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Dove Abbiamo Sbagliato?!

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GioCo
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Dove Abbiamo Sbagliato?!
Questa domanda ricorre nelle menti di chi guardandosi attorno, non rinuncia a prendere atto della apollinea realtà, per quanto appaia disgustosa o repellente. Per chi non si lascia plagiare dalla tentazione di trasformarla per forza in qualcosa di positivo, per reggere psicologicamente, per potersi convincere che "l'orrore è buono, basta imparare a usarlo bene".
Come se l'anello di Suron, nato specificatamente per creare orrore, fosse sfruttabile per il bene collettivo e per il solo fascino malato del potere che esercita sulla creatività dell'uomo. Tipo la creazione del super soldato, del super potere o della super arma che invariabilmente verrà usata per schiacciare qualunque volontà avversa.

C'è qualcosa di profondamente malato in tutto questo. Dov'é? Nell'Uomo? Se non è nell'Uomo è in Dio (cioè l'archetipo del principio di tutte le cose e in tutte le cose)? Nel primo caso condanniamo l'umanità, nel secondo il mondo in cui viviamo e per come ci costringe a essere "vittime" o "carnefici".

Cerchiamo nella memoria. I nostri genitori, nelle generazioni degli anni che vanno dai decenni '60 ai '90, hanno vissuto un periodo medio con alterne fortune ma tutto sommato ricco. Almeno in Italia, dove la maggioranza è riuscita a comperarsi casa e mettere via qualche risparmio da investire nel futuro e nella famiglia. Negli anni d'oro il lavoro era a portata di chiunque, uscivi da una fabbrica ed entravi in un altra migliorando la tua posizione il giorno stesso. Ma in questo contesto era evidente che veniva messo sotto stress il concetto di fatica e sacrificio. Il mondo contadino era spaventoso oltre ogni Abisso oggi immaginabile, ma era il luogo d'origine del 99,9% della popolazione. Quindi in un certo senso un "orrore normale".
Già solo gli studi di antropologia comparati nel lucano profondo dei chiusi e isolati gruppi contadini degli anni '60 e '70, erano osservati con shock da chi abitava in città, nonostante la guerra fosse ancora viva nella memoria dell'epoca. Come se la condizione di guerra orrenda si riproponesse sotto un profilo più indigeribile, più ancestrale, più oscuro, più radicato nella società inguardabile da cui tutti proveniamo. Erano lager a cielo aperto e forse anche peggiori dei lager perché almeno dentro il lager una prospettiva finta c'era, quella di riversare la colpa verso un aguzzino certo, distinto e chiaro.
Ma di chi era la colpa delle condizioni miserabili oltre ogni follia delle popolazioni contadine dell'entroterra italico?
Di quell'italia che aveva scoperto l'America, aveva dato i natali agli scienziati della bonca atomica e del microchip?

Vi era certamente quindi una voglia profonda di riscatto da quelle prospettive buie e millenarie, il lavoro della città e di fabbrica era quindi una fuga da qualcosa che ormai appariva orrido oltre ogni accettabile patto.

Ma che non fosse minimamente una soluzione perché sposatava solo i pesi e le ipoteche dei problemi nel futuro, oggi per noi non è più un idea malsana e indiscutibile, è un evidenza. Ma le alternative? Dove sono le alternative se quelle erano alternative sbagliate?
Non le abbiamo cercate e quindi non le abbiamo trovate. Ci siamo adagiati sull'idea che andava bene così e adesso i problemi irrisolti e cumulati chiedono il conto tutti insieme. La soluzione GENIALE moderna? Rimandarli.

Indovinate cosa succede al prossimo round?


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Rasna
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Io credo che quel qualcosa di sbagliato sia nell'uomo. Non è una cosa nuova: lo è sempre stata (sbagliata) e la storia infatti ne ha portato i frutti.
Possiamo chiamarla egoismo, desiderio di potere, brama di emergere al di sopra di tutti gli altri... ci sono molti modi per definire questo qualcosa. Ma la sostanza è sempre la stessa: l'uomo è incapace di vivere per la vita stessa ma ha sempre bisogno di ergersi al di sopra degli altri per potersi illudere che da lì è migliore.
Ha creato strumenti per spingere all'estremo questo qualcosa: il concetto di proprietà prima di tutto, poi il denaro, il lavoro, relegando la poesia, l'arte al ruolo di riscatto delle anime sofferenti che sono quelle infatti che hanno prodotto la bellezza.
Perché l'uomo è incapace di produrre arte dalla gioia? Perché quel qualcosa ha inibito la capacità dell'uomo di vivere quella gioia, relegandola a sfuggevole sentimento sempre sopraffatto dall'egoismo.
Se l'uomo fosse capace di astrarsi dall'avere, dall'egoismo in sostanza, forse potrebbe essere in grado di riscattare secoli e secoli di violenza, soprusi e sofferenze ma l'umanità non ne è capace.
Per questo ormai il dominio appartiene al denaro.
Certe religioni hanno provato a mettere un freno al dilagare dell'egoismo, alcune proponendo l'amore, altre il distacco e per alcuni singoli individui ha pure funzionato. Ma l'umanità non risponde agli stesi stimoli del singolo uomo, e il risultato di vede.
La politica, la massoneria, gli eserciti... sono tutti modi di elevare l'egoismo a fenomeno di gruppo, rendendolo accettabile e praticabile in nome di una cultura che lo mette al centro; ne fa un diritto, lo rende uno scopo mascherandolo da denaro, potere, successo.
Questo è quel qualcosa, questo è ciò che rovina il mondo e rende alcune persone convinte che solo cambiando questo qualcosa sia possibile riportare l'uomo al centro e rendere l'umanità una moltitudine di uomini che ricercano l'armonia nel creato e tra di loro. Forse così potremmo essere in grado di creare arte dalla gioia e non solo dalla sofferenza.


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GioCo
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Io credo che quel qualcosa di sbagliato sia nell'uomo.
[...]
Se l'uomo fosse capace di astrarsi dall'avere, dall'egoismo in sostanza, forse potrebbe essere in grado di riscattare secoli e secoli di violenza, soprusi e sofferenze ma l'umanità non ne è capace.
[...]

Caro Rasna,
per anni ho avuto una posizione molto vicina alla tua. Ma poi ho iniziato a riflettere e quella risposta ha iniziato a non bastarmi più.
E' probabile come dici che l'Uomo sia colpevole, ma tutto? Sempre? Comunque? Allora è una condanna, siamo nati così e non possiamo farci niente, quindi? La posizione è quella eugenetica: razza buona, razza cattiva. Se sei nato storto come le piante nessuno ti raddrizza.
Perché senno poi non spieghi come mai invece qualcuno "si salva" dalla presunta colpa. E qualcuno che si salva c'è sempre, cambia il soggetto, ma c'è sempre ... la salvezza è fuori portata però, lontano, da raggiugere sempre con tanto "forse" e comunque con grande impegno. Poi c'è la via della meditazione, la via della preghiera e della rinuncia, la via greca dell'eroe, la via alchemica, la via del lavoro su se stessi, etc. etc.
Che strano eh? Così messa pare un tema che unisce religioni e ateismo.

Ma poniamo che non ci sia un bel niente da salvare, che ciò che consideri sbagliato e sbagliato considerarlo sbagliato. Allora? Non ci sarebbe nessuna via, ma questo ci porta al punto di partenza, dato che vediamo nel mondo tante cose che "non dovrebbero essere".

Ecco allora che ho un intuito: noi vediamo cose che "non dovrebbero essere". Perché? Da dove ci arriva quella "conoscenza"? I Leoni sbranano, e va bene. Le scimmie ti scarnificano per il solo piacere di vederti soffrire, e va bane. Le faine fanno a pezzi un pollaio semplicemente per il godimento dell'orgia di sangue anche senza toccare un solo pollo, e va bene.
Poi arriva l'uomo, grida con la moglie perché ha avuto una giornata di merda e non va più bene, l'Uomo è cattivo all'origine. L'Uomo è maledetto.
Strano modo di giudicare gli eventi, no? Ma l'animale, l'abbiamo detto, è per noi innocente. Come i bambini? Eppure anche i bambini amano fare del male agli animali innocenti. Fino a che punto quindi vale questa "innocenza"? A ben vedere gli occhi un delfino si scorge un intelligenza forse persino superiore all'umana, non mi viene da dire che sia abbastanza incosciente di quel che fa, qundo stupra a morte le persone ... ma anche fosse, come si stabilisce l'incoscienza di un animale? Come si stabilisce la sua innocenza? Lo diciamo noi perché lo dice la storia o vogliamo guardare le ragioni dell'agito?
Perché se guardiamo quello, le bestie non escono bene dal giudizio secondo i nostri dettami morali.

Quindi ho sono assurdi i nostri dettami, o diciamo che ogni specie ha le sue leggi morali, o sono malvage anche le bestie.

Nel primo caso, ho poi il problema di capire quali sono i dettami morali non assurdi e lo trovo un compito arduo e ingrato, senza poi avere certezza dei risultati. Nel secondo ho il problema di stabilire un confine che mi divide dal resto degli animali, poichè le differenti moralità entrano di sicuro in conflitto e non posso stabilire che quella umana (tra le tante) sia per forza superiore. Sennò mi rendo incapace di vivere in questo mondo. Nella terza ho poi il problema di accettare che il mondo sia in sé malvagio e per ciò fatico poi a trovare un senso originale positivo del mio esistere.

Allora? Allora sto ancora qui a capire, ma inizio ad avere il sospetto Rasna che forse e dico forse, la risposta non ce l'abbiamo.


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Rasna
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Siamo tutti qui a capire e la risposta non ha basi scientifiche e potresti avere ragione tu quando dici che la risposta forse non c'è.
Ma io non ho mai inteso che esiste un dualismo né basato le mie sensazioni su una visione escatologica.
L'egoismo è solo una parte dell'uomo ma è la cultura che lo eleva a principio dominante. L'uomo ha tutto dentro di sé e cresce all'interno di una cultura che ne orienta lo sviluppo rendendolo, col tempo, figlio di quella cultura. Da qui deriva l'abbandono ad una forma mentis che giustifica l'egoismo stesso e tutte le azioni che ne derivano. La ricerca del successo ad ogni costo, del benessere economico che serve solo a comprare per mostrare, del primeggiare in ciò che la cultura definisce come buono ma che, analizzandolo, si dimostra sempre essere funzionale alla cultura dell'egoismo: tutto questo non è la causa ma l'effetto di quella forma mentis che si è consolidata nel corso della storia in quanto aderente ad uno degli stimoli, il peggiore.
Per questo ho detto più volte in altri topic relativi agli argomenti più disparati che per poter pensare di risolvere i problemi di questa umanità occorre prima di tutto cambiare la cultura. Non servono le rivoluzioni o le guerre perchè sono ispirate sempre dallo stesso desiderio egoistico. Serve un cambio culturale che riporti l'egoismo al suo stato di mero sentimento senza nessuna connotazione positiva e che innalzi altre emozioni e sentimenti allo stato più elevato, tale da renderle spinte preponderanti dell'evoluzione umana. Parlo della fratellanza (o forse sarebbe meglio chiamarla comunanza), della condivisione, parlo del merito nell'aiutare l'umanità per il solo fine del benessere futuro e comune.
Perché quando si parla del futuro solo pochissimi sarebbero in grado di fare delle rinunce per il benessere delle generazioni future? Perchè quando si parla dei nostri bis nipoti nessuno si sente coinvolto? Per questa cultura l'umanità inizia il giorno della propria nascita e termina il giorno della propria morte. Ma la cosa peggiore è che nella frase precedente l'accento non è su nascita o morte ma sempre e solo su "propria". Capisci ciò che intendo?
E' ovvio che non saprei risponderti se mi chiedessi cosa fare per cambiare la cultura. Forse bisognerebbe iniziare da piccoli gruppi ma abbiamo visto che quando i piccoli gruppi iniziano, poi i loro figli finiscono. Questo perchè vedono il mondo, desiderano, e questo desiderio diventa egoismo. Si, è una visione un po' buddista e un po cristiana, dove per buddismo e cristianesimo intendo solo i loro principi base: l'amore e la rinuncia al desiderio (perdonami la semplificazione).
Ad oggi, il solo modo che vedo per cambiare è prendere una navetta spaziale, imbarcarci persone con lo stesso spirito e idee, che crescano i figli allo stesso modo e partire senza meta. Abbandonare la terra lasciandone solo il ricordo e cercare una nuova terra dove crescere e creare un nuovo mondo. Ma non sarebbe anche questo egoismo?


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Dov'é? Nell'Uomo? Se non è nell'Uomo è in Dio (cioè l'archetipo del principio di tutte le cose e in tutte le cose)? Nel primo caso condanniamo l'umanità, nel secondo il mondo in cui viviamo e per come ci costringe a essere "vittime" o "carnefici".

Di che Dio sta parlando?
Può anche non rispondermi, perché sono certa che non conosce il Dio a cui si riferisce. Qui c'è già Paolo Barnard che tratta ogni cosa non custodendo contezza di nulla, basta e avanza. Offrire citazioni senza conoscerle intimamente è come proporre i numeri da giocare al lotto.
Quanto alle alternative ce ne sono a iosa, bisogna però conoscerle, evidentemente non sono alla sua portata. 😕 😯 8)


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GioCo
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[...] Capisci ciò che intendo? [...]
E' ovvio che non saprei risponderti se mi chiedessi cosa fare per cambiare la cultura. Forse bisognerebbe iniziare da piccoli gruppi ma abbiamo visto che quando i piccoli gruppi iniziano, poi i loro figli finiscono.
[...]
Ad oggi, il solo modo che vedo per cambiare è prendere una navetta spaziale, imbarcarci persone con lo stesso spirito e idee, che crescano i figli allo stesso modo e partire senza meta. Abbandonare la terra lasciandone solo il ricordo e cercare una nuova terra dove crescere e creare un nuovo mondo. Ma non sarebbe anche questo egoismo?

Credo di si, di capire. Permettimi di riprendere quindi: la cultura come figlia dell'uomo lo manipola, ne è prodotto e al contempo produttore. Quindi strumento dell'uomo per l'uomo, per la sua propria crescita ma anche per la sua condanna. L'egoismo è un tema piuttosto complesso, sfaccettato, e se non sbaglio intendi che questa cultura lo esalta e quindi da qui nasce il problema.
Ma se qualcosa esiste non da sempre, si aprono diverse riflessioni: prima dev'essere esistito qualcosa per confronto, se no come ti accorgi che questa cultura esalta l'egosimo? Come siamo arrivati qui, perché ci siamo arrivati, in caso si riparta da zero, cosa ci garantisce che dopo un certo tempo non ci ritroveremo negli sessi guai? Cosa ci garantisce che esista una cultura migliore, su cosa possiamo basare il giudizio? E poi ancora, cos'è questo magma ribollente, questa "cosa" che indichiamo genericamente "cultura"? Possiamo davvero definirla come identità e quindi indicarla come responsabile?

A guardare bene in giro, una cosa come la "cultura" appare sfuggente e iperreale più di un'apparizione divina. C'è la TV, il cellulare, ci sono certe ritualità ricorrenti come per lo sport, lo spettacolo e la politica. Ci sono certi principi e certe idee ricorrenti, appiattite sul concetto di "normalità". Tipo: "è normale andare a fare la spesa in automobile al supermercato". Ma a parte questo minestrone di condivisioni di senso, che non si può di certo dire definisca una "cultura", cosa rimane di diffuso e comunemente accettato per definirla? Senza contare poi la pressione delle culture esterne e non mi riferisco solo a quelle dei migranti, ma di quei contattti e inquinamenti a cui la tecnofrenia ci espone continuamente. Come la pubblicità, comunemente nota come "carosello", che poi è più esattamente propaganda pura e semplice portata dai nazionalsocialismi dentro nelle società corporative con gli esatti stessi intenti: fare agire secondo interessi privati e alieni la massa alienandola con l'idea che "il bene di pochi è il bene di tutti". Che poi è il pensiero della neo-cristianità quando si associava all'impero nel quarto secolo d.C.

Se è a questo costrutto econocentrico che ti riferisci, per me non è cultura. Ma un sistema di interventi pensato, organizzato, pianificato per finalità e obbiettivi. Quindi tecnologico, non culturale.
A questo punto viene da chiedersi: perché la tencologia orienta in questo modo distruttivo la sua azione? A chi giova tutto questo? C'è indubbiamente un problema di fondo, da una parte la dichiarazione d'intenti "la tencologia ci aiuta a vivere meglio", che non è opinabile se guardiamo cose come la lavatrice e il frigorifero. Dall'altra però abbiamo le tecnologie dell'informazione che già iniziano ad essere molto sinistre. Poi c'è l'oscuro golem della militarizzazione latente da cui la tecnologia deriva il grosso della sua fortuna attuale. Ma tutto questo non spiega la direzione generale, piuttosto psicopatica, della corsa tecnofrenica econoscentrica attuale che pare a tutt'oggi una ricorsa decisa e brutale per gettarsi a corpo morto nel vuoto.

Definire tutto ciò "egosita" a ben vedere è improprio. A questo livello pare infatti più "impotenza generale" che egosimo. No?


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GioCo
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Dov'é? Nell'Uomo? Se non è nell'Uomo è in Dio (cioè l'archetipo del principio di tutte le cose e in tutte le cose)? Nel primo caso condanniamo l'umanità, nel secondo il mondo in cui viviamo e per come ci costringe a essere "vittime" o "carnefici".

Di che Dio sta parlando?
Può anche non rispondermi, perché sono certa che non conosce il Dio a cui si riferisce. Qui c'è già Paolo Barnard che tratta ogni cosa non custodendo contezza di nulla, basta e avanza. Offrire citazioni senza conoscerle intimamente è come proporre i numeri da giocare al lotto.
Quanto alle alternative ce ne sono a iosa, bisogna però conoscerle, evidentemente non sono alla sua portata. 😕 😯 8)

Riportare il discorso all'individio non è corretto Gaia. Dio non è una mia creazione ma qualcosa che ci hanno detto essere "quella roba lì" prodotto di sintesi complesso della storia e dei popoli, poi ci puoi credere se preferisci e ne puoi fare una tua idea a partire da quella, basta che "quella roba lì" abbia le caratteristiche decise da una pletora di altri. Questa imposizione era fortemente criticata dalle popolazioni tribali che abbiamo incrociato in epoca coloniale ed è un segno della nostra più aggressiva e arrogante posizione nello stabilire cos'è o cosa non è sacro, questo ci ha imposto di riprendere poi del termine il significato originale: "sacro" = attaccamento o seguire, che in entrambi i casi orientano le scienze psicologiche moderne e in particolare il costruttivismo e lo studio sull'attaccamento (piuttosto corposo) che restituisce neutralità di significato oltre che importanti passi avanti nella ricerca sul funzionamento dell'Uomo.
Non sono contrario al concetto, ma i linguisti mettono sull'avviso: attenzione a non farsi imbabolare dalle parole. La mente gioca spesso con le parole e ci porta a credere di sapere in quanto mette dietro al composto sonoro una identità certa, che in verità non sta da nessuna parte oltre che dentro di noi.


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Riportare il discorso all'individio non è corretto Gaia. Dio non è una mia creazione ma qualcosa che ci hanno detto essere "quella roba lì" prodotto di sintesi complesso della storia e dei popoli, poi ci puoi credere se preferisci e ne puoi fare una tua idea a partire da quella, basta che "quella roba lì" abbia le caratteristiche decise da una pletora di altri. Questa imposizione era fortemente criticata dalle popolazioni tribali che abbiamo incrociato in epoca coloniale ed è un segno della nostra più aggressiva e arrogante posizione nello stabilire cos'è o cosa non è sacro, questo ci ha imposto di riprendere poi del termine il significato originale: "sacro" = attaccamento o seguire, che in entrambi i casi orientano le scienze psicologiche moderne e in particolare il costruttivismo e lo studio sull'attaccamento (piuttosto corposo) che restituisce neutralità di significato oltre che importanti passi avanti nella ricerca sul funzionamento dell'Uomo.
Non sono contrario al concetto, ma i linguisti mettono sull'avviso: attenzione a non farsi imbabolare dalle parole. La mente gioca spesso con le parole e ci porta a credere di sapere in quanto mette dietro al composto sonoro una identità certa, che in verità non sta da nessuna parte oltre che dentro di noi.

Le avevo anticipato di non rispondermi. ❗ 😉 😉
Ognuno dei supposti "credenti" si è creato un Dio a propria immagine e somiglianza, e come non bastasse in sovrappiù anche gli atei (vedi bdurruti) lo hanno fatto.
Lei mi ha obbligato a porle la domanda: di che Dio sta parlando? 😆 😕


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GioCo
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Lei mi ha obbligato a porle la domanda: di che Dio sta parlando? 😆 😕

Non c'è bisogno di aumentare la dimensione del carattere, un respirone e calmiamoci, neh?
Di nuovo non parlo di un Dio ma dell'archetipo a cui si da quel segno. Riporto le mie parole che forse sono sfuggite: [...] cioè l'archetipo del principio di tutte le cose e in tutte le cose [...] che non ho inventato ma riporto in quanto tale. Chiamalo Grande Spirito, Brahman per gli indusiti, Allah o Dio, tanto è un uguale non parliamo di altro che di un principio se partiamo dalla sua definizione poi il nome dato è quello che preferisci. Pippoletto di piace? Chiamalo Pippoletto se ti piace e forse così stai buona, non so.


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Rasna
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Per me non è necessario che qualcosa sia esistito prima per poter fare un paragone. E' possibile individuare un problema anche senza aver mai esperito l'assenza del problema. Come ci siamo arrivati è scritto nelle persone e, di riflesso, nella storia. Sul perché non saprei dirti con certezza. C'è forse qualcosa di insito che nasce da comportamenti innati, qualcosa legato al lato più primordiale, probabilmente l'istinto di sopravvivenza, che ci ha sempre spinti a primeggiare sugli altri. E da lì non ha più cessato di produrre i sui effetti nefasti sull'uomo e sulla cultura che si è generata, neanche in tempi nei quali la necessità non esiste più. Noi nasciamo e ci viene insegnato che per vivere bene bisogna fare più degli altri, studiare di più, lavorare di più, impegnarsi di più. Questo produce egoismo perché la competizione è, nell'accezione che gli abbiamo dato, sconfiggere l'avversario. Questa è cultura, o meglio, un aspetto della cultura dominante che ci chiede di essere "migliori" degli altri. ma migliori in cosa? Nella professione? E noi dovremmo essere migliori di altri in un'attività della quale non importa davvero a nessuno dei contendenti e della quale, a ben vedere, potrebbe anche estinguersi (o almeno ridursi) la necessità. E quindi diventiamo infelici perché passiamo la maggio parte del nostro tempo a cercare di essere migliori ma invece diventiamo cupi, concentrati sul dovere e non sul vivere.
Forse è vero che il termine cultura non è appropriato ma sono certo che hai capito cosa intendo dire e se hai una parole migliore ti chiederei di suggerirmela. Ed hai ragione quando dici che questa "cultura" è organizzata e pianificata per finalità e obbiettivi. Come anche non sbagli quando parli della tecnocrazia nella quale viviamo. Ma qui non sono daccordo: i motivi profondi di questa spinta "tecnofrenica econocentrica" a me paiono chiari: sono il frutto dell'impegno di quelli che continuano a spingere con ogni mezzo ciò che io definivo "cultura" (sostituisci pure la parola più giusta)... ma qui ci addentriamo in un discorso diverso che entra solo marginalmente in questo topic.

Definire tutto ciò "egosita" a ben vedere è improprio. A questo livello pare infatti più "impotenza generale" che egosimo. No?

Non so, l'impotenza implica che ci sia un qualche desiderio nascosto di riscatto da questo giogo ma a me non sembra. Molti parlano di vivere in un modo diverso, di cambiare la cultura ma poi l'egoismo è sempre più facile e più efficace. Tutti vogliono cambiare ma senza rinunciare. Questa non è impotenza, è proprio egoismo.

Comunque, alla fine, potresti benissimo aver ragione in tutto ciò che dici. Io parlo per sentimento e in parte intuizione e, com'è ovvio, non è detto che l'intuizione sia verità. Spesso è solo un'illusione, altre è uno specchio, altre ancora un mero desiderio.


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Rasna
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Dov'é? Nell'Uomo? Se non è nell'Uomo è in Dio (cioè l'archetipo del principio di tutte le cose e in tutte le cose)? Nel primo caso condanniamo l'umanità, nel secondo il mondo in cui viviamo e per come ci costringe a essere "vittime" o "carnefici".

Di che Dio sta parlando?
Può anche non rispondermi, perché sono certa che non conosce il Dio a cui si riferisce. Qui c'è già Paolo Barnard che tratta ogni cosa non custodendo contezza di nulla, basta e avanza. Offrire citazioni senza conoscerle intimamente è come proporre i numeri da giocare al lotto.
Quanto alle alternative ce ne sono a iosa, bisogna però conoscerle, evidentemente non sono alla sua portata. 😕 😯 8)

beh, Gioco è stato chiaro e ha già risposto. Aggiungo solo che anche il solo pensare che quel qualcosa di sbagliato possa esistere in Dio (e non nell'uomo) vorrebbe dire negare il concetto stesso dell'archetipo. Dio (qualunque cosa significhi) per definizione non sbaglia. Imputare a Dio il nostro fallimento significa pensare che quel Dio ha sbagliato nel comporre la sua opera, cosa che renderebbe vana qalsiasi discussione da parte nostra in quanto impotenti (questa volta si) e condannati dall'errore di Dio.


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GioCo
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[...]
Comunque, alla fine, potresti benissimo aver ragione in tutto ciò che dici. Io parlo per sentimento e in parte intuizione e, com'è ovvio, non è detto che l'intuizione sia verità. Spesso è solo un'illusione, altre è uno specchio, altre ancora un mero desiderio.

Premetto che non certo una "ragione" e tanto meno desidero imporla, ma ragiono e vedo cosa tirano fuori i miei neuroni. Non pretendo che sia niente di sensato (anzi a volte lascio piena libertà al "braim storm" interiore) quindi testo, provo, sperimento quel che viene fuori e poi cerco un confronto quando penso che una certa intuizione pare più sensata di altre.
Ma non temo di buttarmi alle spalle quelle che hanno costituito anche per anni il cuore pulsante emotivo della mia ricerca e che smettono di collimare con la massa di pezzetti del puzzle nel frattempo cumulati: e non sono poche le cose che finisco per buttare via.

Per esempio, ero convinto che la natura avesse dato all'uomo la capacità di manipolare l'ambiente e di costruire la civiltà passando da una società di cacciatori nomadi a una di agricoltori stanziali. Perchè mi era stata raccontata così la faccenda delle radici umane, dentro a una continuità evolutiva quand'ero alle elementari e mi sembrava ragionevole e inquadrata nel cumulo di cose studiate. Oggi ho dei fortissimi dubbi che le cose stiano così.

Prendiamo ad esempio gli studi di zooligia riportati da questo documentario: viene detto che si osserva un adattamento evolutivo che conferma la teoria, peccato che non è vero. Quello osservato non ci dice niente sull'evoluzione biologica adattiva e della selezione, solo che l'animale è in grado di cambiare comportamento tra le generazioni (magari seguendo un codice preordinato già inscritto ed epigenetico) e che certe caratteristiche si conformano all'aspetto, ma se questo si riflette in un adattamento genetico successivo, non sarebbe confermata la teoria di Darwin ma quella di Lamarck: i comportamenti hanno ricadute selettive sulla forma finale espressa.

Questo strano e brutto inciampo non è il solo a cui la teoria evolutiva è andata in contro, con l'ammissione esplicita che (dopo 150) ci teniamo ancora una teoria non confermata "perché non c'è di meglio". Ma che vuol dire che non c'è di meglio? In biologia dopo Darwin nessuno ha sfornato teorie più sensate? Beh, in effetti non è vero, la teoria ha subito pesantissime revisioni mano a mano che emergevano palesi incongruenze e oggi somiglia molto poco a quella del suo creatore. Ma la teoria è un fondamento irrinunciabile per una ragione semplice: è la pietra d'angolo che separa il pensiero scientifico da quello religioso (fino all'epoca indissolubilmente legati tra loro) e non c'è una alternativa che sostenga tale divisione se viene meno, quindi ha importanza storica ed etica ben prima che scientifica.

Il motivo è presto detto. Se il problema della forma è epigenetico, la volontà non è inscritta nei corpi ma tra i corpi, negli spazi vuoti tra di essi. Questa pare l'indicazione che emerge con maggiore frequenza.


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GioCo, che fa? L'indiano?
Non si avvolga con le parole, l'archetipo è il primo modello, modello de che?

l'archetipo del principio di tutte le cose e in tutte le cose

questo è il suo Dio?
Che senso ha elencarmi una serie di divinità quando, io stessa, ho dichiarato che ogni individuo si crea il proprio Dio e non viceversa?
Lei stesso sostiene di aver ricevuto un'educazione od insegnamento cattolico, come qualsiasi altro nato in Italia, ma le sembra che la conclusione sia comune? Che fine ha fatto l'archetipo?
Non bisogna farsi imbambolare dalle parole? Lei cosa usa per esprimersi?
Ma le sembra che qui (intendo generalmente la rete, non solo CDC) usino tutti la sua stessa accezione?
Può essere che mi sbagli, ma guardandomi attorno rilevo che il prodotto ha formato l'archetipo.


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Non si tratta di aver ragione o torto ma di farsi capire.

beh, Gioco è stato chiaro e ha già risposto. Aggiungo solo che anche il solo pensare che quel qualcosa di sbagliato possa esistere in Dio (e non nell'uomo) vorrebbe dire negare il concetto stesso dell'archetipo. Dio (qualunque cosa significhi) per definizione non sbaglia. Imputare a Dio il nostro fallimento significa pensare che quel Dio ha sbagliato nel comporre la sua opera, cosa che renderebbe vana qalsiasi discussione da parte nostra in quanto impotenti (questa volta si) e condannati dall'errore di Dio.

Se lei ha capito non posso che compiacermene. Io ho mosso delle obiezioni proprio perché non ho capito e ritengo che GioCo non mi abbia risposto bensì glissato. Nemmeno ho sostenuto che il Dio dell'autore abbia sbagliato, tantomeno ho parlato di fallimento, sempre del Dio in questione,
A differenza del Nostro ho sostenuto che non ci si possa riferire ad un unico Dio, sempre secondo il vostro intendere, ma ad enne Dei.
Ad es.: è convinto che il rappresentante attuale Bad(Bergoglio)oglio abbia lo stesso Dio di Luciani?


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Rasna
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Gaia la tua domanda mi sembra volutamente pretenziosa. Come si potrebbe rispondere?
O si ha fede, e dunque si crede a ciò che altri hanno stabilito come Dio, oppure non si ha, e quindi non avrebbe senso descrivere minuziosamente il proprio personale impianto di credenze.


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