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Il Respiro del Drago


GioCo
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Eccoci qui, giunti a un ennesimo appuntamento con queste mie minuscole uscite che (confesso non senza una punta di vergogna) forse servono più a me che al pubblico che vorrà leggerle.

Questa volta ho avvertito l'esigenza di procedere oltre rispetto ai miei soliti cavalli di battaglia. Diciamo che i segnali che mi arrivano "dal mondo" mi chiedono questo ed io al solito eseguo, come un soldatino di piombo, con la sola preoccupazione di interpretare e poi eseguire al meglio che mi riesce, senza certezze, perché non ci sono garanzie garantite. Per nessuno.

Allora in questo "mare di Dirac", dobbiamo pescare delle risposte e le risposte comuni troveremo che sono a dir poco confuse: ci vuole pazienza per tirare su i "pesciolini d'oro". Quindi per riuscire a orientarci dobbiamo prima capire alcuni concetti, cioè principi che non riguardano tanto l'evento fisico, ciò che accade, ma la prospettiva con cui osservo. Abbiate pazienza, come il solito anche se all'inizio sembra che tutto quello che scrivo sia molto vago, poi a me piace ricondurre alla pratica e quindi alla banalità ogni ragionamento. Quindi faremo degli esercizi e per mezzo del solito @GioCo.

Iniziamo da lontano, con la matematica. In quanti siete adesso nella abitazione in cui vi trovate? Uno, tre, otto? Non ha importanza, avete contato gli animali? Le piante? Le sedie? No?
Perché? Io non vi ho scritto cosa contare, ho scritto solo "quanti siete". La domanda riflette ciò che voi riflettete. Se (per assurdo) pensate di essere vasi di porcellana, comincerete a contare i vasi della vostra abitazione. Questo ovviamente non credo lo abbiate fatto, però magari avete contato gli animali, e questo vi racconta qualcosa di come voi vedete voi stessi, cioè non sto dicendo che siete delle bestie ma che avete messo al vostro stesso livello il regno animale che però non è il regno selvatico ma la porzione animale domesticata del regno selvatico. Non credo infatti che nella parola "animali" abbiate incluso nella conta i ragni che sicuramente da qualche parte sono nella vostra abitazione dove avranno ricavato la loro tana, eppure anche quelli sono "animali" e come tali li possiamo mettere sullo stesso piano cognitivo di tutti gli altri.

Quando iniziamo a fare questi ragionamenti, spesso si cade in un processo, diciamo per semplificare un programma cognitivo precondizionato (probabilmente di origine educativa, non innata) che è quello della "tuttologia minestronica". In poche parole penso "@GioCo mi vuole fare credere che è tutto uguale". Sostituite ovviamente @GioCo con qualsiasi evento o individuo e tenete l'attenzione sul processo: siccome scrivo che potevate contare anche i ragni tra gli animali, allora dico che i ragni sono la stessa cosa del cane (o gatto) di compagnia. Temo però che il ragno non avrete piacere di coccolarvelo nel letto, se avete l'abitudine di farlo con il vostro animale da compagnia, ma anche fosse è probabile che nemmeno al ragno farebbe piacere stare nel vostro letto.

Bene, attraverso queste poche righe iniziamo quindi ad esercitare la prospettiva che non ha nulla a che fare con le differenze. Voglio dire che se la categoria "animali" include il ragno, questo non vuol dire che non si debba fare differenza tra questo animale e altri animali, significa solo che quella differenza ha una sua ragione prospettica, cioè nell'angolo e nel punto di vista o punto geometrico (cioè il luogo da cui ha origine l'osservazione) in cui pongo la mia attenzione. Quindi è una ragione relativa e non assoluta. In questo senso, possiamo o non possiamo contare anche i ragni quando chiedo: in quanti siete adesso nella abitazione in cui vi trovate?

Dobbiamo però fare un po' meglio se vogliamo arrivare a capire il titolo di questo intervento, altrimenti non potrò mantenere la promessa di andare un pochino oltre i miei soliti cavalli di battaglia.

Facciamo quindi un altro @GioCo. Torniamo indietro con la mente a un epoca lontana, ma non la preistoria, non l'età in cui ha inizio la vita, non quella della formazione del sistema planetario o galattico, ma nemmeno al momento della nascita di questo universo, ancora oltre, più lontano, ancora più lontano. Diciamo che ci troviamo nel mare di Dirac e ancora non c'è spazio per le particelle di energia positiva. Il momento è quindi tale per cui tutti gli stati sono occupati da tutte le particelle: dov'è la differenza? Noi non possiamo parlare di "energia positiva", in effetti non possiamo parlare proprio, ma facciamo finta che si possa, altrimenti non potremmo andare avanti in questo mio risibile contributo. 😉

Sto un po' scherzando per dire che qualsiasi differenza non avrebbe una prospettiva possibile in cui manifestarsi, il che non significa che non esiste in quella condizione una differenza (per esempio tra le particelle) ma che non è osservabile per l'effetto dell'omogeneità: qualsiasi spazio delimitato osservassi, mi apparirebbe perfettamente idendico a se stesso e al resto. L'unico modo di osservare qualcosa è per tramite del confronto e questo è un principio che è difficile mettere in discussione, ma dalla prospettiva del mare di Dirac è anche difficile da comprendere. Confrontare dentro una situazione come quella, non ha niente a che vedere con la matematica. Cioè non è una condizione "contabile", esce dai costrutti minimi del senso della logica, perchè la logica ci deve ancora entrare dentro quei costrutti. Proviamo a immaginare quindi che per colmare la lacuna che ci separa da una condizione del genere a un certo punto si crea una "singolarità", cioè un punto del mare che non è occupato da nulla. Non è necessario che sia niente di più che un fenomeno passeggero, anzi, diciamo che è un fenomeno passeggero, ma lo abbiamo osservato e da quel momento abbiamo capito il valore del confronto, tra ciò che prima appariva sempre uguale a se stesso e ciò che adesso appare con una differenza, seppure minima, piccolissima, passeggera. Niente a che vedere con il big bang o eventi cosmici altamente catastrofici quindi, ma un evento infinitamente piccolo.

Ecco, stiamo un attimo su questo particolare: un evento infinitamente piccolo, talmente modesto che poteva anche esserci stato sempre, ma noi lo abbiamo notato solo "adesso".

Bene, a questo punto avviene qualcosa. Cioè si separa il tutto dall'uno. Che non è niente di mistico ma una conseguenza del tutto logica (in quella prospettiva) e non solo. Mi rendo conto che prima non stavo osservando, stavo solo esistendo: esistere e osservare sono però sinonimi da quel momento, perché prima esisteva solo "esistenza" e per me non c'era modo di rendermene conto, "io" ero IL mare di Dirac ma non ne avevo coscienza: ero felice così. Inoltre, non c'era "positivo" e "negativo", ma nell'istante in cui osservo quell'infinitamente piccolo vuoto, tutta la mia attenzione si concentra lì ed è inevitabile che sia così, dato che è quel piccolo fenomeno che "fa esistere l'osservazione" e quindi mi mette nella prospettiva di separare "io" dal mare che mi circonda e osservarlo. Basta che mi rispecchio dentro il vuoto e allora, mi troverò nel punto a osservare il mare e nel mare a osservare il punto contemporaneamente. Una situazione abbastanza disagevole o se preferite "spaesante", ne converrete anche voi.

Sia come sia, dalla prospettiva del mare il punto appare infinitamente piccolo, dalla prospettiva del punto il mare appare infinitamente grande. Non solo, dalla prospettiva del mare tutto è positivo e il vuoto è il solo "negativo" (nel senso che nega ciò che lo circonda) anche se infinitamente minuscolo quanto passeggero, mentre nella prospettiva del punto il positivo è infintamente piccolo, mentre ciò che è grandioso e inifinito, cioè che è eterno "nega" la sua propria esistenza "vuota" e per ciò "fragile", da difendere (poi riprenderemo questo ultimo termine).

Ma torniamo un attimo su un punto importante che abbiamo saltato: l'entropia o caos. Diciamo che l'entropia è alla base del fenomeno del punto vuoto. Cioè il vuoto è un prodotto dell'entropia a certe condizioni. Ce ne frega? Non del tutto. Voglio dire, che se consideriamo semplicemente che il fenomeno "è accaduto" e stiamo in questa possibilità, senza tirare in ballo l'entropia, non ci cambia niente. Lo stesso se prendiamo "l'atto di volontà divino". In questo senso, scienza e casualità, fede e volontà (divina) si incontrano senza conflitto. Possiamo decidere che è frutto del caso senza eliminare la possibilità che sia un prodotto della volontà divina e non "perché non lo sappiamo", ma perchè in quelle condizioni "ogni possibilità coesiste", quindi coesistono gli opposti senza conflitto e non discendono da quelle diverse prospettive, conseguenze differenti o conflittuali. Devo pormele dopo perché inizino ad essere conflituali.

Dopo che cosa? Dopo che ho iniziato a concentrare tutta la mia attenzione nel punto (vuoto) e da lì guardare l'infinito (dall'infinitesimo).

Ecco, di nuovo torno però a ricordare che i meccanismi che ci vivono sono tremendi e tra questi il guardiano supremo della tuttologia minestronica. Per esempio nella orrenda frase "allora @GioCo vuoi scrivere che noi siamo Dio?". Non c'è nulla che sia più distante da quello che sto scrivento: se sto scrivendo che siamo infinitesimi, parziali e dentro un punto vuoto, mi dite dov'è il Dio onniscente, onnipotente e onnipresente che le tradizioni ci raccontano? Fuori? Certo, tanto distante, ma nel frattempo di sicuro non è in quel punto e siccome tutta la prospettiva insieme all'osservazione è concentrata lì (nel vuoto), se penso che io sono Dio, questo prende significato automatico da quel momento di "vuoto" ed è un meccanismo implacabile, non ci si può fare niente.

A quel meccanismo se ne aggiunge un altro ancora più tremendo. Per capire questo secondo meccanismo, che ci ricollega finalmente al titolo, torniamo al @GioCo di prima. Diciamo che siccome rimango leggermente scioccato dalla prospettiva di rispecchiamento tra infinito e infinitesimo (non è che entro in panico, rimango in quella zona torbida del "non so cosa mi succede" tipico dello stato confusionale e precedente a qualsiasi stato emotivo o di qualsiasi evento emotigeno, quindi sono ancora privo di emotus, sospeso nell'istante in cui sto ancora concentrato e non trasporto fuori nulla) inizio a trasmutare cioè a creare una pelle, una barriera se preferite, una qualche reazione che separa un "fuori" da un "dentro" e che per effetto straordinario, rispecchia il "fuori" internamente e per effetto negativo. Cioè per effetto di quella "pelle", mi rimane da osservare l'infinitesimo (interiore o negante) e perdo l'osservabile infinito (o identitario, nel senso di "identico") che diventa una successione frattale (infinita) di spazi finiti o definiti (=entità) e non posso più concetrarmi sull'infinito eterno "fuori", ma solo su spazi finiti o regioni definite in cui la fisica inizia a coesistere con delle regole per l'interazione finita di un ambiente definito, ad esempio la famosa formula E = mc2 o la velocità inarrivabile ma comunque finita della luce comune.

In questa prospettiva cominciano i guai seri, perchè ciò che è considerabile positivo è strutturalmente negato, mentre ciò che è considerabile negativo è strutturalmene imposto. Come poi questo si declina conseguentemente in esperienza comune, cioè prende forma, è indifferente. Però mettiamo che a un certo punto si renda necessaria una struttura difensiva e insieme inizi un conflitto tra le parti in @GioCo. Chiaramente non si sta parlando di un conflitto isolato (tipo neri contro bianchi) ma strutturale e riflesso in ogni aspetto dell'accadere: una dualità diffusa come la nebbia. Non però una dualità generica ma una dualità tensoria, cioè dove ogni aspetto è diviso in gruppi di vettori che creano una base, cioè spazi, ad esempio lo spazio tridimensionale della materia dove viviamo, rappresentato delle assi XYZ, in cui può manifestarsi il "dentro" e il "fuori" dei corpi fisici.

Ci manca ancora un pezzettino che è la vita, poi prometto che tutto inizierà ad avere un senso più pulito e "banale". Nella struttura vitale complessa (che oggi chiamiamo impropriamente "biosfera") i confini dei corpi si rappresentano per una relazione caratteristica e il suo opposto: la predazione o conflitto e la collaborazione o cooperazione. Va detto che tutti i confronti sono per natura e origine sbilanciati: la destra varrà sempre meno della sinistra (nei fenomeni cosmici), l'alto varrà sempre più del basso (nelle misure, il basso finisce al centro del pianeta, non va avanti), l'avanti varrà sempre più dell'indietro (il tempo normalmente scorre sempre in una direzione). Questo perché lo spazio finito (esterno) si confronta con quello infinitesimo (interno) ma lo spazio infinito appare esterno e quello interno per riflesso ci appare molto molto finito. Allo stesso modo i tensori che definiscono la vita non sono in equilibrio, ma la cooperazione prevale nettamente sulla predazione a meno che si creino due spazi distinti e finiti, uno per la dimensione selvatica e uno per quella domestica. Allora, il primo potrà riflettersi nel secondo e nel secondo possiamo rovesciare i termini: il conflitto diventa più importante della cooperazione e questa cosa ce lo dicevano già i Greci (che nella domus area c'era la prioritaria difesa della familias che rendeva prevalente la componente del conflitto cioè della difesa).

Da questa prospettiva (se mi avete seguito) non ha molto senso parlare di "vita digitale" o peggio ancora "coscienza elettronica". Quel mondo non nasce per integrarsi a un modello organico del tipo "vitale", ma per creare un suo spazio tensorio alternativo dove vigano leggi che le sono proprie, separate da quelle della "biosfera" e quindi qualsiasi cosa vi si manifesti non può comunque essere "vita" anche se facilmente potrà entrare in contrasto con la "vita", cioè diventare un antitesi della "vita" perché nasce per concorrere in particolare con lo spazio domestico, non per collaborare con questo ne tanto meno per integrarsi allo spazio selvatico.

Ora parliamo quindi di difesa. La difesa è uno spazio tensorio che si oppone alla offesa, ma si capisce subito che non è prevalente la difesa, se no non la ricercheremo in continuazione. In quello spazio tensorio è prevalente l'offesa. In altre parole, per esserci un offesa ci deve essere meno difesa possibile e siccome non possiamo pensare nessuna difesa prima dell'offesa, dobbiamo prima subire l'offesa e poi preparare la difesa, che irrimediabilmente si troverà superata da un altra diversa offesa. Questa è "esperienza" o "significazione". Lo dico in un altro modo più concreto: se faccio una marachella mi becco un ceffone dalla mamma, ma prima di fare la prima marachella io non sapevo che la mamma mi avrebbe dato il ceffone ne avevo idea che stessi combinando una "marachella" era semplicemente quello che mi piaceva fare. Poi lo imparo che cos'è una marachella, una "marachella" è "non fare quello che mi piace", ma intanto il ceffone me lo sono preso e allora organizzo una difesa per rifare la "marachella" e non prendere il ceffone: in genere funziona la prima volta ma presto perde di efficacia e allora devo trovare una difesa migliore. Quando divento abbastanza grandicello da non dipendere più del tutto dalla mamma le mie barriere difensive sono ormai "pronte" a difendermi da "quasi" tutte le offese, o almeno una discreta maggioranza e allora mi sento sicuro finchè non verrò di nuovo offeso da altre situazioni, per esempio da un amico. Poi verrà l'epoca della pubertà, poi della età in cui devo contare al massimo grado sulle mie autonomie e a quel punto le mie difese diverranno la sola cosa che mi permetterà di avere una vita dignitosa, ma allo stesso tempo anche il principale bersaglio del resto del mondo "civile".

Proiettiamo questo processo nell'idea di barriera e massimizziamo. Una barriera discreta è quella che assorbe il colpo e va in pezzi. Mi evita il peggio ma io la perdo. Diciamo che questa è la barriera tipicamente infantile. Una barriera più efficiace riflette il colpo. Ma questo non va sempre bene, in special modo se anche la barriera del mio avversario riflette, perchè il colpo entra in risonanza e la prima barriera che cede (in genere la più fragile) regala tutto il piacevole effetto distruttivo "montato a dovere" in faccia al malcapitato. Questo è un tipico livello di confronto adolescenziale. Un confronto più adulto è quello tra barriere dispersive, cioè che non riflettono il colpo all'origine ma lo deflettono, cioè lo deviano dove non può fare danno. Un tipico caso è la madre che devia l'attenzione del bambino che piange per un capriccio: non cede al capriccio e non riflette sul bambino altrettanto capriccio. Ok, lo so che non è una cosa che vediamo spesso, più spesso vediamo genitori che si comportano peggio dei figli, ma questa è una conseguenza dell'educazione contemporanea dettata dalla nostra società che non inficia il principio di una relazione adulta della barriera difensiva "migliore". Ce ne è una migliore ancora? Si, è la barriera che recepisce il colpo ma non ne disperte le energie, le usa invece per rinforzarsi: quindi ogni offesa diventa atomaticamente una difesa. Ma qui entriamo nel regno dell'ultrararo, proprio di quello di figure leggendarie. Possiamo comprenderlo in parte ma molto difficilmente ne faremo esperienza.

Eppure proprio qui si gioca il punto essenziale del "Respiro del Drago", la sfera (cognitiva) in cui ci troviamo (in trappola). Il Drago tra le altre cose è quella figura mitica che ha una pelle a squame impenetrabile e il suo alito è di fuoco, cioè brucia ogni cosa tranne se stesso e ovviamente i draghi come lui. Ora, cosa fa il suo "alito" se non creare una barriera tra i mondi altrettanto impenetrabile? Il Regno del Drago è per ciò quello interno alla barriera impenetrabile e non può che essere ogni volta un regno dove il Drago consuma ciò che ospita. Com'è fatta questa "barriera impenetrabile"? Della capacità di convertire le offese in difesa. Tutte le offese?

No, quelle che la barriera contempla. o:)


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comedonchisciotte
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Pensieri sciolti.
Leggendo la prima parte mi tornava in mente Nietzsche: "Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te." (Al di là del bene e del male, aforisma 146)
"la famosa formula E = mc2" Curioso il fatto che nella famosa formula non ci sono né lo spazio, né il tempo, né tanto meno tensori.


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GioCo
Noble Member
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comedonchisciotte;237192 wrote: Pensieri sciolti.
Leggendo la prima parte mi tornava in mente Nietzsche: "Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te." (Al di là del bene e del male, aforisma 146)
"la famosa formula E = mc2" Curioso il fatto che nella famosa formula non ci sono né lo spazio, né il tempo, né tanto meno tensori.

Riprendo da wikicopipiedi:
L'equazione relativistica che lega l'energia, la massa e il momento è:
E² = p² c² + m² c⁴
Nel caso speciale di particelle a riposo (cioè p = 0) l'equazione si riduce a
E² = m² c⁴
che è anche usualmente riportata come
E = m c²
Ma questa costituisce una semplificazione poiché è possibile anche per l'energia la soluzione a energia negativa, cosicché la corretta equazione che lega l'energia e la massa risultante dell'equazione di Dirac è ...
etc. etc. etc.
Per quanto riguarda i tensori vai alla pagina wiki relativa del link.
La spiega dell'immagine che ho messo qui, dovrebbe suggeriti cosa c'entrano nello spazio 3D e quindi con p. Comunque le prime due righe sono abbastanza esplicite.


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