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UN DISEGNO ARCANO


mystes
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Registrato: 2 anni fa
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“Ed è così che si è entrati nell’era del disimpe­gno. La rivoluzione scientifico-industriale è cosa grave quanto la rivoluzione cristiana. Ha gene­rato sogni di salvazione - il sogno socialista -, ha tolto le catene del futuro. Nel mondo america­nizzato si è voluto far scomparire ogni traccia del Fato antico, ottundere il senso della tragedia e della morte. Anche in Europa, malgrado l’attac­camento alle vecchie forme, si parla della natura trasformata in industria, del carattere naturale assunto dall’artificiale. Come erano le cose pri­ma? Si direbbe che certi scrittori preferiscano non ricordare. È vero che da un pezzo non le ab­biamo più vissute. Si comincia davvero a pensare in termini di «magnifiche sorti e progressive».

E si comincia anche a parlare come se l’uomo avesse superato il Fato. La Storia, dall’era rivoluzionaria in poi, non è cosa da subire, ma da decidere (questo si sa), e i nuovi mezzi ci danno infinita potenza di fare e di decidere, di vittoria o di fallimento. Quell’aspetto predeterminato del futuro che è parte della vecchia realtà è elemento essenziale del Fato come lo si concepiva. L’ordine e il corso delle stelle prima, della natura poi, era la vera predestinazione. Il mondo industriale nega ogni futuro assegnabile, liquida la fatalità.

(Oggi il corso delle stelle, gli oroscopi, i pronostici etc etc li legge in televisione Paolo Fox!!!, ndc)

Ma così si entra solo nel folto dell’equivoco. Se si potesse ancora concepire una rivoluzione scientifica nel senso classico, cioè speculativo, avremmo certo un’apertura di libertà quale già apparve una volta tre secoli orsono. Ma da una parte ci siamo costituiti prigionieri della natura attraverso il darwinismo e la psicanalisi, dall’altra abbiamo lasciato che l’attività scientifica fosse presa nell’ingranaggio tecnico-industriale. Si può parlare tuttalpiù di un ridimensionamento del Fato. Ripenso al sorriso timido e schivo con cui Einstein rifuggiva dalla discussione generale: «Purché» diceva «non ci si ritrovi sempre nell’Allzumenschliches». Come che volgesse il discorso, come si poteva evitare il «troppo umano»?

Qui, come in tante altre cose, Descartes è la cerniera; perché se da una parte aveva ancora l’idea medievale di uno scibile chiuso, dell’ente che pensa, dall’altra si proponeva di portare l’umanità «al sommo della perfezione di cui è capace» attraverso una scienza impostata sulle macchine. E da troppo tempo mi sembra di sentir dire che la macchina, bene puramente strumentale, ci costringe in ogni aspetto della vita; che questo impeccabile servitore ci ha messi sotto sterzo.

Alla macchina non si pensa mai, perché sembra troppo chiara. Ma un giorno, per caso, in un’esposizione d’arte a New York, mi imbattei nelle macchine di Tinguely. Questo Tinguely è un artista svizzero il quale, divertendosi col metallo, ha costruito macchine inutili, per puro spasso estetico, e poi spero anche per dar noia. Macchine non banali, dall’aspetto complicato e solido. Ma se si mette il congegno in moto, lo si può fare una sola volta. Perché via via avvengono scoppi, scatti e sgranamenti che in buon ordine smantellano la macchina, la quale è così concepita che in un quarto d’ora è risolta nelle sue parti componenti sparse in bell’ordine per le terre. Sfasciata che è la macchina, non si può nemmeno rimontare: è distrutta.

Questa era la prima volta che avevo visto una macchina fine a sé stessa. Era una feroce ironia sulla nostra concezione della macchina come un bene strumentale, che serve a noi. Non poteva non tornarmi a mente l’ingenua certezza del Vico, che se non possiamo comprendere la natura possiamo almeno comprendere la Storia, come quella che facciamo noi stessi. E ancor più facciamo e comprendiamo la macchina, e poi la macchina che fa le macchine, e poi la macchina che sa riprodurre sé stessa, e poi la macchina che si modifica da sé secondo un suo pensiero proprio cibernetico, e poi quella che pensa per noi - ma fin dall’inizio, dico proprio della macchina a vapore. È lei che fa la Storia. E quale pii, ci stiamo domandando con un’espressione crescente. Non avesse da essere anche quello un disegno arcano.”

Giorgio de Santillana, Fato antico e Fato moderno, Adelphi 1985

Questa argomento è stata modificata 1 mese fa da mystes

BrunoWald hanno apprezzato
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