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1968 vs 2008-16 ?

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The_Essay
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Come al solito, The_Essay, ha trattato tutti come degli animali in batteria facendo di ogni erba un fascio.
La esento dal rispondermi perché so già come va a finire.

Gentile Gaia, in altre occasioni ho detto di non avere verità in tasca.
Mi considero un piccolo intellettuale,"che vuole cercre di capire"...
Se pensi che abbia offeso i sessantottini ti sbagli. Con vic,
e tutti gli altri del post (non è il caso di citare tutti uno per uno),abbiamo cercato di dire con obiettività ognuno la sua.
Mi hanno dato del sesquipedalico, pazienza!.
Vi mando tale articolo e il relativo link che deve far riflettere tutti (come vedi non l'ho preso da Famiglia Cristiana,a dir la verità me lo ha suggerito il barbiere!
Sottolineo tale frase per farti capire che razza di consapevolezza avessero i sessantottini:
Perdo tutte le mie certezze e vado incontro a qualcosa di
ignoto"

Leggi anche questa altra:
"Il Pci ha legittimato la ristrutturazione capitalistica dei padroni,
trasformandosi in uno strumento di costruzione del consenso operaio; il
movimento studentesco è finito; il Pdup è solo una piccola
organizzazione fiancheggiatrice, e anche Lotta Continua non ha più
certezze. L'unico modo per sopravvivere è 'vivere con il terremoto'
"

Infine ringraziate Tao e il suo lavoro instancabile e silenzioso!
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=7468
"Contro il '68. La generazione infinita" Rispondi citando
La prefazione di Marco Philopat a "Contro il '68. La generazione infinita" di Alessandro Bertante (Agenzia X)

Mi chiamo Philopat e più di ogni altra cosa mi sento un personaggio dei
cartoni animati; in questa veste posso permettermi di parlare liberamente del rapporto tra il sessantotto e i suoi strascichi nell'odierna industria culturale italiana. Colgo l'occasione offertami da questo provocatorio pamphlet di Alessandro Bertante.

Leggendo le pagine di /Contro il '68 / sono rimasto colpito dalle frasi
che spiegano la differenza che ha avuto nell'immaginario nostrano la
partita di calcio Italia-Germania finita 4 a 3 durante i mondiali in
Messico del 1970 (si trattava solo di una semifinale), rispetto alla
vittoria finale dell'Italia, sempre sulla nazionale tedesca, nei mondiali del 1982 in Spagna. Quel trionfo inaspettato passò in sordina, mentre Italia-Germania 4 a 3 è persino il titolo di un film. La sinistra
italiota si è nutrita per anni, e forse continua a farlo, delle gesta
dei "messicani" Gianni Rivera e Gigi Riva, mentre gli "spagnoli" Paolo
Rossi e Franco Causio sono stranamente passati nel dimenticatoio. Non
che sia un appassionato di football, anzi... Ma in alcuni dibattiti mi è
capitato di sollevare la questione calcistica, manco fossi Beppe Viola,
parlando di un'epoca di cui per certuni era perfettamente inutile
occuparsi a livello storico e per descrivere come e perché i punk si
ritrovarono, proprio all'inizio degli anni ottanta, in una situazione
così isolata e disperata. Nella società come nel calcio ci sono momenti
ricordati e celebrati fino alla nausea, altri invece sono
sistematicamente dimenticati. Infatti nessuno si è mai sognato di fare
un film nostalgico sui mondiali spagnoli... Nel 1982 c'era il riflusso,
il craxismo della Milano da bere, e il movimento era una tabula rasa. I
punk, unici giovani bocconcini sovversivi per uno spropositato apparato
di repressione poliziesca, erano barricati dentro il covo del Virus e
insieme a tutta Italia gioivano per le imprese di Pablito Rossi. Alcuni
di loro cominciarono in quei giorni a frequentare la libreria Calusca di
Primo Moroni e a capire meglio ciò che era successo negli anni settanta.
Probabilmente, se non ci fosse stato questo incontro, i punk milanesi
non sarebbero riusciti ad aprire lo scrigno blindato dei cosiddetti anni
di piombo. Forse, avrebbero presto pensato che ogni cosa inventata,
creata e scaturita nella loro gioventù era spazzatura, merda, roba da
buttare via se paragonata alle imprese sessantottarde... Appunto come
una semifinale calcistica che nella riscrittura a posteriori supera di
gran lunga una finale. Senza questo incontro, i punk avrebbero anche
loro ingurgitato l'unica verità storica disponibile, quella scritta dai
vinti su commissione dei vincitori.

Era interesse di costoro addossare l'intera responsabilità di ogni
misfatto al periodo della seconda metà degli anni settanta, in
particolare al movimento del '77, di cui in questi mesi si celebra il
trentennale, ricordandolo perlopiù come un tragico epilogo del
sessantotto. Ma non andò così. Primo Moroni, che nel corso dei suoi
ultimi vent'anni di vita non si stancò mai di organizzare dibattiti,
incontri e conferenze dal titolo: "Liberiamo gli anni settanta", nel suo
libro scritto con Nanni Balestrini, /L'orda d'oro/, a proposito del '77
scriveva: "in quell'anno si sommano gli effetti di una prolungata
stagione di lotte operaie e di una esplosione culturale dei movimenti di
rivolta dei disoccupati e dei giovani, di tutti coloro che si sentono
minacciati dal nuovo assetto produttivo che si intravede all'orizzonte
nel postindustriale". Nei primi mesi del '77, anche se a Milano il tutto
fu anticipato all'estate del 1976, il tono delle lotte era ancora quello
della rivoluzione dietro l'angolo, della speranza messianica, della
fiducia euforica in una comunità liberata, ma nei mesi successivi, dopo
l'impatto con la durezza della repressione e soprattutto con la spietata
logica della competitività sul lavoro, la disoccupazione inevitabile,
l'emarginazione galoppante, divenne predominante il tono disperato e
autodistruttivo, il rifiuto di sopravvivere in un'epoca disumana, in cui
tutti i valori della solidarietà sarebbero stati cancellati. Sempre in
/L'orda d'oro/ si legge: "In questo senso possiamo dire che il '77 fu al
contempo una sintesi degli anni sessanta e settanta e una cupa
premonizione degli anni ottanta". Questo prezioso e fragile anello di
congiunzione generazionale sembra totalmente trascurato dai
sessantottini che stanno riscrivendo la storia di quel decennio, anzi,
in qualche modo i settantasettini sono i più vituperati, criminalizzati
e infine dimenticati. Eppure, esattamente come i punk, sono esistiti e
hanno portato avanti una battaglia durissima in una situazione
capovolta, una lotta corpo a corpo con una società in rapido
cambiamento. Poi si sono sorbiti per trent'anni i racconti di un
fantastico mondo che non avevano vissuto e che non sarebbe mai più
arrivato. Da qui nascono i livori dei più giovani nell'Italia dei giorni
d'oggi, i figli dei sessantottini che non riescono più ad accettare una
verità raffazzonata e che finalmente provano ad alzare la voce.

Per una questione anagrafica, dei fasti della stagione sessantottina i
punk inizialmente conoscevano solamente i giovani settantasettini. "I
punk sono i figli disperati del no future, figli inconsapevoli di un
modello di produzione ormai superato, e con lui tutto il ciclo di lotte
precedenti" scriveva ancora una volta Primo Moroni. Se oggi si guarda e
si ascolta attentamente l'interminabile film sul festival del Parco
Lambro del 1976, girato da quattro troupe di videoteppisti e da tre
troupe di cinematografari coordinati da Alberto Grifi, si può notare
che, nonostante il look e l'abbigliamento siano diversi, gli sproloqui e
le argomentazioni allucinogene dei partecipanti al festival si
avvicinano sorprendentemente a quelle dei punk: rifiuto del lavoro,
centralità del soggetto desiderante, crisi della militanza e della forma
partito. Soprattutto esprimevano preoccupazion
e per un futuro che
senz'altro sarebbe stato radicalmente diverso, non solo da quello dei
padri, ma anche da quello dei loro fratelli maggiori... E così fu... Se
oggi i sessantottini, indipendentemente da dove si collocano, destra o
sinistra, sono ai vertici dell'industria culturale italiana, per i pochi
settantasettini sopravvissuti non ci sono nemmeno le briciole. I vertici
della politica di sinistra invece sono rimasti saldamente in mano alla
classe dirigente precedente al sessantotto. Per fare qualche esempio si
può parlare di D'Alema, allora dirigente della Fgci, e quindi dall'altra
parte della barricata, o di Fassino, che nella sua tragicomica
autobiografia afferma di non avere vissuto il sessantotto in quanto,
dopo la morte prematura del padre, si era dovuto sobbarcare le
responsabilità di un adulto. O ancora di Veltroni, che probabilmente
allora faceva il chierichetto, magari a fianco a un prete rosso, ma pur
sempre un chierichetto. I sessantottini autosconfitti sono stati quindi
sistemati nell'industria culturale, da dove era più facile svolgere il
ruolo che i vincitori gli avevano assegnato, cioè riscrivere la storia.
Qualcuno ha mantenuto una sfumata apparenza degli antichi valori, altri,
i più cinici, si sono trasferiti a destra. Nessuno di loro aveva
probabilmente capito un film americano di quel periodo, amato sia dai
punk sia dai settantasettini: /I guerrieri della notte/.

"Gli uomini che hanno il potere sono coloro che ci hanno spinto uno
contro l'altro." Sono le parole della scena iniziale del film, con cui
il capo della gang dei Riff, Cyrus, arringa le migliaia di ragazzi delle
bande di strada dei diversi quartieri di New York. Frasi semplici e
dirette: allearsi per opporsi all'oppressione e alla violenza
poliziesca; combattere i padroni del potere e conquistare la città
intera. E qui ci sono dei paralleli con la celebre speranza della
rivoluzione dietro l'angolo che mosse i giovani ribelli italiani
all'alba del 1977. Al termine del comizio, Cyrus viene ucciso da alcuni
traditori e i Guerrieri saranno ingiustamente accusati dell'omicidio.
Anche i settantasettini erano, già allora, i capri espiatori di una
tragedia che coinvolgeva l'intera società e come i Guerrieri si
sentivano braccati, senza scampo. Le manifestazioni che si susseguivano
ogni sabato si svolgevano in un clima di conflitto aperto. La notte, i
ragazzi tornavano in quartieri che già si stavano riempiendo di masse
amorfe e teledipendenti che chiedevano più sicurezza e di cui proprio
oggi, almeno a Milano, vediamo dispiegarsi i cortei bipartisan. Erano
braccati, ma non volevano arrendersi a un futuro così di merda. Il
lungometraggio della storia però non ebbe un lieto fine come in /I
guerrieri della notte/, i nostri Guerrieri furono semplicemente
lobotomizzati, chi nelle galere, chi nel riflusso e in tantissimi con
l'eroina. Il cambio repentino del modello produttivo, l'improvviso
declino della grande fabbrica fordista e di tutto il ciclo di lotte
operaie collegato, causarono profonde lacerazioni nel precario
equilibrio delle forze di opposizione gettando le basi per l'imposizione
del nuovo ordine sociale che si sarebbe dispiegato negli anni a venire.
Le responsabilità di tutto ciò non vanno certo ricercate in qualche
migliaio di giovani resistenti che si opponeva tale ordine. Arrivò poi
la grande ristrutturazione e i punk gridarono il /no future/. Giunse il
mercato globale e i centri sociali divennero fragili case del popolo.
Arrivarono infine i ministri del culto televisivo, l'espansione
dell'impero e la ridefinizione della proprietà privata e tutto si fece
silente... Tranne le rinnovate genuflessioni culturali della
/generazione infinita/ sul tipo: "che bello il '68, quanto è brutto il
'77". Evviva l'ondata creativa, abbasso la violenza. Scordandosi a
priori le contraddizioni interne innescate da molti fattori. Uno su
tutti: la strategia della tensione.

Queste dinamiche revisioniste producono, oltre a incazzosi pamphlet come
questo, ricadute sociali devastanti. Non mi sono stupito quando un amico
mi ha detto che negli Stati Uniti molti neocon o newcon avevano militato
a sinistra del partito democratico. In Italia la situazione è più
drammatica che in ogni altro paese occidentale proprio perché la classe
dirigente a sinistra è ancora quella presessantottina, mentre la destra
ha cavalcato a modo suo quel terremoto sociale, a partire dalle
televisioni berlusconiane che nacquero anche grazie alla
liberalizzazione ottenuta dopo la grande intuizione del movimento sulle
radio libere. Se la storia si dissolvesse, se fosse possibile
abbandonarsi alla vertigine della caduta da un precipizio, una volta
atterrato con le ossa spezzate mi verrebbe in mente la parabola di Lotta
Continua. Questa organizzazione ebbe la grande capacità di coinvolgere
migliaia e migliaia di giovani arrabbiati nelle tematiche del movimento,
ma dal 1975, soprattutto in Nord Italia, la sua spinta creativa
inesorabilmente rallentò, fino al definitivo stop del 1976. "Liberiamo
Sofri per liberarci di Sofri" si ostinava a dire Moroni nelle sue
innumerevoli conferenze verso la metà degli anni novanta. Lotta
Continua, che era piena zeppa di cani sciolti di origine proletaria e
sottoproletaria, dapprima venne messa in crisi dal compromesso storico e
dalla conseguente legge Reale, poi esplose sulla contraddizione posta
dalle donne al convegno di Rimini del 1976; da allora, parte di questi
cani sciolti si riversarono nell'autonomia diffusa, in quello che in
seguito sarà chiamato il movimento del '77. Cos'altro avrebbero dovuto
fare? Il quotidiano "Lotta Continua" virò improvvisamente da giornale di
movimento e bollettino delle lotte operaie a giornaletto delle
"lettere", dell'"intimismo". /Caro psic/ si chiamava la rubrica più
letta... Travolti dal libertarismo più sfrenato, che scivolava sempre
più nel liberismo, alcuni giornalisti e redattori della testata
iniziarono in quei mesi lo scavallamento a destra, e alcuni entrarono
poi alla corte di Giuliano Ferrara, come per esempio Andrea Marcenaro e
Carlo Panella. Sono andato nel sito di quest'ultimo e nella spassosa
ricostruzione autobiografica intitolata "Breve viaggio nella vita di
Carlo Panella", egli ammette: dopo il congresso di Rimini "partecipo
alla trasformazione di 'Lotta Continua' da giornale di partito in un
quotidiano quasi normale". Quasi normale? Visti i titoli dei suoi ultimi
libri -- /L'antisemitismo islamico da Maometto a Bin Laden/ e /Il libro
nero dei regimi islamici/ -- forse la normalità al giorno d'oggi è
quella di fomentare ancora di più la guerra fra i poveracci nelle
periferie delle grandi città, da una parte i migranti lavoratori stipati
in cinque o sei in un monolocale e dall'altra le masse catodiche con il
loro bisogno di sicurezza. Una bella svolta per Panella che era partito
in gioventù organizzando occupazioni di case per gli immigrati italiani
in Germania. Una svolta che rischia di perpetuarsi di generazione in
generazione, se non si riuscirà a porre un freno a quelle che Bertante
chiama "esaltazioni mitopoietiche" prive di ogni qualsivoglia
contraddizione, visioni edulcorate di ciò che è avvenuto portate avanti
da ex di Lotta Continua che votano ancora a sinistra. È il caso di /La
meglio gioventù/. Anche se il regista Marco Tullio Giordana forse non
era di Lc, uno fra gli ex più in vista, Enrico Deaglio, ha pubblicato un
libro con lo stesso
titolo. Un elenco di 3000 piccole biografie dei
protagonisti della contestazione di allora, che esclude tutti i violenti
e i picchiatori, per esempio Andrea Bellini. Ma è indubbiamente il film
a dare l'impressione peggiore. Verrebbe voglia di considerare /La meglio
gioventù/ come una parodia di quei tempi, ma presto ci si accorge di non
poterlo fare, anzi sembra proprio che gli autori e il regista abbiano
tentato di ricreare a tutti costi una storia universale idonea a
rappresentare un'epoca intera. Ma quanti sono stati i compagni
ponderati, ragionevoli e sempre sorridenti come Lo Cascio? Perché
mettere in scena una moglie borghese un po' psicopatica e che, guarda
caso, entra nelle formazioni combattenti, quando per ogni militante dei
gruppi clandestini almeno mille sono crepati di eroina o in qualche
altro inferno metropolitano? E le droghe, perché sono completamente
assenti?

Naturalmente, non tutti coloro che hanno vissuto quello straordinario
decennio hanno preso direzioni simili. Si potrebbero fare dei distinguo,
ma sono in molti quelli che partendo nel sessantotto con in testa la
frase: "Perdo tutte le mie certezze e vado incontro a qualcosa di
ignoto" continuano a battersi tuttora nel tentativo di demistificare
alcune di queste orribili verità storiche. Sono questi lampi di luce che
illuminano e bruciano il buio di passioni del nostro presente. Un
eccesso di vita, un pensiero che riesce a ritrovarsi solo mettendo in
discussione tutto ciò che ci circonda, un desiderio di viversi le
situazioni fino in fondo, una passione talmente forte da rimbombare
dentro. Sono voci fuori dal coro, fuori dal mondo delle apparenze e
dello spettacolo con le sue lusinghe sempre più tenaci. Voci che
purtroppo non riescono ad arrivare ovunque. In questo libro, Alessandro
Bertante se la prende con la generazione dei propri genitori: "Davanti a
ogni mia scelta un poco ardita loro avevano la pretesa e la sincera
convinzione di averla già fatta, e meglio, con più entusiasmo e
partecipazione". Viene in mente il titolo del celebre libro del
militante dell'underground americano degli anni sessanta, Jerry Rubin:
/Quinto: uccidi il padre e la madre/, pubblicato in Italia da Arcana
Editrice nel 1976 con un'introduzione di Antonio Negri. Si tratta di
affrontare in modo radicale l'avversario più subdolo, il proprio ego. E
se da una parte c'è sicuramente l'incapacità di affrontare questo passo,
dall'altra c'è un muro di gomma costruito da quella /generazione
infinita/ che non è disposta a rimettersi in gioco né tantomeno a farsi
da parte. Agenzia X ha creduto importante dare voce alla rabbia di un
figlio di sessantottini che finalmente ha deciso di scrivere il
proposito di uccidere padre e madre. D'altronde non siamo ancora
riusciti a uccidere vero il padre padrone che domina la cosiddetta
sinistra nostrana. "In Italia quasi la metà dei delitti viene consumata
in famiglia. A questa regola non sono sfuggite le grandi famiglie della
politica italiana. Nel 1977 la famiglia della sinistra uccise suo padre,
il Partito Comunista Italiano. Un delitto a lungo cercato." Comincia
così, riferendosi alla cacciata di Lama dall'Università La Sapienza, il
libro di Lucia Annunziata appena uscito: /1977. L'ultima foto di
famiglia/; tuttavia, come abbiamo visto in precedenza, i vari D'Alema,
Fassino e Veltroni sono assai vivi e vegeti! Il fatto è che questo
delitto la nostra società non lo ha ancora compiuto, con tutte le
tragiche conseguenze che ciò si porta dietro. Non successe con
l'insurrezione contro il governo Tambroni nel 1960, non bastò lo
schiaffo che Primo Moroni sferrò all'allora presidente della Fgci,
Achille Occhetto, dopo la morte di Ardizzone nel 1962. Evidentemente non
riuscirono a farlo le barricate del maggio francese, considerato che
quelle violenze sono in molti oggi a nasconderle dietro un triangolo
incestuoso condito da Buster Keaton e Charlot, come nell'ultimo film di
Bertolucci The Dreamers. "E noi che aspettavamo /Novecento. Atto terzo/
per scatenare la rivoluzione, visto che all'/Atto secondo/ eravamo
riusciti a sfondare in ottomila i cinema dove veniva proiettato?"
potrebbe dire un redivivo settantasettino milanese...

Sempre nel libro dell'Annunziata, a pagina cinquanta, è riportato il
succo del discorso di Adriano Sofri al convegno di Rimini. "Il Pci ha
legittimato la ristrutturazione capitalistica dei padroni,
trasformandosi in uno strumento di costruzione del consenso operaio; il
movimento studentesco è finito; il Pdup è solo una piccola
organizzazione fiancheggiatrice, e anche Lotta Continua non ha più
certezze. L'unico modo per sopravvivere è 'vivere con il terremoto'." Ed
è difficile pensare che un'organizzazione del genere dopo queste frasi
poté credere di diventare una sorta di ultima cerniera della spaccatura
del '77, tesi di fondo dell'intero libro dell'Annunziata. Forse a Roma e
al Sud, ma al Centro e certamente in Nord Italia, dopo il '76, non ci fu
nessun mediatore possibile. Il terremoto si ingoiò la stragrande
maggioranza militanti di Lotta Continua. Insomma, non ci fu alcun
parricidio, il '77 attentò alla vita del sessantotto e fallì. Alcuni
intellettuali graziati da quel fallito attentato furono messi al lavoro
per riscrivere la storia a uso e consumo dei vincitori presessantottini.
Semmai, fu un figlicidio, una parola che nemmeno esiste in lingua
italiana... Vorrei andare avanti a commentare /1977. L'ultima foto di
famiglia/ partendo da quando il professor Asor Rosa, personaggio chiave
nella ricostruzione dell'autrice, afferma che "l'alleanza tra
conservazione e disgregazione sociale può apparire strana, ma non
impossibile". Ma dove, mi viene da gridare! È una bufala questa!
Conservazione di chi? Del Pci! Disgregazione sociale di chi? Dei giovani
settantasettini! Un serpente che si mangia la coda, con la /generazione
infinita/ a ficcargliela ancora più profondamente in gola. Infatti
qualche amico ricorda che sul muro della sapienza apparve la scritta a
spray: "Asor Rosa, un palindromo vivente". Ebbene, dalle ceneri del '77
nacque il movimento punk italiano che, seppure con livelli di scontro e
obbiettivi molto diversi, riuscì a riattivare il filo rosso della storia
dei movimenti dando vita alla stagione dei centri sociali.

Da un certo punto di vista, noi punk siamo stati più fortunati dei
giovani cresciuti dopo. Almeno non abbiamo subito così pesantemente
l'influenza culturale della /generazione infinita/, i nostri genitori
non avevano vissuto quell'epoca, dopo il 1977 i pochi compagni che
solcavano le strade del dissenso ci avevano ben istruiti, eravamo in
qualche modo vaccinati e ogni nuova proposta di truffa mediatica per
salvare capra e cavoli di una storia scomoda la sapevamo ormai
riconoscere al volo. Per i nati negli anni settanta e ottanta non è
andata così bene, immagino sia diventato insopportabile sentire parlare
di sé come della generazione dei mammoni, degli eterni adolescenti,
degli inconcludenti che non se ne vanno di casa. Per questo il libro di
Alessandro Bertante è scritto con livore e rancore, polemico nei
confronti di chi ha nascosto o mistificato le ragioni e gli avvenimenti
della contestazione del sessantotto raccontandola come momento
irripetibile, come se fosse stato l'ultimo possibile periodo
rivoluzionario dell'umanità. In realtà, se si procede nell'osservazione
dal basso dei moti rivoluzionari nel corso dei secoli, si noterà che le
azio
ni e i pensieri di uomini e donne, strenui oppositori delle classi
dominanti, sono quasi sempre invisibili per la storiografia ufficiale. E
nonostante siano soggetti colpiti duramente dalla repressione, dal ceppo
del boia, dal patibolo, dalle torture e dalle stanze afone al neon
dell'isolamento carcerario, sono coloro che hanno modellato più in
profondità la storia del nostro mondo. L'Idra dalle molte teste che
nella mitologia Ercole aveva il compito di annientare era "il simbolo
antitetico idoneo a rappresentare il disordine e la resistenza, una
potente minaccia all'edificazione dello stato, del impero, del
capitalismo" scrivono Peter Linebaugh e Marcus Rediker nel loro
bellissimo libro /I ribelli dell'Atlantico. La storia perduta di
un'utopia libertaria/. Da ogni testa mozzata dell'Idra ne nascevano
altre due, poi quattro, poi otto. Una moltitudine di teste che per i
nuovi padroni del Seicento e del Settecento rappresentava la difficoltà
di imporre l'ordine su sistemi di forza-lavoro sempre più globali. Le
nuove protuberanze del mostro appartenevano, fra i tanti, anche agli
schiavi a contratto, ed è questa la condizione lavorativa attuale di
molti figli di sessantottini, per lo meno di coloro che non si sono
genuflessi a loro volta. "Presto [le teste] svilupparono al loro interno
nuove forme di cooperazione contro i padroni: dall'ammutinamento, allo
sciopero, alla sommossa." Perciò il significato del mostro fu ribaltato
dagli oppressi: "L'Idra divenne un mezzo per sfruttare la molteplicità,
il movimento e la connessione, le onde lunghe e le correnti planetarie
dell'umanità". Per fermare tali correnti non bastano certo dei grilli
parlanti prezzolati. Non crediamo che /Contro il '68 / sia una nuova
testa dell'Idra, ci auguriamo soltanto lo sviluppo di un dibattito atto
a impedire, nella prossima celebrazione del quarantennale, l'ennesima e
fantozziana trasmissione televisiva della partita Italia-Germania 4 a 3.

Marco Philopat
Fonte: http://www.rekombinant.org/
Link: http://permalink.gmane.org/gmane.culture.internet.rekombinant/2332
20.09.07

Un Ringranziamento anche a Truman
Un estratto molto significativo del libro di Moroni e Balestrini sta qui:

1977 - L'anno di frontiera

Infine nell'ultimo post vi ho posto un quesito:,ipotesi sulla motivazione di politicizzare qualsiasi argomento a tutti i costi (tipica di quel periodo)? Politicizzazione( ad es nelle scuole) aumentata in modo vertiginoso rispetto a qualche anno prima?


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Famed Member
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The_Essay:

Sottolineo tale frase per farti capire che razza di consapevolezza avessero i sessantottini:

Errare è umano perseverare diabolico.
Ancora una volta fa di ogni erba un fascio.


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