lo scetticismo di Pietro: dubito che nel mondo attuale esista ancora una "potenza" in grado di abbattere il denaro, e i diabolici alchimisti che ne hanno fatto la loro arma, perché l'opera di avvelenamento dell'umanità è ormai troppo avanzata. Penso che il significato profondo, simbolico, dell'apparizione dei fascismi nel XX secolo sia stato quello di una rivolta istintiva contro la decadenza; ma fu una rivolta tardiva e contraddittoria, che aveva in sé parte dei mali che voleva combattere (in primis l'illusoria fascinazione per le masse indottrinate), e in ogni caso è stata schiacciata brutalmente, e da allora la marea avversa non ha più trovato ostacoli. Non penso che i popoli bianchi possiedano ancora la forza vitale necessaria per una rigenerazione, anzi a questo punto temo che sia l'umanità intera a rischiare di perdersi senza rimedio.
Complimenti, uno dei migliori libri di Guenon.
Da un angolo diverso e per un approccio esaustivo dell'argomento consiglio:
Arturo Reghini, Imperialismo Pagano e Tradizione Italica