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Veronesi non crede in Dio

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Johannmatthias
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Tema interessante.
Entro per un attimo e lascio questa.

Mi viene il sospetto che a Veronesi non ne importi niente dell'esistenza
di Dio e che adduca due aspetti tristi della nostra esistenza per motivare
il suo ateismo.

Mi ricorda una persona che, appartenente a quel quattro per cento di persone senza pulsioni sessuali, né omo, né etero, né bi, faceva pesare ai suoi confratelli nella fede la propria "profonda castità".

Facile essere ateo e facile essere casto in questo modo.

Comunque per risolvere la questione dell’esistenza di dio basta che io decida se credere che un Dio ci sia o meno.

Se penso che Dio non esista, il problema è risolto e trovo facilmente il modo per convivere con questo credo.
Se, invece, penso che esista, mi pongo il problema di come potrebbe essere questo Dio.

Sicuramente deve essere infinito, perché sospetto che sia il motore di tutto.
Se è infinito è anche unico e, quindi, anche eterno ed oltretutto indivisibile.
Se è unico non vi è nulla al di fuori di Lui, quindi non esiste il creato, perché sarebbe una cosa separata da Lui e questo non è possibile.

Ciò che percepisco e sento e vivo, quindi, può essere solo un’emanazione
e ciò vorrebbe dire che sono costantemente in Lui.

Se Dio è infinito vuol dire che è anche eterno: ciò vuol dire che è senza tempo e non che la sua esistenza sia perenne. E' al di fuori del tempo e, quindi, al di fuori dal meccanismo causa – effetto. Per questo non mi pongo il problema in quale attimo di big bang collocarlo; visto che è sempre presente, Dio è il prima e il dopo big bang.

A questo punto posso stare tranquillo: dato che secondo questo ragionamento sono perennemente in Lui, è inutile andare a cercarlo, a pregarlo, implorarlo, blandirlo e quant'altro. E' come se Dio non ci fosse. Non mi serve neanche combattere in suo nome o cercare di convincere gli altri della sua esistenza.

E allora posso smettere di perdere il mio tempo con Lui, sono libero di occuparmi degli altri, come un ateo, ma senza la necessità di negare la sua esistenza.
C’è una piccola fregatura: questo Dio ovviamente ha già tutto in lui, nulla può essere lasciato al caso.,. cioè, non gioca a dadi.

Ovvio che Bertrand Russel pensava ad un Dio creatore, un demiurgo, e non ad un Dio emanatore, e cosi tanti altri come lui che pensano che Dio possa essere solo un piccolo creatore,creato a sua volta, dato che, secondo loro, ogni cosa deve avere un'origine.

Buona serata
Matthias


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Cartesio
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Benvenuto nella discussione. Con il tuo intervento torniamo al Dio su misura, costruito secondo la propria concezione e le proprie aspettative. Faccio solo un appunto sul fatto che i tuoi sillogismi non sono del tutto logici. Il fatto che la sua infinitezza implichi anche la sua unicità e la sua eternità non lo trovo affatto scontato.
Preferisco pensare che se io esisto ed ho un lato trascendente, spirituale, questa parte di me che ne sente la necessità e desidera un Dio lo materializzi, creandolo tangibile come io lo desidero. In questo modo Dio esiste e solo lui sa che sono io ad essere il suo creatore.
Secondo la sua stessa definizione Russell era agnostico, pensava che se c'è un Dio non sarà mai possibile conoscerlo, ma leggendo i suoi scritti dimostra un estremo scetticismo verso la possibilità che una entità divina abbia potuto creare un universo senza alcun apparente scopo.


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Cartesio
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Da quello che è emerso durante il dibattito appare consolidata la convinzione che si è stratificata in me nel tempo, discutendo dell’argomento con molte persone.
Chi crede che esista qualcosa che va oltre la sfera del sensibile e asserisce di credere in Dio, difficilmente si riconosce in toto nei binari di una religione precisa. Ormai appare sempre più diffusa l’idea di una religione che ho definito “su misura”, basata su una entità divina dai canoni estremamente personalizzati e da una dottrina estremamente ridotta.
Anche i cristiani più rigorosi,che si professano osservanti e praticanti, difficilmente sono disposti ad accettare in maniera supina e completa i precetti imposti dalla dottrina classica.
Sono convinto che questo sia conseguenza del mutare della società del mondo moderno, sempre più individualista, frenetica e legata ai valori effimeri del consumismo.
Il modello di interazione umana in voga, che pone la concorrenza tra gli individui come un aspetto fondamentale e desiderabile, da opporre ad una socialità cooperativa ormai obsoleta, non si adatta più allo schema di relazione collettiva necessario per la conservazione del modello religioso tipico delle grandi religioni monoteistiche.
Nella visione dominante, ciò che la trascendenza implica è innanzitutto l’esistenza di una entità spirituale, associata al nostro io interiore,che è la nostra vera essenza. Questa entità assume diverse caratteristiche, circa la propria capacità di assumere forma umana materiale, di passare, secondo alcune opinioni, stadi di evoluzione oppure un ciclo di vite, prima di arrivare a liberarsi totalmente della forma umana.
La fisionomia spirituale completa, finalmente liberata dall’ambiente materiale, è vista come lo scopo unico e imprescindibile.
Questa trasformazione appare all’adepto assolutamente desiderabile, perché conduce a due obiettivi: il primo di liberarsi della caducità della condizione umana, sempre minacciata dall’ambiente ostile che la circonda (malavita, malattie ed incertezza sulla capacità di mantenere un tenore di vita adeguato) e della contingente necessità di impegnare il proprio tempo per farvi fronte; il secondo riguarda un aspetto “democratico”: la spiritualità comprende necessariamente un “livellamento sociale”, dettato dalla scomparsa dei caratteri che determinano le differenze, come il denaro o la proprietà privata, che rende tutti uguali nella nuova dimensione (anche al di là della razza e della stessa religione, perché lo spirito non ha etnia,mentre l’evidenza acquisita mette tutti d’accordo su quale sia il reale destino ultraterreno).
Dopo lo “spirito individuale”, per importanza, viene Dio. Infatti, anche se chi è credente (in qualche modo) afferma con decisione che Dio esiste, non è così ben delineato come lo è il proprio spirito.
Mentre lo spirito ha un percorso ben delineato nel suo evolversi verso la condizione finale, Dio ha mantenuto le caratteristiche dettate dalla religione stessa. E’ infinito, unico, eterno ma senza caratteristiche peculiari distinguibili. Qualcuno ha aggiunto eloquentemente “è inutile cercarlo perché è come se non ci fosse”.
E’ necessario postularne l’esistenza, per poterne desumere una corrispondenza con lo spirito che siamo noi e che siamo cosa più importante, ma svolto questo compito viene lasciato nel limbo della secondarietà. Quando ho introdotto l’immagine del Dio da adorare, qualcun altro ha immediatamente obiettato, non è disposto a questo atto di devozione previsto dal canone cristiano stesso.
Come ultima analisi, c’è una questione importante, per me irrisolta, che ho cercato di sollevare nel dibattito ma a cui nessuno ha dato seguito: che cosa accade di noi durante la eterna vita spirituale.
Mi pare assodato che per mantenere la nostra individualità, la capacità di riconoscerci anche in forma spirituale, dobbiamo mantenere qualcosa che ci contraddistingua. Cedute le peculiarità del corpo umano, persa la caratteristica antropomorfa, ciò che fa di ciascuno di noi un individuo unico sono le abitudini , i desideri, gli obiettivi, i sentimenti. Ma mentre questi ultimi possono trovare nell’aldilà un ambiente anche più adatto di quello terreno, che ne è degli altri?
In altre parole: quali sono gli obiettivi, i desideri e le speranze di uno spirito? E i sentimenti, comunque, sono vissuti nello stesso modo oppure sono in qualche modo alterati?
Chi morirà, vedrà.


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Cartesio
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Ho letto l’articolo di Paolo Di Remigio sulla deriva della scuola italiana . Potrebbe sembrare un argomento che nulla ha a che vedere con ciò che abbiamo trattato, ma non è così. Quanto scrive Di Remigio, che condivido nella sostanza, è complementare a quanto ho detto in precedenza e mi consente di fare ancora due considerazioni.
In sintesi,secondo l’autore, la scuola di Stato italiana è nata come istituzione con la missione fondamentale di accompagnare gli individui in una crescita culturale. Tale crescita deve portarli ad essere coscienti della propria personalità, delle proprie attitudini e della propria posizione nei confronti della società e del mondo. In parole povere di creare allo stesso tempo delle persone e dei cittadini. Da quando invece i dettami del neoliberismo si sono impossessati dei gangli vitali dello stato, tutto è cambiato.Il nuovo obiettivo della scuola non è più creare delle persone, ma degli ammassi di materia organica, dotati non di una cultura, ma di una serie limitata di informazioni, quelle necessarie per compiere un lavoro specifico. Con una scuola impostata in questo modo l’individuo non cresce, non prende coscienza di sé fino a diventare una persona ed un cittadino, ma rimane in quella condizione di miseria intellettuale che gli impedisce persino di rivendicare il diritto ad un salario adeguato, a condizioni di vita migliori, alla piena realizzazione di sé.
La prima considerazione che faccio è proprio relativa a questa differenza tra l’essere umano consapevole e quello condotto (volontariamente) ad una condizione di regressione totale, sino a mostrare i sintomi dell’abbrutimento caratteristico del primate.
Come ho rilevato in precedenza, la principale esigenza che spinge l’uomo a credere nell’esistenza dell’anima, al di là che ne sia o meno dimostrabile una qualche evidenza, è la necessità di potersi sentire in qualche modo diverso e superiore rispetto alla degradante e degradabile materia di cui è composto l’universo. Ed ecco il punto: ciò che è necessario e sufficiente a rendere l’uomo avulso dalla sola materia non è necessariamente l’anima creata dalla divinità, ma piuttosto la propria consapevolezza, la capacità di porsi nella giusta prospettiva nei confronti di sé stesso, degli altri e dell’universo. La consapevolezza è appannaggio di tutti, ma soltanto la cultura, quella vera che si nutre del sapere fine a sé stesso, è in grado di potenziarla fino a renderla una vera e propria anima, tangibile e fonte di benessere per tutti coloro che ne possono godere. Anima è la sete di sapere che alimenta la consapevolezza, la quale a sua volta ,in un cerchio virtuoso genera la stessa sete di sapere.
Ho forti dubbi che Dio che abbia creato noi forgiando insieme al nostro corpo materiale un’anima spirituale nel senso più comune del termine. Quello di cui sono certo è dell’esistenza di questa “seconda” anima. E chi crede nella prima forma di eternità, più o meno inconsciamente crede anche nella seconda, proprio perché nell’aldilà,per rimanere sé stessi, si ha bisogno anche di questa.
La seconda considerazione parte da un’altra mia precedente analisi, relativa alla visione spesso condivisa dello spirito come entità solitaria, autosufficiente, slegata dal vincolo con l’autorità divina. Ho messo in relazione questo aspetto con l’evolversi della società moderna verso l’individualismo.
Da questo punto di vista la Chiesa Cristiana e la religione Cattolica sono le uniche barriere che si oppongono a questo isolamento nella doppia dimensione materiale e spirituale dell’individuo, almeno in occidente.
Non sono qui a proporre una difesa tout court dell’operato della Chiesa: come istituzione essa assembla, comunque, due pulsioni divergenti. La prima è quella del mantenimento del puro potere temporale sulla comunità dei fedeli, la seconda è quella di diffondere il messaggio cristiano e le sue regole morali e di comportamento all’interno della società.
Queste due spinte sono in sintonia quando si trovano a dover combattere il nemico comune costituito dalla dottrina postmoderna del neoliberismo. Come ho già spiegato, il terreno fertile per la diffusione della religione è la rete di rapporti sociali, che ha come fulcro insostituibile la famiglia. Senza la famiglia Cristiana, il tessuto religioso e la fede stessa evaporerebbero.
Ma il neoliberismo ed i poteri che lo propugnano, e da esso traggono vantaggio, hanno interessi opposti. Distruggere la famiglia e con essa le protezioni e le certezze che è in grado di dare, rende l’individuo solo e fragile, più facilmente manipolabile nella sua necessità di sostituire il calore e l’affetto familiare con dei surrogati che il mercato può offrire a buon prezzo.
Piegare la resistenza psicologica dell’individuo attraverso un suo impoverimento culturale e una solitudine cronica da riempire, ne fanno un perfetto suddito,capace di accettare qualunque coercizione politica e sociale e contemporaneamente un campione del consumismo,nella sua smania di cercare nell’acquisto compulsivo la sedazione del proprio disagio.
La distruzione della famiglia passa attraverso una serie di operazioni che sono ben finanziate dai gruppi di potere . L’emancipazione femminile, fin dal suo nascere nel secolo scorso ha come scopo ultimo proprio questo: attraverso la rivendicazione di uguaglianza si arriva a caldeggiare la competizione e la rivalità tra i due sessi, nel paradigma del perfetto isolamento.
Il riproporsi continuo della lotta per i diritti dei gay, continuamente tambureggiata attraverso i media ( e finanziata con ingenti cifre dai soliti gruppi di potere), ha ugualmente scopo di far perdere all’individuo ogni punto di riferimento.
Lo stesso dicasi per i movimenti di liberazione sessuale e la liberalizzazione delle droghe.
Per questo motivo la Chiesa, pur rappresentando una concezione dell’uomo e del rapporto con il trascendente che non condivido, rappresenta oggi la sola speranza che l’essere umano ha di salvare la propria essenza, la propria anima.


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