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La Tomba dei Sachs


GioCo
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Oggi alla Feltrinelli sbirciavo l'ultima fatica prima di morire di Oliver Sachs "Un fiume di coscienza", un libro che prima o poi comprerò, non solo perché secondo me ne vale la pena, ma perché è scritto poco prima che l'autore ci lasciasse nel 2015 e quindi è per me un epigrafe monumentale della miseria di questo accidente di occidente.

Ma andiamo per ordine. Oliver Sachs è stato un medico, chimico, scrittore e accademico britannico, dal 2012 docente di neurologia alla New York University School of Medicine. Quindi un autorevole voce scientifica che si è occupata anche ed evidentemente di temi che stanno al confine con la scienza, come la coscienza appunto e ne ha fatto il centro del suo testamento, talmente era importante per lui l'argomento.

Di cui con modestissimo parere personale (motivato) secondo me non ha capito un benamato c.... vabbé ci siamo capiti.
Sachs fa parte di quella coerente di pensiero filosofico di orientamento transumanista di cui per ora Dennett sembra essere la voce narrante che ipotizza una possibile trasmigrazione delle coscienze umane dentro la realtà digitale, un po' come Philip Dick ci propone nel suo famoso romanzo il Neuromante. Affascinante e intrigante argomento, tanto che abbiamo già visto numerosi film di fantascienza che ne esplorano le possibilità.

Tuttavia che la realtà della coscienza sia di base analogica e quindi presenta già una certa incompatibilità strutturale con quella digitale, non sembra minimamente sfiorare questi autori e questo non è solo sbalorditivo, data la preparazione teorica, è anche un po' sospetto. La situazione è simile a quella che si presenta nel trovare qualcuno con un coltello in mano insanguinato davanti a un cadavere accoltellato nella scena di un delitto. Potrebbe essere innocente, ma non è possibile crederlo, va provato! Tuttavia siamo per ora ben lontani dal fare qualsiasi processo, quindi ci accontenteremo di sottolineare le "stranezze" dei loro argomenti. Che fatico a non chiamare vaneggiamenti, perché capisco che c'è (purtroppo) una concreta possibilità che queste persone credano veramente che la coscienza sia una qualche realtà fisica materiale con una sua identità trasferibile. Ad esempio informazione. Non mettono in conto che tutto quello che osserviamo potrebbe essere solo un fenomeno di rinculo di qualcosa che in origine rimane inosservabile (e di conseguenza irraggiungibile).

Chiariamoci, nessuna delle cose di cui trattano è scorretta in senso etico e scientifico, sono tutte argomentazioni valide e che vanno ascoltate con rispetto e pazienza. Potremmo scoprire un domani che alcune non sono corrette, come abbiamo scoperto che la materia osservabile nell'universo non è tutta la materia presente, dal momento che c'è qualcosa che interferisce nel percorso della luce stellare e crea disturbi intensi (lenti di gravità) senza che sia possibile scorgere cosa provoca il fenomeno con mezzi a noi oggi noti.

Il motivo per cui le ritengo corbellerie è che ritagliano al solito accuratamente un particolare che è così evidente essere il centro del loro ragionamento, che il loro silenzio a riguardo mi lascia perplesso. Un po' come se trattassero della luce solare senza mai citare il sole, esattamente come se il sole fosse parte della materia oscura.
Il libro di Sachs ha in copertina una fitta foresta e non ci parla mai del sistema nervoso autonomo che è anche definito vegetativo, perché non si poggia sulla azione elettromagnetica per la trasmissione dell'informazione, ma su quella chimica. L'acqua in questo caso sembra avere un ruolo centrale e probabilmente è il sistema di mediazione della trasmissione dell'informazione viscerale a livello energetico.

Peccato però che il sistema neurovegetativo è unito da un rapporto reciproco anche col sistema endocrino, perché agisce sulla produzione degli ormoni e da questi, a loro volta, è influenzato, secondo una correlazione neurormonale che ha il suo intermediario nel sangue [fonte treccani.it]. Il sistema endocrino è quello che provoca le emozioni e i sentimenti e lega la sua risposta direttamente allo stimolo sensibile (per esempio l'odore nel caso dei cani di Pavlov) parallelamente al circuito nervoso centrale (e alla corteccia) che poi elabora lo stesso stimolo cognitivamente (cioè gli associa un significato e insieme trattiene il ricordo emotivo).

Nel mio libro (che sto ultimando) sottolineo come la dimensione timica (cioè endocrina) che viviamo sia riconducibile a due stati soltanto, entrambi considerati positivi: l'affetto (o attaccamento) e la gioia (o habitus). Il punto centrale però del vuoto solare di cui dicevo, nei lavori sulla coscienza di orientamento transumanista, è che il governo del radicamento nell'ambiente della attività nervosa biologica (cioè "solo" la conoscenza) non è mai motivato. Cioè, non viene mai spiegato perché dovremmo sentirci bene, rilassati e a nostro agio in un bosco e invece ci sentiamo stressati negli ambienti grigi e tecnologici urbani che ci siamo cuciti addosso!!!
Il motivo per me è banale (ma potrei sbagliarmi): siamo frutti ingegnerizzati dai vegetali per loro uso e consumo. La nostra struttura comprende un pezzo, che è il sistema nervoso autonomo, che serve ad attaccarci all'ambiente ed è il mediatore che ci radica chimicamente al resto della biosfera, esattamente secondo gli standard vegetali. I nostri sistemi timici e sensibili, sono regolati per funzionare al meglio in un ambiente ricco di vegetazione e di acqua (tutto ce lo suggerisce). Ad esempio la nostra vista che riconosce come colore centrale il verde e come colori primari il rosso e il blu. Non è un caso se il blu è l'ultima conquista tardiva della nostra specie in età evolutiva e non è un caso se la conquista del colore verde è vicino a quella con cui si nasce del rosso.

Ma torniamo alla prima parte: l'affetto è un sentimento, non un emozione. Cioè è quella che nel gergo delle telecomunicazioni analogiche (pensiamo al telegrafo) chiameremmo portante (vedi treccani.it 2a), cioè la struttura timica su cui viene poi costruita la trasmissione del segnale. Per esempio l'attaccamento alla madre tramite l'olfatto e il gusto che sono (non a caso) i primi sensi che il bambino sviluppa e che lo preparano per l'esperienza dell'allattamento. Una volta stabilito "il filo" che lega all'ambiente, bisogna farci correre sopra un segnale. La gioia è quel segnale che per usare la metafora di Sachs rappresenta l'acqua del suo fiume (mentre l'affetto è il letto del fiume). La gioia è un emozione e diversamene dalla portante che è un segnale continuo, si tratta di un picco herziale. Il rapporto che si stabilisce tra la gioia e l'affetto costruisce l'esperienza timica soggettiva e in particolare se il rapporto è armonico, coordinato alle necessità ambientali, viene avvertita come ciclicamente positiva (e tende ad arricchire la struttura nervosa centrale) mentre se il rapporto è disarmonico, viene avvertita come ciclicamente negativa (e tende a impoverire la struttura nervosa centrale). In altre parole quel rapporto può o meno stimolare la parte rettile (attacco o fuga) oppure essere gestita dalla parte l'imbica e coinvolgere la neocorteccia, secondo il modello teorico dei tre cervelli di Paul MacLean.

Quando non è possibile fuggire o attaccare, ma lo stato timico rimane disarmonico (più avanti spiego nel dettaglio questo aspetto) l'informazione rimane "intrappolata" negli strati superiori del cervello che cercano di elaborare quanto ricevono "scavando" piste neurali più o meno profonde (a seconda di vari paramentri, come l'intensità o tempo del disagio) con il fine di ricordare meglio possibile l'esperienza negativa mentre cercano una soluzione che possa essere scaricata sul comportamento rettile (attacco o fuga). Ovviamente al verificarsi delle condizioni che preludono al disagio simile in un altra occasione, si attiveranno per tempo affiché la soluzione trovata sia messa subito a disposizione. Facciamo un esempio: a scuola mi annoio, l'insegnante spiega in modo orribile, penso ai ca%%i miei.

Vediamo adesso cos'è armonico e cos'è disarmonico nella relazione tra affetto e gioia in una logica di tipo neurovegetativo. Prendiamo due stati emotivi negativi di riferimento, coerenti alla risposta rettile: la rabbia (attacco) e la paura (fuga). Entrambe sottendono una diversa gestione della mancanza di gioia, la rabbia sottente a una capacità di intervento (tipicamente punitiva e offensiva) che può aggiustare una situazione perché possa tornare ad esserci gioia nel luogo dove è venuta a mancare, la paura è una reazione (tipicamente conservativa e difensiva) che tende ad allontanare dal luogo perchè ritiene che non ci siano gli estremi per poter aggiustare la mancanza di gioia. Fiacciamo degli esempi: la mamma vede il bambino prendere un dolce da un ripiano della scaffalatura vicino alle casse in un supermercato mentre è in coda, glielo strappa dalle mani e lo sgrida perché è ormai ora di cena: lei nella situazione prova il timore che il bambino perda l'appetito come già successo e reagisce con rabbia, il bambino prova rabbia perché voleva ripetere l'esperienza sensibile della caramella che aveva già fatto ma non ha coraggio di riversarla sulla madre e quindi reagisce con paura.

Nella mia teoria, tutti gli stati emotivi sono sempre presenti e si producono insieme. Un po' come le armoniche che compongono il timbro di uno strumento: se lo strumento suona come si deve, allora viene fuori un suono, se no viene fuori un rumore, cioè un disturbo sulla portante. Ma quando l'affetto e la gioia sono armonici? Essenzialmente quando la richiesta sottostante che rimane sempre in essere (si tratta di una domanda inesauribile) e che inizia dal momento in cui si costituisce una qualche relazione affettiva, non viene disattesa. La richiesta è una richiesta di scambio energetico che è avvertita come gioia. La domanda è per ciò: "mi fai stare bene?" e riguarda il livello di benessere che la relazione stabilisce. Questo vuol dire che l'affetto non è automaticamene gioia, ma che ogni relazione affettiva promette gioia. Quando cerchiamo un partner nelle nostre relazioni adulte, cerchiamo gioia, ma prima dobbiamo stabilire una relazione affettiva. Se manca la relazione affettiva abbiamo una forzatura, un abuso strutturale (un po' come cercare di andare a pescare in mezzo al mare senza una barca, reti o canne da pesca) se manca la gioia abbiamo una qualche reazione rettile (attacco o fuga).

Ovviamente questo discorso è centrato sull'individuo, ma noi abbiamo bisogno nella relazione di costruire un modello almeno stereoscopico. Quindi se ognuno dei due attori di una relazione transazionale possiede un legame affettivo e non viene disattesa la richiesta di gioia reciproca, si crea un riverbero positivo. Chiaramente non è per nulla facile ottenerlo e anzi, è un gioco circhense di estrema sofisticazione che ci induce ad acrobazie sociali che vanno molto al di la di questo risibile contributo e che funziona meglio se l'ambiente circostante è proficiente a quel tipo di attività timica. Cioè l'ambiente per cui siamo evolutivamente più adatti (il che non esclude che una manina alinea ci abbia poi modellato a sua immagine e somiglianza, naturalmente).

Manco a farlo apposta tutta la relazione con la tecnologia attuale va esattamente in direzione opposta: ci spinge a creare sempre più potenti legami affettivi (ad esempio con la pubblicità e in particolare la relazione di cura e lo stimolo sessuale) dove non circola "mai na gioia", cioè esattamente dove non dovrebbero MAI sussistere per regola timica. Se ho ragione (e credo proprio di avere ragione) in termini scientifici ecologici, etologici, biologici, neurologici, antropologici cioè proprie delle discipline della ricerca a cui un Sachs o un Dennett hanno dedicato la vita, un disastro apocalittico senza appello che ci condanna tutti.

Complimenti.

Ma non basta, perché se quello che ho scritto ha un senso e risultasse Vero (il senso ce l'ha, che sia Vero non lo so) se ne deduce che la coscienza non è trasferibile, in quando è un fenomeno esclusivamente locale e radicato nel territorio. Può essere forse trasferito ciò che genera coscienza, la sorgente, ma io non ho idea di cosa sia o cosa possa essere. Forse nessuno ce l'ha per davvero a prescindere dalle etichette (vuote di senso) che vogliamo inventarci.


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comedonchisciotte
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L'argomento è interessante, comunque Sachs, al di là delle conclusioni che può avere tirato fuori, ha studiato a lungo l'Io, o la coscienza o l'identità dell'umano, fornendo numerosi "casi da studiare" ad esempio l'uomo che ricordava il lontano passato ma non gli eventi recenti: cosa diventa il sé quando la memoria fa cilecca?

Comunque diceva Bateson che l'inconscio ormai lo abbiamo capito abbastanza, mentre il problema vero da risolvere è la coscienza.

Qui ho anch'io degli spunti da parte e mi viene un dubbio su ciò che affermi: "la coscienza ... è un fenomeno esclusivamente locale e radicato nel territorio". E' possibile che l'ambiente locale e il territorio siano digitali?
(Se non lo è, cosa lo impedirebbe?)


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GioCo
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comedonchisciotte;239980 wrote:
[...]
Qui ho anch'io degli spunti da parte e mi viene un dubbio su ciò che affermi: "la coscienza ... è un fenomeno esclusivamente locale e radicato nel territorio". E' possibile che l'ambiente locale e il territorio siano digitali?
(Se non lo è, cosa lo impedirebbe?)

MMMinchia, manco il tempo di correggere :#
Si, certo che è possibile, le simulazioni virtuali e i proiettori di ologrammi ce lo mettono bene in chiaro senza tante ipotesi. Il punto è che quello è un ambiente digitale e nessuno si fa domande su qual'è la distanza tra quello e un ambiente analogico e cosa comporta stare in un ambiente digitale. La distanza è ciò che è stato frettolosamente etichettato come "disturbo" in telecomunicazione analogica, credo per un problema storico della ricerca tecnologica e scientifica. Che in ambiente aperto quel "disturbo" possa diventare il rumore di fondo cosmico, "solo" tra le scoperte più importanti di sempre, al solito non sembra preoccupare nessuno. Che il rumore bianco ad esempio, rappresenti un tipico esempio di disturbo su un canale analogico che porta tutte le informazioni, neppure.

Il punto è che il segnale digitale è discreto e questo significa che azzoppa l'informazione e poi fa magheggi di vario tipo per far sembrare illusoriamente che quelle informazioni ci siano. Il nostro sistema sensoriale è abbastanza facile da ingannare, ma Sachs come Dennett ritengono che l'inganno sia sufficiente a colmare il vuoto che sta in mezzo. Ma noi non sappiamo come funziona il nostro radicamento nell'ambiente, stiamo dando per scontato di saperlo. Se ad esempio c'è (e c'è) una relazione chimica, quel pezzo manca e non è piccolo, è il 95% del senso fisico che diamo al mondo. Oh no?


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ignorans
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il sistema automatico di regolazione della funzionalita' del corpo e' "involontario" ed e' piu' importante di quello "volontario". Non abbiamo "coscienza" di quello, eppure svolge praticamente tutto il lavoro.
Siamo burattini nelle mani del sistema nervoso autonomo.
Ma chi controlla il sistema nervoso autonomo? Chi riesce a fargli fare queste performances? Non siamo noi stessi. Oppure siamo noi stessi ma dobbiamo ampliare il concetto di "noi stessi".


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comedonchisciotte
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ottavino;239992 wrote:
Ma chi controlla il sistema nervoso autonomo? Chi riesce a fargli fare queste performances? Non siamo noi stessi. Oppure siamo noi stessi ma dobbiamo ampliare il concetto di "noi stessi".

Gregory Bateson considerava ormai abbastanza risolto il problema dell'inconscio: per come ho capito l'inconscio è un meccanismo che si incarica di fare un lavoro utile per il quale non solo non è necessario che ci sia una coscienza a sorvegliare, ma addirittura una sorveglianza cosciente sarebbe controproducente, sommergerebbe l'Io sotto un mare di stimoli. Maturana e Varela chiarirebbero che si tratta di meccanismi autopoietici (tipiche strutture autoorganizzative degli organismi viventi).
Un fatto poco studiato è che il conscio e l'incoscio non sempre sono separati, spesso hanno un'ampia sovrapposizione: posso camminare senza averne praticamente coscienza, ma appena mi pongo il problema il mio camminare ridiventa cosciente; solitamente per guidare l'automobile si pensa che sia necessario essere coscienti, ma a volte siamo distratti e scopriamo che abbiamo guidato senza averne coscienza e siamo tornati a casa senza averene intenzione.
Si potrebbe tentare di pensare che la coscienza sia analoga all'inconscio: un utile strumento autoorganizzativo degli organismi viventi, che si occupa degli aspetti più elevati:
- quelli che riguardano la sopravvivenza e non possono essere gestiti con riflessi condizionati;
- quelli che in qualche modo hanno bisogno di una nostra visione del futuro;
- ....
-
Quello che potrebbe essere sostanziale è che la coscienza può essere vista come una parte (interna) dell'organismo che però a volte lo può rappresentare bene per intero.


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ignorans
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comedonchisciotte;239995 wrote: [quote=ottavino;239992]
Ma chi controlla il sistema nervoso autonomo? Chi riesce a fargli fare queste performances? Non siamo noi stessi. Oppure siamo noi stessi ma dobbiamo ampliare il concetto di "noi stessi".

Gregory Bateson considerava ormai abbastanza risolto il problema dell'inconscio: per come ho capito l'inconscio è un meccanismo che si incarica di fare un lavoro utile per il quale non solo non è necessario che ci sia una coscienza a sorvegliare, ma addirittura una sorveglianza cosciente sarebbe controproducente, sommergerebbe l'Io sotto un mare di stimoli. Maturana e Varela chiarirebbero che si tratta di meccanismi autopoietici (tipiche strutture autoorganizzative degli organismi viventi).
Un fatto poco studiato è che il conscio e l'incoscio non sempre sono separati, spesso hanno un'ampia sovrapposizione: posso camminare senza averne praticamente coscienza, ma appena mi pongo il problema il mio camminare ridiventa cosciente; solitamente per guidare l'automobile si pensa che sia necessario essere coscienti, ma a volte siamo distratti e scopriamo che abbiamo guidato senza averne coscienza e siamo tornati a casa senza averene intenzione.
Si potrebbe tentare di pensare che la coscienza sia analoga all'inconscio: un utile strumento autoorganizzativo degli organismi viventi, che si occupa degli aspetti più elevati:
- quelli che riguardano la sopravvivenza e non possono essere gestiti con riflessi condizionati;
- quelli che in qualche modo hanno bisogno di una nostra visione del futuro;
- ....
-
Quello che potrebbe essere sostanziale è che la coscienza può essere vista come una parte (interna) dell'organismo che però a volte lo può rappresentare bene per intero.

Si potrebbe anche postulare che tutto quello che c'è non è altro che "coscienza", detta anche "volontà", e che i nostri corpi ne sono immersi dentro.
Come antenne, percepiscono onde molto sottili prodotte in questo oceano e così interagiscono con esso.
Questo spiegherebbe anche la risposta individuale a questa condizione, per cui "ognuno reagisce in maniera diversa a questi stimoli in quanto ognuno è costituito in maniera leggermente diversa". Sto parlando proprio della costituzione materiale e quindi il contenuto in minerali, in acqua, la forma degli organi, la dimensione dei neuroni, le condizioni del sangue, la prevalenza di acidità o alcalinità, ecc.
Perciò la "coscienza" non è confinata nei neuroni e neppure la memoria. Si tratta di fenomeni che avvengono "al di fuori" di noi, per effetto della continua interazione con "l'ambiente". Noi siamo l'ambiente. I corpi sono come delle Tv in grado di sintonizzarsi sulla frequenza di emissione.


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