Rogo Rsa di Milano, Spi Cgil parte civile
Cinque giorni fa il tragico rogo divampato nella residenza per anziani “Casa per i Coniugi” di Milano e costato la vita a sei anziani, con 80 feriti. Un fatto inaudito e di cui vanno accertate le responsabilità: per questo lo Spi Cgil si costituirà parte civile nel processo. Ad annunciarlo lo Spi Cgil di Milano e lo Spi Cgil Lombardia con il sostegno della struttura nazionale.
“Giustizia e verità per le vittime – spiega il segretario generale dello Spi Cgil nazionale Ivan Pedretti – sono la nostra priorità. La nostra organizzazione aveva già avviato negli scorsi anni un’attività di monitoraggio delle strutture per anziani in Italia, oggi il presidio e la vigilanza su di esse diventa imprescindibile e intendiamo richiamare le amministrazioni pubbliche alle loro responsabilità. Non solo la salute e la sicurezza degli anziani ospitati in queste strutture deve essere sempre garantita ma non si può neppure lasciare solo il personale che spesso si trova a operare sottodimensionato e in condizioni di enorme difficoltà”.
A Milano, lo scorso febbraio, i pensionati di Cgil, Cisl e Uil avevano siglato un accordo con il Comune per l’avvio di un tavolo di confronto sulle strutture socio-sanitarie territoriali e sulla loro evoluzione con una particolare attenzione proprio a quelle di proprietà del Comune stesso, tra le quali c’era anche la Rsa coinvolta nell’incendio. Dopo i fatti della scorsa settimana, per lo Spi "non solo va avviato quel tavolo ma va consolidato un protocollo che impedisca il ripetersi di eventi tragici".
In generale, per Massimo Bonini, segretario generale dello Spi Cgil metropolitano, “È arrivato da tempo il momento di mettere al centro del dibattito cittadino la condizione degli anziani. Sono 100 mila gli over 80 ed è decisivo riflettere sui servizi e sulle tutele da mettere a loro disposizione”.
Daniele Gazzoli, segretario generale dello Spi Cgil regionale, ricorda che “oggi gli anziani (spesso persone fragili e con patologie importanti) ricoverati nelle Rsa lombarde hanno bisogno di maggiore assistenza, ma in Lombardia la norma è ferma a 25 anni fa e prevede di dedicare 901 minuti a paziente alla settimana contro gli oltre 1.200 minuti che stimiamo necessari. A partire da questo, sarà fondamentale confrontarci con la Regione per cambiare le cose che oggi non funzionano, garantendo umanità e qualità del servizio”.
“In Italia – conclude Pedretti – c’è una quantità ancora sconosciuta di case famiglia che sfuggono a ogni controllo. Le strutture che ospitano gli anziani vanno censite, monitorate e riformate sulla base di un principio fondamentale: la salute e il benessere delle persone vengono prima di qualsiasi logica di profitto. A oggi la situazione è inaccettabile”.
Un esempio di quanto sia problematico il rapporto CGIL Lega Coop
-Covid 2021 Ravenna e
perfino il manifesto-quotidiano comunista, finora sempre reticente sugli effetti negativi del collateralismo del centro sinistra, nazionale e locale, ha scritto a proposito del rogo nella RSA di Milano:
"...C’è qualche imbarazzo in casa Cgil, visto che la Proges è una cooperativa «di area»: «Entro la settimana ci ha assicurato un tavolo per definire la situazione del personale» dice Isa Guarnieri, segretaria Fp Cgil di Milano..."
Marcopa
Attacco Cgil: «Le Cra più colpite dal Covid sono gestite da coop sociali o privati»
Secondo i dati forniti dal sindacato, in provincia di Ravenna nella seconda ondata circa 460 positività nelle strutture per anziani: «Una gestione che vuole il profitto può dare sicurezza?». Segnalato il caso di una struttura dove il personale doveva lavare la propria divisa
ella seconda ondata della pandemia di Sars-Cov-2 nelle case di riposo per anziani in provincia di Ravenna si sono registrati circa 460 casi di positività (circa 280 ospiti e il resto tra il personale) e nella quasi totalità si tratta di strutture gestite dalla cooperazione sociale, da privati o strutture non accreditate. Lo rende noto la Cgil di Ravenna. La Funzione Pubblica del sindaco esprime grande preoccupazione per lo scenario: «È compatibile una gestione finalizzata al profitto con l’assistenza, la salute e sicurezza di ospiti e personale?».
Il sindacato cita il caso estremo di una struttura in cui i dipendenti erano obbligati a lavare i propri indumenti da lavoro a casa e si vedevano consegnare una mascherina chirurgica per turni di 6 ore. «Non è possibile che, ancora oggi, una struttura per anziani non sia dotata di un servizio professionale di lavanderia e dia risposte approssimative al sindacato quando chiede chiarimenti in merito a protocolli covid e gestione dell’emergenza. Troppo spesso succede che le mascherine chirurgiche siano centellinate o date solo su richiesta, che le mascherine Ffp2 non siano fornite, assieme a visiere e camici idonei».
La Cgil ritiene che non sia solo un problema di allentamento nell’applicazione di protocolli e norme, ma vi sia una questione di fondo nel modello organizzativo: «Il numero di focolai e l’ampio raggio di persone coinvolte fra operatori sanitari, infermieri, oss, fisioterapisti, responsabili delle attività assistenziali e utenti, ci convince ogni giorno di più della necessità di ripensare il modello organizzativo del lavoro, coniugandolo positivamente con le necessità di anziani e dipendenti. Serve un modello che garantisca la sicurezza e la salute a ospiti e lavoratori. Queste gestioni non hanno il presupposto per isolare e gestire il contagio. Una volta che il virus entra in struttura, il sistema implode trasmettendo il virus, con conseguenze a volte letali, a ospiti, personale e loro familiari».
La responsabile Fp socio-sanitario Sara Massaroli e il segretario generale Fp-Cgil Alberto Mazzoni si rivolgono agli interlocutori – Distretto Sanitario, Dipartimento di sanità pubblica, Asp, centrali cooperative e loro associate – per creare le condizioni indispensabili per invertire questo trend in ogni singola realtà. «Chiediamo alle cooperative virtuose, con le quali sono costanti gli incontri di aggiornamento e coinvolgimento nei protocolli covid e di informazione sulle situazioni di focolai, di essere da esempio. Chiediamo a tutti i gestori privati e pubblici la massima collaborazione per garantire screening e tamponi con cadenza almeno quindicinale, perché è sotto gli occhi di tutti che tamponi eseguiti ogni 30/40 giorni siano quanto meno tardivi e insufficienti».