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Palestina-M.Valpiana, La sconfitta della nonviolenza incompiuta- poi un mio commento lampo e l' impegno di approfondire il tema cruciale


marcopa
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Israele-Palestina

La sconfitta della nonviolenza incompiuta

 

di Mao Valpiana

 

 

ilmanifesto, 2 novembre 2023

L' articolo è stato pubblicato da il manifesto, non mi è riuscito però registrarmi per avere il testo dal web, l' ho letto sul cartaceo.

Per fortuna l' ho trovato su questo blog:

al link di seguito

 

 

https://www.neldeliriononeromaisola.it/2023/11/440354/

 

C’è stato un tempo in cui la nonviolenza abitava in Palestina.Dal 1983 il Palestinian Centre for the Study of Nonviolence (PCSN) ha agito nella tradizione della lotta di liberazione gandhiana e sulla scorta degli studi del politologo Gene Sharp, individuando 120 tecniche nonviolente di resistenza all’oppressione israeliana. I coloni sradicavano ulivi centenari, e gruppi misti di palestinesi e israeliani nonviolenti di notte ne ripiantavano il doppio. In questo modo migliaia di acri furono salvati dall’occupazione. La nonviolenza aveva finalmente trovato una via nuova per radicarsi nel mondo arabo, proseguendo la straordinaria esperienza di Abdul Ghaffar Khan, il Gandhi musulmano, capo indiscusso dei pashtun che nel 1929 fondò un esercito nonviolento di centomila Servi di Dio contro il colonialismo britannico. I suoi testi furono tradotti in arabo e diffusi a Gaza dove molti musulmani apprezzavano il fatto che la nonviolenza fosse parte integrante dell’Islam.

Nel 1987 le autorità israeliane accusarono Mubarak Awad, il leader del Centro palestinese per lo studio della nonviolenza, di violare le leggi del paese

incitando alla rivolta e organizzando la disobbedienza civile; gli fu intimato di lasciare il paese e venne espulso.Oggi vive negli Stati Uniti e si è rivolto ai leader di Hamas e al governo di Tel Avivchiedendo loro di «accettare un cessate il fuoco immediato, compresa la cessazione degli attacchi missilistici contro Israele e degli attacchi militari contro Gaza». I semi di nonviolenza che erano stati piantati in Palestina quarant’anni fa, sembrano non essere più in grado di germogliare.

Il pessimismo è condiviso dallapalestinese Nivine Sandouka, direttrice esecutiva della Ong Our Rights di Gerusalemme: «56 anni di occupazione e 15 anni di assedio a Gaza, hanno fatto crescere enormemente la radicalizzazione, e tolto spazio all’umanizzazione: la maggioranza dei giovani guarda a chi dice di difenderli con le armi.Ma l’unica nostra possibilità– prosegue Sandouka-– è dimostrare che solo il dialogo e la pace difenderanno davvero i diritti della Palestina».

Eran Nissan, attivista israeliano per la pace chevive a Jaffa,leader dell’organizzazione progressistaMehazkim, dice che la maggioranza dei suoi concittadini sono consapevoli che la soluzione non potrà essere militare ma politica: «Dopo il 7 ottobre, in Israele i partiti del controllo e dell’apartheid hanno fallito la loro narrazione, ora c’è la possibilità per il partito dell’uguaglianza, che è cresciuto enormemente con grandi manifestazioni maggioritarie, di offrire una via d’uscita, la coesistenza, per una terra che deve essere condivisa tra i due popoli».

La via d’uscita è nelle mani di chi romperà la spirale di odio, rifiutando la logica perversa della guerra.Solo i civili israeliani e palestinesi che sceglieranno la via della nonviolenza,dell’agire comune per la pace, potranno ridare speranza al futuro della regione.

L’organizzazione mista israelo-palestinese The Parents Circle – Families Forum (PCFF), riunisce più di 600 famiglie in lutto che hanno auto vittime nel conflitto;

ha pronunciato parole inequivocabili: «I nostri cuori sono spezzati. È un tempo di grande dolore. Il costo della violenza non si conta con i numeri, si conta in sogni frantumati. È il momento per tutte le parti coinvolte di riflettere sull’insensatezza di questo conflitto ericonoscere l’umanità condivisa che ci lega tutti».

 

Siamo arrivati all’oscenità macabra della solidarietà misurata in numero di morti, come se un cadavere contasse meno di dieci cadaveri. Come se 1400 vittime identificate avessero più dignità di 8000 vittime anonime.

L’unica conta dei morti possibile è la somma per denunciare quante vite spezzate produce il mostro della guerra.I 3018 i bambini morti nei primi giorni di guerra dall’attacco del 7 ottobre, sono di Israele, Gaza, Cisgiordania. Ogni ora crescono. Quei bambini non hanno bandiere, solo un sudario bianco. La guerra è questo: che sia guerra santa per la jihad, o guerra per l’esistenza milchamà, guerra di difesa o guerra di attacco,la catena va spezzata.Non è la lotta del bene contro il male. È odio contro odio. Solo la pace è il bene, per tutti, e la guerra è il male assoluto. Benedetto quel bambino che risponderà all’odio con umanità, che non ucciderà, che ci permetterà di ricominciare la conta dei vivi.

* Presidente del Movimento Nonviolento e Esecutivo Rete italiana Pace e Disarmo

 

 
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Questa argomento è stata modificata 6 mesi fa da marcopa

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marcopa
Illustrious Member
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Il 2 novembre è stato pubblicato su il manifesto l'articolo di Mao Valpiana " Israele-Palestina, la sconfitta della nonviolenza incompiuta."
 
L' articolo, che potete leggere nel file allegato, racconta alcune esperienze di nonviolenza in Palestina, tra queste una  interrotta nel 1987 per l' espulsione da Israele del principale animatore.
 
A parte le notizie riportate nello scritto di Valpiana, propongo il testo per segnalare un problema che sarebbe opportuno approfondire,
 
Come affrontare la sproporzione tra
 
le enormi potenzialità della nonviolenza, della cultura e delle azioni pratiche,
 
e i risultati ottenuti finora,
troppo limitati ?
 
"Troppo limitati" anche se molti ed alcuni grandissimi, come la liberazione dell' India dagli Inglesi o la convivenza pacifica in Sudafrica dopo la fine dell' apartheid.
 
La sproporzione tra potenzialità e risultati è un mio giudizio, e potrebbe essere una opinione isolata, non condivisa da altri e non considerata importante da affrontare.
 
Comunque l' articolo mi ha dato l' occasione per esporre la domanda precedente che vorrei approfondire con più tempo a disposizione nei prossimi giorni.
 
Marco
 
 
 
Questo post è stato modificato 6 mesi fa da marcopa

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BrunoWald
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La liberazione dell'India dagli inglesi è stata possibile solo nell'ambito di una riorganizzazione del sistema imperiale, con "decolonizzazione" e tutto il resto, voluta da quegli stessi poteri sovranazionali che hanno avviato in seguito la globalizzazione. Diversamente, Gandhi e i suoi seguaci sarebbero stati semplicemente trucidati, e buona notte.

In quanto alla "pacifica convivenza", non sono informatissimo sul Sudafrica, Zimbabwe e posti simili, ma mi risulta che la caccia al bianco soprattutto nei territori rurali dell'interno abbia portato al massacro di intere famiglie di agricoltori.


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oriundo2006
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Bruno, non solo massacri generalizzati ma anche confinamenti in veri e propri lagers dei sopravissuti, discendenti in larga parte dei boeri che colonizzarono quelle terre nell' 800. Ci sono foto e reports sul web ma datati. Da ultimo parrebbe ( condizionale d' obbligo ) che la Russia abbia offerto a diverse centinaia di famiglie sudafricane 'bianche' la possibilità di insediarsi vicino a St Pietroburgo.

I dettagli non sono noti ma se così fosse Mosca diverrebbe incomparabilmente più forte, costituendo un bacino di accoglienza ragionata ( e non a caso ) di uomini e donne altrimenti condannati all'estinzione, in odio a tutto ciò che non è 'woke'.

E' un argomento da seguire. 


BrunoWald hanno apprezzato
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